Massime civili della Cassazione di giugno 2012

Agenzia – Attribuzione all’agente della facoltà di riscossione dei crediti del preponente

(cod. civ.: art. 1744)

— In tema di contratto di agenzia, l’attribuzione all’agente della facoltà di riscossione dei crediti del preponente, di cui all’art. 1744 c.c., può avvenire in qualunque forma ed essere provata nei modi ordinari. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto raggiunta la prova dell’attribuzione, mediante autorizzazione telefonica, di detta facoltà di riscuotere i crediti in base alla testimonianza resa dal procacciatore di affari incaricato di promuovere la conclusione del contratto di vendita dedotto in lite) (Sent. n. 9353, Sez. II, dell’8-6-2012).

 

Anticipazione su fatture, o sconto improprio, a fronte del mandato all’incasso di ricevute bancarie – Onere del creditore che pretende la restituzione delle somme erogate in ragione del mancato pagamento del terzo

(cod. civ.: artt. 1858, 2697)

— Nel caso della c.d. anticipazione su fatture, o sconto improprio, a fronte del mandato all’incasso di ricevute bancarie è onere del creditore, che pretende la restituzione delle somme erogate in ragione del mancato pagamento del terzo, dimostrare non solo l’esistenza del contratto di finanziamento, bensì anche l’avvenuta erogazione delle somme sovvenute, senza che ad integrare tale prova possa ritenersi sufficiente la produzione, da parte della banca, dell’originale delle ricevute bancarie, di per sé inidonee a dimostrare l’effettiva anticipazione delle somme oggetto di finanziamento (Sent. n. 9848, Sez. I, del 15-6-2012).

 

Appalto – Decadenza del committente dalla garanzia per i vizi dell’opera

(cod. civ.: artt. 1667, 2697)

— In tema di appalto, allorché l’appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia di cui all’art. 1667 c.c. per i vizi dell’opera, incombe su questi l’onere di dimostrare di averli tempestivamente denunziati, costituendo tale denuncia una condizione dell’azione. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto non assolto l’onere del committente di provare la tempestività della denunzia di vizi riconoscibili, dovendosi tener conto dell’epoca di esecuzione delle opere, nonché della presenza di un direttore dei lavori) (Sent. n. 10579, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Appalto di opere pubbliche – Operazioni di collaudo

(D.Lgs. 163/2006; cod. civ.: artt. 1374, 1375)

— In tema di appalto di opere pubbliche, l’Amministrazione appaltante, anche con riferimento alle operazioni di collaudo, non può ritardare sine die le proprie determinazioni, paralizzando per un tempo indefinito i diritti della controparte, essendo tenuta ad eseguire il contratto nel rispetto degli artt. 1374 e 1375 c.c.; pertanto, se sia fissato espressamente nell’atto un termine per il compimento delle indicate operazioni, e lo stesso trascorra senza che sia adottato alcun provvedimento, tale situazione assume il significato di rifiuto del collaudo e di inadempimento da parte del committente. Ne consegue che, da tale momento, non solo l’appaltatore può agire in sede giurisdizionale per far valere i suoi diritti, senza necessità di costituire preliminarmente in mora la debitrice, né di assegnarle o chiedere che le sia assegnato un termine, ma inizia anche a decorrere il termine di prescrizione (Sent. n. 10377, Sez. I, del 21-6-2012).

 

Appalto – Recesso unilaterale del committente dal contratto

(cod. civ.: artt. 1671, 2697)

— In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi (Sent. n. 9132, Sez. VI, del 6-6-2012).

 

Appalto – Variazioni del progetto che importano «notevoli modificazioni della natura dell’opera»

(cod. civ.: art. 1661)

— In tema di appalto, al fine di individuare la fattispecie prevista dall’art. 1661, comma 2, c.c., relativa alle variazioni del progetto che importano «notevoli modificazioni della natura dell’opera», con conseguente inapplicabilità dello jus variandi del committente di cui al comma 1 del citato art. 1661, occorre aver riguardo allo sconvolgimento del piano originario delle opere, che determina una sostituzione consensuale del regolamento contrattuale già in essere e trova concretezza in base a specifici parametri, correlati all’entità materiale e tecnica degli interventi di modifica o alla loro consistenza economica. (Nella specie, in base all’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso che le varianti eseguite, nell’ambito dei lavori di costruzione di sei appartamenti e altrettanti posti auto, integrassero notevoli modificazioni della natura delle opere sia in assoluto, sia in rapporto all’economia dell’appalto) (Sent. n. 10201, Sez. II, del 20-6-2012).

