Massime civili della Cassazione di ottobre 2012

Amministrazione di sostegno – Decreto del giudice tutelare – Reclamo

(cod. proc. civ.: artt. 720 bis II co., 739; disp. att. cod. civ.: art. 45)

— L’art. 720 bis, comma 2, c.p.c., nel disciplinare il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, prevede espressamente che il reclamo contro il decreto, con cui il giudice tutelare si pronuncia in ordine alla relativa istanza, sia proposto non dinnanzi al tribunale, bensì alla Corte d’appello, disposizione che, pertanto, prevale, avendo carattere speciale, su quella generale risultante dagli artt. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c. (Sent. n. 18634, Sez. VI, del 29-10-2012).

 

Amministrazione di sostegno – Disciplina normativa – Compatibilità con la Convenzione di New York del 2006 sulla capacità giuridica delle persone – Sussistenza

(L. 18/2009: artt. 1, 2; cod. civ.: artt. 404 e segg.)

— La disciplina normativa dell’amministrazione di sostegno è pienamente compatibile con la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall’Italia con gli artt. 1 e 2 L. 3 marzo 2009 n. 18, nella parte che concerne l’obbligo degli Stati aderenti di assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica siano proporzionate al grado in cui esse incidono sui diritti e sugli interessi delle persone con disabilità, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di un’autorità indipendente ed imparziale, anche in ordine al decreto del giudice tutelare, il quale preveda l’assistenza negli atti di ordinaria amministrazione specificamente individuati, nonché, previa autorizzazione del giudice, di straordinaria amministrazione, ferma restando la facoltà del beneficiario di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana, con il dovere dell’amministratore di riferire periodicamente in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio dell’assistito, nonché in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di vita personale e sociale dello stesso (Sent. n. 18320, Sez. I, del 25-10-2012).

 

Appalti pubblici – Atto amministrativo illegittimo – Responsabilità del debitore

(D.Lgs. 163/2006; cod. civ.: art. 1218)

— In tema di appalti pubblici, in relazione all’atto dell’autorità che costituisca impedimento alla prestazione contrattuale, incidendo su di un momento strumentale o finale dell’esecuzione, deve escludersi che l’atto amministrativo, pur illegittimo, determini l’esonero da responsabilità del debitore che vi abbia dato causa colposamente e, segnatamente, non si sia diligentemente attivato in modo adeguato per ottenerne la revoca o l’annullamento. (Nella specie, si è negato, tuttavia, ogni rilievo al factum principis, consistente nell’inerzia statuale nell’assicurare la transitabilità della strada di accesso all’impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, da costruire ad opera dell’appaltatore sul sito non consegnatogli dal consorzio appaltante, in quanto l’inadempimento dell’appaltante per non avere richiesto l’ottemperanza, con nomina di commissario ad acta, alla pronuncia del giudice amministrativo di annullamento del silenzio-rifiuto della P.A. a concedere la forza pubblica, non aveva sicura efficienza causale nel rimuovere l’ostacolo alla citata consegna, restando la P.A. titolare di ogni potere discrezionale alla concessione della forza pubblica) (Sent. n. 17771, Sez. I, del 16-10-2012).

 

Appalti pubblici – Pagamento parziale da parte della P.A. – Imputazione agli interessi – Necessità – Limite

(cod. civ.: art. 1194; D.Lgs. 163/2006)

— In tema di appalti pubblici, il pagamento parziale va imputato agli interessi e non al capitale, a meno che vi sia prova del consenso del creditore ad una diversa imputazione; a tal fine, non costituisce prova sufficiente, nel caso di pagamento effettuato da un’amministrazione pubblica, il fatto che il privato creditore, tenuto a rilasciare ricevuta di pagamento, abbia sottoscritto per quietanza il titolo di spesa in cui l’amministrazione stessa abbia imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito (Sent. n. 17197, Sez. I, del 9-10-2012).

 

Appalto – Responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata – Decadenza dall’azione e prescrizione del diritto del committente

(cod. civ.: art. 1669 I e II co.)

— Ai fini della responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata, l’art. 1669 c.c., oltre a richiedere che i vizi si palesino entro un decennio dal compimento dell’opera, stabilisce, al comma 1, un termine annuale di decadenza, relativo alla denunzia dei vizi, che decorre dalla scoperta della gravità dei difetti e della loro imputabilità alla prestazione dell’appaltatore, e pone, al comma 2, un termine annuale di prescrizione, che si lega unicamente, sotto il profilo cronologico, alla denunzia dei difetti, la quale, pertanto, è atto condizionante la decorrenza del termine prescrizionale (Sent. n. 18078, Sez. II, del 19-10-2012).

 

Appalto – Responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata – Decadenza dall’azione per tardività della denunzia

(cod. civ.: art. 1669 I co.)

— In tema di responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata, la decadenza dall’azione per tardività della denunzia, stabilita dall’art. 1669, comma 1, c.c., non può essere rilevata d’ufficio dal giudice ma deve essere eccepita dalla parte, trattandosi di decadenza posta a tutela di interessi individuali e concernente diritti disponibili (Sent. n. 18078, Sez. II, del 19-10-2012).

 

Appello – Richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado – Non è una domanda nuova – Fondamento e conseguenza

(cod. proc. civ.: artt. 282, 345 I co.)

— Nel giudizio in appello, la richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non configura una domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata. Ne consegue che la domanda, oltre a non implicare la violazione del divieto di domande nuove sancito dall’art. 345 c.p.c., può essere proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni (Sent. n. 17227, Sez. II, del 9-10-2012).

 

Assicurazione R.C.A. – Azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore per il risarcimento del danno oltre il limite del massimale – Onere della prova – Ripartizione

(D.Lgs. 209/2005: art. 144; cod. civ.: artt. 1218, 2697)

— In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, sul danneggiato che domanda la condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno oltre il limite del massimale incombe esclusivamente l’onere di dedurre il ritardo dell’assicuratore nella liquidazione del danno, mentre grava sull’assicuratore l’onere di eccepire e provare la non imputabilità del ritardo medesimo (Sent. n. 17167, Sez. III, del 9-10-2012).