 

Appello – Domande nuove

(cod. proc. civ.: art. 345 I co.; cod. civ.: artt. 1051, 1079)

— Qualora, proposta in via principale un’actio negatoria servitutis, il convenuto, nel costituirsi, si limiti ad invocare il rigetto dell’avversa domanda, per la supposta esistenza di un titolo costitutivo contrattuale del controverso diritto di servitù, formulando altresì, in via subordinata, distinte domande riconvenzionali di acquisto della servitù a titolo di usucapione o di costituzione coattiva del passaggio, ai sensi dell’art. 1051 c.c., deve qualificarsi come domanda nuova, inammissibile nel giudizio d’appello ai sensi dell’art. 345, comma 1, c.p.c., l’actio confessoria servitutis, fondata sul titolo contrattuale, che venga proposta in sede di gravame dal convenuto soccombente (Sent. n. 9356, Sez. II, dell’8-6-2012).

 

Appello – Intervento

(cod. proc. civ.: art. 344; cod. civ.: art. 2932)

— Nei casi di intervento in appello, a norma dell’art. 344 c.p.c., da parte di chi prospetti che la situazione giuridica accertata o costituita dalla sentenza di primo grado possa pregiudicare un proprio autonomo diritto, legittimazione e merito si confondono, in quanto la prima discende dall’effettiva titolarità del diritto incompatibile vantato ed il secondo concerne proprio l’incompatibilità tra quel diritto e la situazione giuridica accertata o costituita. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale, in relazione a giudizio di appello avverso sentenza pronunciata su domanda ex art. 2932 c.c., aveva escluso la legittimazione ad intervenire di un terzo subentrato nei diritti nascenti da un precedente preliminare di vendita in capo al promittente compratore, in conseguenza dell’esercizio della facoltà di nomina riconosciuta a quest’ultimo, sul presupposto della non perfetta identità dell’immobile oggetto dei due contratti) (Sent. n. 10590, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Appello – Prove nuove

(cod. proc. civ.: art. 345 III co.)

— In tema di prove nuove in appello, la valutazione di indispensabilità dei nuovi documenti, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., può risultare dalla motivazione della sentenza di appello, presupponendo unicamente che i nuovi documenti siano depositati con l’atto di appello ed indicati nell’elenco a corredo, senza che occorra una richiesta espressamente rivolta al giudice affinché ne autorizzi la produzione (Sent. n. 8877, Sez. I, dell’1-6-2012).

 

Appello – Questioni non esaminate dal giudice perché ritenute assorbite dall’accoglimento di un motivo di gravame avente natura pregiudiziale

(cod. proc. civ.: art. 339)

— Sulle questioni non esaminate dal giudice d’appello, perché ritenute assorbite dall’accoglimento di un motivo di gravame avente natura pregiudiziale, non può formarsi alcun giudicato, a nulla rilevando che il giudice d’appello, accogliendo in parte l’impugnazione, abbia dichiarato di «confermare nel resto l’impugnata sentenza» (Sent. n. 9303, Sez. III, dell’8-6-2012).

 

Appello – Sentenza che, riformando quella di primo grado, faccia sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa

(cod. proc. civ.: artt. 282, 336, 474)

— Una sentenza d’appello che, riformando quella di primo grado, faccia per ciò sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce titolo esecutivo se non contenga una espressa statuizione di condanna in tal senso (Sent. n. 9287, Sez. III, dell’8-6-2012).

 

Arbitrato – Giudizio di impugnazione per nullità del lodo

(cod. proc. civ.: art. 336 I co.)

— Anche nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale trova applicazione il principio, desumibile dall’art. 336, comma 1, c.p.c., secondo cui la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado ha effetto sulle parti dipendenti dalla parte riformata (c.d. «effetto espansivo interno») e determina, pertanto, la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite; ne consegue che il giudice di appello ha il potere-dovere di rinnovare totalmente, anche d’ufficio, il regolamento di tali spese, alla stregua dell’esito finale della causa. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della corte di appello che aveva dichiarato nulli il procedimento arbitrale e i lodi emessi, parziale e definitivo, condannando i ricorrenti per cassazione al pagamento delle spese sia del giudizio arbitrale che del giudizio di impugnazione) (Sent. n. 8919, Sez. I, del 4-6-2012).

 

Cessione dei crediti – Controversia tra il cessionario ed il debitore ceduto

(cod. civ.: art. 1260; cod. proc. civ.: art. 102)

— Nella controversia tra il cessionario di un credito ed il debitore ceduto non sono litisconsorti necessari né il creditore cedente né, in caso di più cessioni consecutive del medesimo credito, i cessionari intermedi, a meno che la parte che vi abbia interesse non abbia domandato l’accertamento dell’esistenza del credito o dell’efficacia delle cessioni nei confronti di tutti i soggetti che vi hanno preso parte (Sent. n. 8980, Sez. III, del 5-6-2012).

 

Circolazione stradale – Diritto di precedenza

(cod. strad.: art. 145 I co.)

— In tema di circolazione stradale, il conducente che impegna un incrocio, ancorché provenendo da destra, per il solo fatto che goda del diritto di precedenza non è esentato dall’obbligo di usare la dovuta attenzione nell’attraversamento, anche in relazione ai pericoli derivanti da comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada, che non si attengono al segnale di arresto (Sent. n. 9528, Sez. III, del 12-6-2012).