 

Circolazione stradale – Conducente che impegna un incrocio disciplinato da semaforo segnalante a suo favore luce verde – Obbligo di diligenza nella condotta di guida

(D.Lgs. 285/1992: artt. 41, 140)

— In tema di circolazione stradale, il conducente che impegna un incrocio disciplinato da semaforo, ancorché segnalante a suo favore luce verde, non è esentato dall’obbligo di diligenza nella condotta di guida, che, pur non potendo essere richiesta nel grado massimo, stante la situazione di affidamento generata dal semaforo, deve tuttavia tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti nell’incrocio, ed anche in virtù della necessità di prestare attenzione ai pericoli derivanti da eventuali comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada, che non si attengano al segnale di arresto o precedenza (Sent. n. 17895, Sez. III, del 18-10-2012).

 

Condominio – Amministratore – Prorogatio imperii

(cod. civ.: art. 1129 II co.)

— In tema di condominio negli edifici, la prorogatio imperii dell’amministratore che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministrazione si applica in ogni caso in cui il condominio rimanga privo dell’opera dell’amministratore e, quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, comma 2, c.c. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina. Ne consegue che l’amministratore condominiale, la cui nomina sia stata dichiarata invalida, continua ad esercitare legittimamente, fino all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, rimanendo l’accertamento di detta prorogatio rimesso al controllo d’ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto sia inerente alla regolare costituzione del rapporto processuale (Sent. n. 18660, Sez. II, del 30-10-2012).

 

Condominio – Cessione in proprietà ad un terzo del lastrico solare e del diritto di sopraelevazione effettuata da chi ne era titolare anteriormente alla costituzione del condominio

(cod. civ.: artt. 952, 1127)

— Nell’ipotesi di cessione in proprietà ad un terzo del lastrico solare e del diritto di sopraelevazione, effettuata da chi ne era titolare anteriormente alla costituzione del condominio, non solo il lastrico solare rimane escluso dalla presunzione legale di proprietà comune, ma, nel caso di sopraelevazione, il nuovo lastrico rimane di proprietà del titolare del precedente lastrico, indipendentemente dalla proprietà della costruzione. Il diritto di superficie, infatti, salvo che il titolo non ponga limiti di altezza al diritto di sopraelevazione, non si esaurisce con l’erezione della costruzione sul lastrico, né il nuovo lastrico si trasforma in bene condominiale, poiché il titolare della superficie, allorché eleva una nuova costruzione, anche se entra automaticamente nel condominio per le parti comuni ad esso, ha un solo obbligo nei confronti dello stesso, cioè quello di dare un tetto all’edificio, restando, tuttavia, sempre titolare del diritto di sopralzo, che è indipendente dalla proprietà della costruzione (Sent. n. 18822, Sez. II, del 31-10-2012).

 

Condominio – Innovazioni ex art. 1120 cod. civ. e modificazioni ex art. 1102 cod. civ. – Elementi distintivi

(cod. civ.: artt. 1102, 1120)

— In tema di condominio negli edifici, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l’art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (Sent. n. 18052, Sez. II, del 19-10-2012).

 

Condominio – Sopraelevazione effettuata dal proprietario dell’ultimo piano che alteri l’aspetto o il decoro architettonico dell’intero immobile

(cod. civ.: artt. 1120 II co., 1127, 2934)

— In tema di condominio, nel caso di sopraelevazione effettuata dal proprietario dell’ultimo piano che alteri l’aspetto o il decoro architettonico dell’intero immobile, l’azione diretta ad ottenere la restitutio in integrum, di cui gli altri condomini sono titolari, a differenza di quella diretta contro una sopraelevazione non consentita dalle condizioni statiche dell’edificio, è soggetta a prescrizione ventennale (Sent. n. 17035, Sez. II, del 5-10-2012).

 

Condominio – Spese dei lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni deliberati dall’assemblea – Ripartizione

(cod. civ.: artt. 1117, 1123, 1135 I co. n. 4; cod. proc. civ.: art. 633)

— In tema di condominio negli edifici, atteso che le spese dei lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni deliberati dall’assemblea si ripartiscono tra i condomini secondo le tabelle millesimali, ai sensi dell’art. 1123 c.c., ricorrono le condizioni di liquidità ed esigibilità del credito, che consentono al condominio di richiederne il pagamento con procedura monitoria nei confronti del singolo condomino (Sent. n. 18072, Sez. II, del 19-10-2012).

 

Contratto annullabile – Convalida tacita – Mera richiesta di eliminazione della situazione invalidante – Sufficienza – Esclusione

(cod. civ.: artt. 1427, 1444 II co.)

— La convalida tacita del contratto, di cui all’art. 1444, comma 2, c.c., non è integrata dalla mera richiesta, formulata dalla parte che avrebbe titolo a domandare l’annullamento, di eliminazione della situazione costituente l’oggetto del vizio del suo consenso (nel caso di specie: errore essenziale e riconoscibile sulla libertà da vincoli dell’immobile locato, invece assoggettato ad espropriazione forzata in fattispecie nella quale il conduttore non avrebbe potuto opporre la locazione all’eventuale aggiudicatario) (Sent. n. 18502, Sez. III, del 26-10-2012).

 

Contratto – Caparra confirmatoria – Azione di recesso in caso di inadempimento di una delle parti – Formale costituzione in mora del debitore – Necessità – Esclusione

(cod. civ.: artt. 1219, 1256, 1385 II co., 1455)

— In caso di azione di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c., non è necessaria la formale costituzione in mora del debitore, la quale è prescritta dalla legge per l’effetto preminente dell’attribuzione al debitore medesimo del rischio riguardante la sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile, basandosi, viceversa, l’azione menzionata sulla sola obiettiva esistenza dell’inadempimento di non scarsa importanza di una delle parti (Sent. n. 17489, Sez. II, del 12-10-2012).

 

Contratto – Clausola contenente il richiamo alla disciplina fissata in un distinto documento – Specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 II co. cod. civ. – Necessità – Esclusione

(cod. civ.: art. 1341 II co.)

— Quando i contraenti fanno riferimento alla disciplina fissata in un distinto documento al fine dell’integrazione della regolamentazione negoziale, le previsioni di quella disciplina si intendono conosciute e approvate per relationem, assumendo pertanto il valore di clausole concordate senza necessità di una specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c. (Sent. n. 18041, Sez. I, del 19-10-2012).

 

Contratto collettivo – Interpretazione di clausole ambigue – Interpretazione complessiva – Legittimità

(cod. civ.: art. 1363; D.Lgs. 165/2001: artt. 1 II co., 35, 36)

— Nell’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva dei rapporti di lavoro, in presenza di clausole ambigue è legittimo il ricorso al canone ermeneutico dell’interpretazione complessiva, attenendosi al principio secondo cui, tra le interpretazioni possibili, l’interprete deve privilegiare quella che non sia contra legem, nel senso che non può il contratto collettivo, destinato ad incidere su un istituto legale, contraddire le connotazioni proprie di quest’ultimo. (Nella specie la Suprema Corte, rilevando che la normativa di cui agli artt. 35 e 36 D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 si applica alle amministrazioni pubbliche previste dall’art. 1, comma 2, della medesima legge, fra cui rientrano gli enti pubblici non economici, ha escluso che la clausola del contratto collettivo che prevedeva l’obbligo di assunzione diretta di tre unità di personale potesse essere applicata all’Enac) (Sent. n. 17168, Sez. lavoro, del 9-10-2012).

 

Contratto commutativo – Assunzione del «rischio supplementare»

(cod. civ.: artt. 1322, 1467, 1469, 1470, 1497, 1664)

— Anche per i contratti cosiddetti commutativi le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni, ed assumere, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (artt. 1467 e 1664 c.c.). L’assunzione del detto rischio supplementare può formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni. (Nella specie, la S.C., affermando l’enunciato principio, ha assunto che la peculiare pattuizione, connotante di parziale aleatorietà il contratto di vendita inter partes, portava ad escludere l’applicabilità dell’art. 1497 c.c., non potendo dirsi promesse tra le parti, ma solo prefigurate come possibile rischio futuro, determinate qualità della cosa venduta, e cioè, segnatamente, la resa ottimale dell’impianto) (Sent. n. 17485, Sez. II, del 12-10-2012).

 

Controversie individuali relative a rapporti di lavoro subordinato – Nozione

(cod. proc. civ.: art. 409 n. 1)

— Per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 409, n. 1, c.p.c., debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l’eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio di cui in massima, ha confermato sul punto la decisione di merito che aveva ritenuto sussistente la competenza del giudice del lavoro nella controversia promossa jure hereditatis dai familiari del lavoratore nei confronti dell’impresa utilizzatrice della prestazione, benché un rapporto di lavoro non fosse configurabile né con tale impresa né con la compagnia portuale, di cui il dante causa era socio lavoratore) (Sent. n. 17092, Sez. lavoro, dell’8-10-2012).

 

Divisione ereditaria – Principio dell’intrasmissibilità del diritto di prelazione fra coeredi

(cod. civ.: art. 732; cod. proc. civ.: art. 110)

— Il principio dell’intrasmissibilità del diritto di prelazione fra coeredi, previsto dall’art. 732 c.c., non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo dei suoi eredi, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Sent. n. 17673, Sez. II, del 16-10-2012).

 

Documentazione dell’attività amministrativa – Indicazione della persona fisica titolare dell’organo o sottoscrizione della stessa – Necessità – Esclusione

(L. 241/1990)

— La documentazione dell’attività amministrativa, soprattutto quando essa consista in certificazioni o accertamenti di fatto, o nella riproduzione del contenuto di altri atti, non richiede ad substantiam l’indicazione della persona fisica titolare dell’organo o addirittura la sottoscrizione della stessa, essendo sufficiente la sicura riconducibilità del documento (e quindi dell’atto di cui viene riprodotto il contenuto) all’amministrazione (Sent. n. 18348, Sez. II, del 25-10-2012).

 

Domanda giudiziale – Promessa del fatto del terzo – Modificazione ammissibile della domanda – Fattispecie

(cod. proc. civ.: artt. 345 I co., 437 II co.; cod. civ.: art. 1381)

— In caso di promessa del fatto del terzo, costituisce modifica ammissibile della domanda invocare, in primo grado, l’adempimento dell’obbligo contrattuale assunto (nella specie, l’assunzione di lavoratori già licenziati da Aeroporti di Roma s.p.a. da parte di società aeroportuali terze, in forza del lodo ministeriale del 2 agosto 2002) e chiedere, in appello, il pagamento dell’indennizzo ex art. 1381 c.c. ove i terzi non abbiano compiuto il fatto promesso, dovendosi ritenere la nuova domanda come mera riduzione di quella originaria (Sent. n. 17168, Sez. lavoro, del 9-10-2012).

 

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo – Deduzione di fatti modificativi od estintivi del rapporto sostanziale consacrato dal giudicato, che si siano verificati successivamente alla formazione dello stesso

(cod. proc. civ.: artt. 324, 474; L. 108/1996)

— La pretesa esecutiva fatta valere dal creditore può essere neutralizzata soltanto con la deduzione di fatti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale consacrato dal giudicato, che si siano verificati successivamente alla formazione dello stesso. Ne consegue che, in relazione ad un titolo esecutivo ormai formatosi, non può considerarsi fatto modificativo sopravvenuto la promulgazione della legge n. 108 del 1996, in quanto gli interessi pretesi con quel titolo non sono suscettibili di alcuna valutazione in termini di usurarietà alla luce dei criteri della legge sopravvenuta (Sent. n. 17903, Sez. III, del 18-10-2012).

 

Espropriazione per pubblica utilità – Occupazione d’urgenza

(L. 865/1971: art. 20; cod. civ.: artt. 1140, 1144)

— In tema di espropriazione per pubblica utilità, dopo l’adozione e l’esecuzione del provvedimento di occupazione d’urgenza, la permanenza nel godimento del fondo del proprietario o di altri soggetti che vantino diritti di natura reale o personale sul fondo stesso deve ascriversi a mera tolleranza della P.A., dovendosi presumere, sulla base del verbale di consistenza e di immissione in possesso, salva prova contraria, che il beneficiario del provvedimento di occupazione si sia effettivamente impossessato dell’immobile e che il proprietario e gli eventuali altri aventi diritto al godimento del fondo siano consapevoli dell’avvenuto loro spossessamento (Sent. n. 17192, Sez. I, del 9-10-2012).

 

Fallimento – Azione revocatoria – Conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente

(R.D. 267/1942: art. 67; cod. civ.: artt. 2727, 2729)

— In tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente deve essere effettiva, e non meramente potenziale, potendosi tuttavia la relativa dimostrazione basare anche su elementi indiziari caratterizzati dagli ordinari requisiti della gravità, precisione e concordanza, in applicazione del disposto degli articoli 2727 e 2729 c.c., i quali conducono a ritenere che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza ed avvedutezza rapportata anche alle sue qualità personali e professionali, nonché alle condizioni in cui egli si è trovato concretamente ad operare, non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore. Ne consegue che la mera levata dei protesti, parametrata alle sole caratteristiche del soggetto creditore, non è idonea, salvo che si riferisca a titoli di credito di cui sia beneficiario lo stesso convenuto in revocatoria, ipotesi in cui detta levata può assumere valore di prova diretta ad offrire una siffatta prova, atteso che le menzionate caratteristiche soggettive del creditore sono, a loro volta, un semplice elemento indiziante, utilmente apprezzabile in quanto tale nel coacervo degli altri indizi e non certo quale fatto noto per derivare da esso altra presunzione (Sent. n. 18196, Sez. I, del 24-10-2012).

 

Fallimento – Azione revocatoria – Garanzia prestata dalla società controllata in favore della società controllante

(R.D. 267/1942: art. 67; cod. civ.: art. 2359)

— Ai fini della revocatoria ex art. 67 legge fall., per accertare se la garanzia prestata dalla società controllata in favore della società controllante configuri atto a titolo gratuito o a titolo oneroso è necessario verificare se l’operazione abbia comportato per la società controllata un depauperamento effettivo, avendo riguardo alla complessiva situazione che a quella società fa capo nell’ambito del gruppo, poiché l’eventuale pregiudizio economico derivato alla controllata può trovare contropartita in un altro rapporto e, quindi, l’atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico — sia pure mediato e indiretto — della controllata stessa (Sent. n. 17200, Sez. I, del 9-10-2012).

 

Fallimento – Azione revocatoria – Mutuo con concessione di ipoteca

(R.D. 267/1942: art. 67 I co.; cod. civ.: artt. 1813, 2808)

— Ai fini della revocatoria ex art. 67, comma 1, legge fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire — attraverso l’erogazione di somme poi rifluite, in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, per il tramite di un terzo, nelle casse della banca mutuante — una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile, tra i negozi posti in essere, un collegamento funzionale, che persegue il motivo illecito della costituzione di ipoteca per debiti chirografari preesistenti (Sent. n. 17200, Sez. I, del 9-10-2012).

 

Fallimento – Controversie sui rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento – Intervento ad adiuvandum del curatore

(R.D. 267/1942: art. 43; cod. proc. civ.: artt. 105, 323)

— Nelle controversie sui rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, l’intervento ad adiuvandum spiegato dal curatore nel processo instaurato dal fallito non fa cessare la legittimazione cosiddetta vicaria o suppletiva del fallito stesso, né priva quest’ultimo della legittimazione ad impugnare la sentenza, atteso che la mera adesione all’iniziativa del fallito non vale a revocare l’originario disinteresse della curatela (Sent. n. 17367, Sez. I, dell’11-10-2012).

 

Fideiussione – Momento di perfezionamento dell’obbligazione fideiussoria

(cod. civ.: artt. 1333, 1936, 2719)

— L’obbligazione fideiussoria, quale promanante da un contratto unilaterale, con obbligazioni a carico di una sola parte, si perfeziona, se non rifiutata, con la conoscenza determinata dal proponente la garanzia che costituisca manifestazione della sua volontà contrattuale, rivolta al destinatario e trasmissibile anche a mezzo di altro soggetto, ma deve in questo caso riguardare lo stesso oggetto della trasmissione effettuata dal proponente, così da esprimerne la volontà, e quindi richiede l’originale della dichiarazione, e non una mera fotocopia (Sent. n. 17641, Sez. I, del 15-10-2012).

 

Fideiussione – Principio di buona fede – Funzione

(cod. civ.: artt. 1175, 1375, 1936)

— In tema di fideiussione, il generale principio etico-giuridico di buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri doveri, insieme alla nozione di abuso del diritto, che ne è un’espressione, svolge una funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore (nella specie, la banca), quale limite all’esercizio delle corrispondenti pretese, avendo ciascuna delle parti contrattuali il dovere di tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori. (Principio enunciato con riferimento al comportamento della banca recedente dalla garanzia concessa al cliente che aveva superato il limite dell’affidamento senza dare riscontro alle richieste di rientrare nel saldo debitorio) (Sent. n. 17642, Sez. I, del 15-10-2012).

 

Giudicato interno e assorbimento «improprio» – Elementi distintivi

(cod. proc. civ.: art. 324)

— Mentre il giudicato interno si forma anche sui capi della sentenza che siano stati oggetto di decisione implicita, ove la stessa non sia stata impugnata, nel caso di assorbimento c.d. improprio (il quale ricorre allorché una domanda viene rigettata in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre), sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, essendo sufficiente, per evitare il giudicato interno, censurare o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa (Sent. n. 17219, Sez. II, del 9-10-2012).

 

Giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica – Onere dell’attore ed onere del medico – Rispettivi oggetti

(cod. civ.: artt. 1218, 2697)

— Nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile (Sent. n. 17143, Sez. III, del 9-10-2012).

 

Impugnazioni – Integrazione del contraddittorio in cause inscindibili – Chiamata in giudizio di un terzo

(cod. proc. civ.: artt. 102, 106, 331)

— Qualora il convenuto chiami in causa un terzo per ottenere la declaratoria dell’esclusiva responsabilità di questo e la propria liberazione dalla pretesa dell’attore, si è in presenza di cause inscindibili, legate da un nesso di litisconsorzio necessario processuale, che, permanendo la contestazione in ordine all’individuazione dell’obbligato, non viene meno neppure in sede di impugnazione. Ne consegue che la tempestiva riassunzione della causa, davanti al giudice dichiarato competente, nei confronti di uno dei litisconsorti è sufficiente ad evitare l’estinzione, estendendo i suoi effetti conservativi agli altri soggetti necessari, nei cui confronti la riassunzione tardiva assume il carattere di atto di integrazione spontanea del contraddittorio (Sent. n. 17482, Sez. II, del 12-10-2012).

 

Impugnazioni – Interesse – Soccombenza

(cod. proc. civ.: artt. 100, 132 II co. n. 4, 323; L. 219/1981: art. 14)

— La soccombenza, che determina l’interesse all’impugnazione, deve essere valutata anche con riguardo alle enunciazioni contenute nella motivazione della sentenza, qualora esse siano suscettibili di passare in giudicato, in quanto presupposti necessari della decisione. (Principio affermato circa la sentenza di condanna di un Comune al versamento del contributo di ricostruzione per evento sismico ai sensi dell’art. 14 della legge n. 219 del 1981, la cui motivazione enunciava l’appartenenza dell’attore ad una categoria di danneggiati e il difetto di prova dell’insufficienza dei fondi per l’erogazione della corrispondente provvidenza) (Sent. n. 17193, Sez. I, del 9-10-2012).

 

Intermediazione finanziaria – Intermediario convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi

(D.Lgs. 58/1998: art. 21)

— In tema di intermediazione mobiliare, l’intermediario finanziario, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi, non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento nel caso in cui l’investitore nel contratto-quadro si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato) (Sent. n. 18039, Sez. I, del 19-10-2012).

 

Lavoro subordinato – Eccezione d’inadempimento ex art. 1460 cod. civ. – Applicabilità

(cod. civ.: artt. 1181, 1460, 2094)

— Nel contratto di lavoro — ove le prestazioni sono corrispettive, in quanto all’obbligo di lavorare dell’una corrisponde l’obbligo di remunerazione dell’altra — ciascuna parte può valersi dell’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., dovendosi escludere che all’inadempienza del lavoratore il datore di lavoro possa reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale a norma dell’art. 1181 c.c. e con la richiesta di risarcimento. Ne consegue che, nel caso di inadempimento della prestazione lavorativa, il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni ove ricorrano le condizioni dell’art. 1460 c.c. (Nella specie, la sentenza impugnata aveva condannato il datore al pagamento delle retribuzioni per il periodo nel quale non vi era stata alcuna prestazione lavorativa, intercorrente tra la scadenza del periodo di comporto e la data di efficacia del licenziamento, ritenendo che il mantenimento del posto di lavoro del dipendente nel detto periodo, in assenza di causa legittima di sospensione, implicasse rinuncia del datore a far valere l’assenza ingiustificata del dipendente; la S.C., nel cassare la decisione impugnata, ha affermato il principio su esteso) (Sent. n. 17353, Sez. lavoro, dell’11-10-2012).

 

Lavoro subordinato – Impianti audiovisivi ed apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori

(L. 300/1970: art. 4 II co.)

— L’effettività del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori richiede che anche per i c.d. controlli difensivi trovino applicazione le garanzie dell’art. 4, comma 2, L. 20 maggio 1970 n. 300; ne consegue che se, per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro può installare impianti ed apparecchi di controllo che rilevino anche dati relativi all’attività lavorativa dei dipendenti, tali dati non possono essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale dei lavoratori medesimi. (Fattispecie relativa al rilevamento delle telefonate con il software Bluès 2002) (Sent. n. 16622, Sez. lavoro, dell’1-10-2012).

 

Lavoro subordinato – Mancato raggiungimento di un risultato finale da parte del dipendente (nella specie, quadro) – Rilevanza disciplinare – Esclusione

(cod. civ.: artt. 2095, 2119; L. 604/1966: art. 3)

— Il lavoratore subordinato, anche se inserito nella categoria dei quadri, è tenuto ad un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ne consegue che il mancato raggiungimento di un risultato finale da parte del dipendente (nella specie, l’attuazione di un programma di informatizzazione dei servizi aziendali da parte del responsabile del centro elaborazione dati di una società) non ha rilevanza disciplinare, ma può integrare — ove il datore dimostri il notevole inadempimento del lavoratore, mediante la prova di elementi tali che consentano al giudicante di mettere a confronto il grado di diligenza normalmente richiesto per la prestazione lavorativa con quello effettivamente usato dal lavoratore — i presupposti del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo (Sent. n. 17337, Sez. lavoro, dell’11-10-2012).

 

Lavoro subordinato – Retribuzione ex artt. 2118 II co. e 2120 cod. civ. – Nozione

(cod. civ.: artt. 2118 II co., 2120)

— Il concetto di retribuzione recepito dagli artt. 2118, comma 2, c.c. (ai fini del calcolo dell’indennità di preavviso in caso di licenziamento) e 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati all’effettiva prestazione lavorativa, mentre ne vanno escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand’anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro. (In base al suddetto principio, la S.C. ha ritenuto di ricomprendere nel calcolo degli emolumenti citati il controvalore dell’uso dell’autovettura di proprietà del datore di lavoro utilizzata anche per motivi personali, le relative spese di assicurazione e accessorie nonché le polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro a favore del lavoratore) (Sent. n. 16636, Sez. lavoro, dell’1-10-2012).

 

Lavoro subordinato – Retribuzione – Nozione

(Cost.: art. 36; cod. civ.: art. 2099)

— Nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l’attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. (Nella specie, la Corte territoriale aveva riscontrato un accordo tra le parti secondo cui il dipendente, nell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, doveva svolgere anche attività come amministratore o liquidatore delle società del gruppo, ricevendo per tali attività un compenso aggiuntivo corrisposto talora direttamente dal datore, talaltra per il tramite delle società del gruppo; la S.C. ha confermato la decisione, affermando il principio su esteso) (Sent. n. 16636, Sez. lavoro, dell’1-10-2012).

 

Licenziamento fondato su di un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore lesivo dei suoi doveri contrattuali – Giustificato motivo oggettivo – Sussistenza – Esclusione

(L. 604/1966: art. 3; L. 300/1970: art. 7)

— In tema di licenziamento individuale, deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo quando, al di là di ogni eventuale riferimento a ragioni relative all’impresa, il licenziamento sia fondato su di un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore lesivo dei suoi doveri contrattuali, ed esprima pertanto un giudizio negativo nei suoi confronti, tale da esigere il rispetto dell’iter prescritto dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, senza che assuma rilievo la circostanza che la valutazione sfavorevole non abbia ad oggetto le qualità strettamente tecniche del lavoratore, ma investa altri aspetti dell’attività professionale o della sua personalità, che siano concorrenti ad integrarne il patrimonio professionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittimo, in quanto ontologicamente disciplinare, il licenziamento intimato ad una lavoratrice per comportamenti ritenuti non in linea con le disposizioni aziendali e incidenti sul corretto funzionamento dell’impresa) (Sent. n. 18287, Sez. lavoro, del 25-10-2012).

 

Locazione di immobili ad uso non abitativo – Conduttore in mora che adempia la propria obbligazione dopo che il locatore abbia domandato la risoluzione del contratto

(cod. civ.: artt. 1219, 1453, 1455, 1591; L. 392/1978: artt. 27, 55)

— La circostanza che il conduttore in mora di un immobile ad uso non abitativo adempia la propria obbligazione dopo che il locatore abbia domandato la risoluzione del contratto, non può essere tenuta in considerazione al fine di stabilire se nell’inadempimento ricorra il requisito della gravità, di cui all’art. 1455 c.c.; al contrario, la circostanza che l’inadempimento del conduttore, non grave al momento della domanda di risoluzione proposta dal locatore, si aggravi in corso di causa, è rilevante ai fini dell’accoglimento della suddetta domanda di risoluzione (Sent. n. 18500, Sez. III, del 26-10-2012).

 

Obbligazioni – Adempimento parziale – Rifiuto del creditore

(cod. civ.: artt. 1175, 1181, 1375)

— La vittima di un fatto illecito può legittimamente rifiutare la somma offertagli dal responsabile a titolo di risarcimento, se questa non sia sufficiente a coprire il danno, gli interessi e le spese, in quanto il creditore, ai sensi dell’art. 1181 c.c., può sempre rifiutare l’adempimento parziale, salvo che il debitore non dimostri che il rifiuto sia contrario a buona fede (Sent. n. 17140, Sez. III, del 9-10-2012).

 

Obbligazioni – Estinzione – Novazione oggettiva – Elementi essenziali

(cod. civ.: artt. 1230 I e II co., 1231; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— Poiché la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi, consistente nell’inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. L’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità solamente se è conforme alle disposizioni contenute negli artt. 1230, commi 1 e 2, e 1231 c.c., e se risulta congruamente motivato. (In applicazione del detto principio, la S.C. ha escluso che, in presenza di contratti di lavoro a termine illegittimi, la successiva stipulazione di un contratto legittimo estingua il rapporto di lavoro venutosi a creare a seguito dell’illegittimità dei precedenti contratti a termine, in assenza di elementi che permettano di ritenere che le parti, con consapevolezza della conversione del precedente rapporto, abbiano inteso costituire un nuovo rapporto di lavoro) (Sent. n. 17328, Sez. lavoro, dell’11-10-2012).

 

Obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale – Diligenza esigibile dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza

(cod. civ.: artt. 1176 II co., 1218)

— La diligenza esigibile dal medico nell’adempimento della sua prestazione professionale, pur essendo quella «rafforzata» di cui al comma 2 dell’art. 1176 c.c., non è sempre la medesima, ma varia col variare del grado di specializzazione di cui sia in possesso il medico, e del grado di efficienza della struttura in cui si trova ad operare. Pertanto dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza è esigibile una diligenza più elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione od inserito in una struttura meno avanzata (Sent. n. 17143, Sez. III, del 9-10-2012).

 

Onere della prova – Riparto

(cod. civ.: art. 2697)

— In tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo (Ord. n. 16917, Sez. VI, del 4-10-2012).

 

Pegno – Posizione del debitore e posizione del terzo che ha costituito il pegno – Elemento distintivo

(cod. civ.: art. 2784)

— La posizione del debitore e quella del terzo che ha costituito il pegno è differenziata, in quanto la prelazione pignoratizia determina il mero adempimento del debito originario da parte del terzo, restando irrilevante il fatto che quest’ultimo possa poi agire in regresso nei confronti del debitore, posto che a tale rapporto il creditore rimane estraneo (Sent. n. 17477, Sez. II, del 12-10-2012).

 

Prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da un fatto illecito che costituisca anche reato

(cod. civ.: art. 2947; cod. pen.: art. 157)

— Il diritto al risarcimento del danno derivante da un fatto illecito che costituisca anche reato si prescrive nel termine di prescrizione del reato solo se per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, mentre, in caso contrario, troverà applicazione il termine di prescrizione del diritto al risarcimento (Sent. n. 17142, Sez. III, del 9-10-2012).

 

Processo del lavoro – Appello con riserva dei motivi

(cod. proc. civ.: artt. 433, 434 II co.)

— Nelle controversie soggette al rito del lavoro, ove, a seguito della pronuncia di primo grado e dell’inizio dell’esecuzione sulla base del solo dispositivo, l’appello venga proposto in un momento in cui è stata depositata la sentenza, con un atto denominato appello con riserva dei motivi e, tuttavia, contenente motivi di appello (pur espressamente articolati dal difensore con dichiarazione di non conoscenza della motivazione), il giudice di appello, ove l’appellante non abbia successivamente svolto alcuna attività di integrazione a norma dell’art. 434, comma 2, c.p.c., può considerare l’atto come introduttivo di un appello pieno, se i motivi si presentano idonei a criticare la motivazione della sentenza impugnata in quanto pongano questioni con essa correlate, o, altrimenti, deve dichiararne l’inammissibilità per tale ragione (Sent. n. 18409, Sez. III, del 26-10-2012).

 

Processo – Sospensione necessaria

(cod. proc. civ.: art. 295)

— L’art. 295 c.p.c., nel prevedere la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione «dipenda» dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva conseguenzialità fra due emanande statuizioni e quindi, coerentemente con l’obiettivo di evitare un conflitto di giudicati, non ad un mero collegamento fra diverse statuizioni per l’esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti di diritto da risolvere per la loro adozione ma ad un collegamento per cui l’altro giudizio (civile, penale o amministrativo), oltre a investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l’esito della causa da sospendere, deve essere pendente in concreto e coinvolgere le stesse parti. (Nella specie, la S.C. ha escluso la sospensione di un giudizio di opposizione a cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali in ragione della pendenza in grado più avanzato tra le stesse parti di altro giudizio analogo relativo a diverso periodo contributivo, in ragione dell’autonomia dei procedimenti e della diversità di oggetto degli stessi) (Ord. n. 16844, Sez. VI, del 3-10-2012).

 

Processo – Sospensione necessaria – Presupposti

(cod. proc. civ.: artt. 295, 360; cod. civ.: art. 2697)

— La sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto, ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento alcuna ragion d’essere, e traducendosi anzi in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione. Ne consegue che, ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l’onere di dimostrare che quest’altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, dovendosi ritenere, in difetto, che manchi la prova dell’interesse concreto ed attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo né la Corte di cassazione, né un eventuale giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio, in attesa della definizione di un’altra causa che non risulti più effettivamente in corso (Sent. n. 18026, Sez. lavoro, del 19-10-2012).

 

Proprietà – Limitazioni legali – Distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi e distanze nelle costruzioni

(cod. civ.: artt. 873, 905)

— La disposizione di cui all’art. 905 c.c., volta a salvaguardare il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l’apertura di vedute, non ha correlazione alcuna con quella di cui all’art. 873 c.c., diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza negli abitati, non potendo, pertanto, la prima norma ritenersi integrata da eventuali regolamenti locali in tema di distanze tra fabbricati o dal confine (Sent. n. 18595, Sez. II, del 29-10-2012).

 

Prova – Poteri del giudice – Fatto notorio – Nozione

(cod. proc. civ.: art. 115)

— Le nozioni di comune esperienza, di cui all’art. 115 c.p.c., comportando il ricorso ad esse una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, vanno intese in senso rigoroso, e cioè come fatti acquisiti alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili. Ne consegue che non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio. (Nella specie, la S.C. ha annullato con rinvio la decisione della commissione tributaria di secondo grado che aveva ritenuto di poter stabilire la percentuale di ricarico sulla somministrazione di tazzine di caffè nella misura del 100% del prezzo di vendita, sulla base del notorio) (Sent. n. 16959, Sez. tributaria, del 5-10-2012).

 

Prova testimoniale – Eccezioni al divieto della prova testimoniale – Nozione di «principio di prova per iscritto» ex art. 2724 n. 1 cod. civ.

(cod. civ.: art. 2724 n. 1; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— Gli estremi richiesti dall’art. 2724, n. 1, c.c. perché un documento possa costituire principio di prova per iscritto così eccezionalmente consentendo l’ammissione, come nella specie, della prova per testimoni non esigono un preciso riferimento al fatto controverso, ma l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui scaturisca la verosimiglianza del secondo, alla stregua di un apprezzamento di merito insindacabile nella sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Sent. n. 17776, Sez. I, del 16-10-2012).

 

Ricorso per cassazione – Contenuto – Omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito

(cod. proc. civ.: artt. 366 I co. n. 6, 369 II co. n. 4)

— Qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali, potendo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a pena di inammissibilità), e dall’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (a pena di improcedibilità del ricorso), senza che occorra la pedissequa riproduzione dell’intero letterale contenuto degli atti processuali, riproduzione, anzi, inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto diretta ad affidare alla Corte il compito supplementare di scegliere quanto effettivamente rileva ai fini delle argomentazioni dei motivi di ricorso, nell’ambito del copioso materiale prodotto, contenente anche elementi estranei al thema decidendum (Sent. n. 17168, Sez. lavoro, del 9-10-2012).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza della censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo

(cod. proc. civ.: artt. 244, 360 I co., 360 bis n. 2; Cost.: artt. 24 II co., 111)

— In tema di ricorso per cassazione, la violazione dei principi regolatori del giusto processo, di cui all’art. 360 bis, comma 1, n. 2, c.p.c., non integra un nuovo motivo di ricorso accanto a quelli previsti dall’art. 360, comma 1, c.p.c., in quanto il legislatore ha unicamente segnato le condizioni per la sua rilevanza mediante l’introduzione di uno specifico strumento con funzione di filtro, sicché sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi denunciabili. (Nella specie, il ricorrente deduceva, quale motivo autonomo, le violazioni dei principi regolatori del giusto processo in relazione all’obbligo di motivazione ed alla garanzia del diritto di difesa anche per il mancato completamento della prova testimoniale; la S.C., enunciando l’anzidetto principio, ha ritenuto la censura inammissibile) (Sent. n. 18551, Sez. lavoro, del 29-10-2012).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Nullità della sentenza o del procedimento

(cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 4)

— Nel ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., il motivo del ricorso deve concludersi con la formulazione del quesito di diritto nel solo caso in cui la denuncia dell’error in procedendo comporti necessariamente la soluzione di una questione di diritto e non sia, invece, riscontrabile dal mero esame degli atti. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non necessaria la formulazione del quesito di diritto in relazione ad un motivo di ricorso con il quale era stata denunciata l’omessa pronuncia sulla richiesta di ammissione al passivo di determinati crediti) (Sent. n. 17059, Sez. I, del 5-10-2012).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Questione relativa alla titolarità del rapporto oggetto di causa – Non può essere dedotta per la prima volta – Conseguenza

(cod. proc. civ.: artt. 360 I co., 366)

— In sede di legittimità non può essere dedotta per la prima volta la questione relativa alla titolarità del rapporto oggetto di causa, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che chieda di risolvere tale questione, attinente al merito (Sent. n. 18574, Sez. I, del 29-10-2012).

 

Risarcimento del danno da fatto illecito – Ritardato adempimento dell’obbligo di risarcimento

(cod. civ.: artt. 1223, 1224 II co., 1226, 2043, 2056)

— Il ritardato adempimento dell’obbligo di risarcimento causa al creditore un danno ulteriore, rappresentato dalla perduta possibilità di investire la somma dovutagli e ricavarne un lucro finanziario. Tale danno va liquidato dal giudice in via equitativa, anche facendo ricorso ad un saggio di interessi (cosiddetti «interessi compensativi») i quali non costituiscono un frutto civile dell’obbligazione principale, ma una mera componente dell’unico danno da fatto illecito (Sent. n. 17155, Sez. III, del 9-10-2012).

 

Risarcimento del danno da «nascita indesiderata» dovuto ad errore del medico – Spettanza

(cod. civ.: art. 2043)

— Il risarcimento del danno c.d. da nascita indesiderata, scaturente dall’errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito, impedisca alla madre l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, spetta sia ai genitori del soggetto nato malformato, sia ai suoi fratelli (Sent. n. 16754, Sez. III, del 2-10-2012).

 

Scrittura privata – Riconoscimento – Presunzione di veridicità

(cod. civ.: art. 2702; cod. proc. civ.: art. 221)

— La scrittura privata, una volta intervenuto il riconoscimento o un equipollente legale di questo, è assistita da una presunzione di veridicità per quanto attiene alla riferibilità di essa al suo sottoscrittore, sicché la difformità tra l’imputabilità formale del documento e l’effettiva titolarità della volontà che esso esprime, quando non attenga ad un’intrinseca divergenza del contenuto, ma all’estrinseco collegamento dell’espressione apparente, non è accertabile con i normali mezzi di contestazione e prova, ma soltanto con lo speciale procedimento previsto dalla legge per infirmare il collegamento fra dichiarazione e sottoscrizione, cioè con la querela di falso (Sent. n. 18664, Sez. II, del 30-10-2012).

 

Servitù volontaria – Estensione ed esercizio

(cod. civ.: artt. 1058, 1063)

— Il titolo costitutivo od indicativo di una servitù prediale deve contenere tutti gli elementi atti ad individuare il contenuto oggettivo del peso imposto sopra un fondo per l’utilità di altro fondo appartenente a diverso proprietario, con la specificazione dell’estensione e delle modalità di esercizio in relazione all’ubicazione dei fondi, restando inefficaci, per detti fini, le clausole cosiddette di stile, che facciano, cioè, generico riferimento a stati di fatto sussistenti, a servitù attive e passive e cosi via (Sent. n. 18349, Sez. II, del 25-10-2012).

 

Sistema radiotelevisivo privato – Titolare di un impianto di trasmissioni via etere che utilizzi di fatto e con preuso una banda di frequenza

(L. 223/1990: art. 16; cod. proc. civ.: art. 1)

— Il titolare di un impianto di trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale che utilizzi di fatto e con preuso una banda di frequenza è portatore — nei confronti di altro utilizzatore privato che si trovi nella medesima condizione e interferisca sulla stessa frequenza — di posizioni giuridiche soggettive tutelabili davanti al giudice ordinario, sia in sede possessoria che petitoria, non venendo in rilievo un’attività svolta in regime di pubblica concessione, devoluta alla cognizione del giudice amministrativo (Sent. n. 17243, Sez. Unite, del 10-10-2012).

 

Transazione della lite, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado, tra il danneggiato e la compagnia assicurativa – Deve essere dedotta nel corso del grado stesso

(cod. civ.: art. 1965; cod. proc. civ.: art. 345 II co.)

— Qualora, nel corso del giudizio di primo grado, sia intervenuta una transazione della lite tra il danneggiato e la compagnia assicurativa, tale evento deve essere dedotto nella prima difesa utile e, quindi, nel corso del grado stesso; in mancanza, la cessazione della materia del contendere per avvenuta transazione, pur non integrando un’eccezione in senso stretto, non può essere presa in considerazione dal giudice, in quanto non tempestivamente dedotta dalla parte nel rispetto dei termini processuali fissati dalla legge (Sent. n. 17896, Sez. III, del 18-10-2012).

 

Transazione novativa conclusa nelle more del giudizio – Eccezione in senso stretto – Configurabilità – Esclusione – Ragione

(cod. civ.: art. 1965; cod. proc. civ.: art. 345 II co.)

— La transazione novativa conclusa nelle more del giudizio non costituisce un’eccezione in senso stretto, perché introduce una questione processuale idonea a chiudere la lite, dichiarando la cessazione della materia del contendere sulla base di un fatto che non attiene al merito della controversia, e, dunque, non soggiace alle regole ed alle preclusioni che governano, nei vari gradi di giudizio, l’allegazione delle circostanze che ad esso si riferiscono (Sent. n. 18195, Sez. I, del 24-10-2012).