 

Circolazione stradale – Scontro tra veicoli – Presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 II co. cod. civ.

(cod. civ.: art. 2054 II co.)

— Nel caso di scontro tra veicoli, la presunzione di pari responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c. ha carattere sussidiario, dovendosi applicare soltanto nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro; l’accertamento della intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell’obbligo di dare la precedenza, non dispensa peraltro il giudice dal verificare il comportamento dell’altro conducente onde stabilire se quest’ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l’eventuale inosservanza di dette norme comportare l’affermazione di una colpa concorrente (Sent. n. 9528, Sez. III, del 12-6-2012).

 

Compossesso – Nozione

(cod. civ.: artt. 1140, 1158)

— Il compossesso non consiste nell’esercizio, solidaristico e comunitario, di un’unica signoria, rappresentando, piuttosto, la situazione della confluenza su di una stessa cosa di poteri plurimi, corrispondenti, nella loro estrinsecazione, ad altrettanti distinti diritti, di identico o di differente tipo. Ne consegue che il convivente more uxorio del soggetto possessore dell’immobile in cui risiede la famiglia di fatto, in ragione di tale sola convivenza, pur qualificata dalla stabilità della relazione e protetta dall’ordinamento, non è compossessore con quello, ma detentore autonomo dell’immobile stesso, che, dunque, non può usucapire (Sent. n. 9786, Sez. II, del 14-6-2012).

 

Concorrenza sleale – Presupposto soggettivo del «rapporto di concorrenzialità»

(cod. civ.: artt. 1292, 2043, 2598)

— La concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non ravvisabile, pertanto, ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto «rapporto di concorrenzialità», senza che, tuttavia, la configurabilità dell’illecito concorrenziale sia da escludere quando l’atto lesivo venga compiuto da un soggetto (il cosiddetto terzo interposto), il quale agisca per conto di un concorrente del danneggiato, o comunque in collegamento con lo stesso, dovendo, in tal caso, ritenersi il terzo responsabile in solido con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta; per contro, in mancanza di tale collegamento tra l’autore del comportamento lesivo e l’imprenditore concorrente, il terzo può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Nella specie, in base all’enunciato principio, la S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito, la quale aveva escluso le condizioni necessarie ai fini dell’applicazione dell’art. 2598 c.c., in relazione all’attività di collocamento di strumenti finanziari compiuta da una banca, quale terza interposta, a vantaggio della preponente ed in danno dell’agente) (Sent. n. 9117, Sez. II, del 6-6-2012).

 

Concorrenza sleale – Storno di dipendenti

(cod. civ.: art. 2598 n. 3)

— Costituisce concorrenza sleale a norma dell’art. 2598, n. 3, c.c. l’assunzione di dipendenti altrui o la ricerca della loro collaborazione non tanto per la capacità dei medesimi, ma per l’utilizzazione, altrimenti impossibile o vietata, delle conoscenze tecniche usate presso altra impresa, compiuta con animus nocendi, ossia con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere, attesa l’esclusività di quelle nozioni tecniche e delle relative professionalità che le rendono praticabili, così da saltare il costo dell’investimento in ricerca ed in esperienza, da privare il concorrente della sua ricerca e della sua esperienza, e da alterare significativamente la correttezza della competizione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata rilevando che le conoscenze acquisite dai lavoratori trasmigrati, pur se di pregio, non avevano carattere di esclusività, né rendevano detti dipendenti assolutamente essenziali, e che questi risultavano avere avuto convenienza a mutare la propria sede di lavoro) (Sent. n. 9386, Sez. I, dell’8-6-2012).

 

Condanna generica al risarcimento del danno – Privazione del possesso conseguente all’occupazione di una parte di un terreno altrui

(cod. civ.: artt. 1168, 2043; cod. proc. civ.: art. 278)

— La privazione del possesso conseguente all’occupazione di una parte di un terreno altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli, idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, la quale si risolve in una declaratoria iuris che non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la reale esistenza del danno risarcibile (Sent. n. 9043, Sez. II, del 5-6-2012).

 

Condominio – Delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini

(cod. civ.: artt. 1102, 1117, 1136 V co., 1138)

— In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, c.c., non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi, ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento di condominio, di natura non contrattuale, relative all’utilizzazione ed ai modi di fruizione delle parti comuni (Sent. n. 9877, Sez. II, del 15-6-2012).

 

Condominio – Obbligo di rispettare un regolamento di condominio non impegnativo per il locatore da parte del conduttore di un immobile nei confronti del condominio

(cod. civ.: artt. 1138, 1571)

— In tema di condominio di edifici, il conduttore di un immobile sito nel fabbricato condominiale può obbligarsi nei confronti del condominio, mediante accordo con lo stesso, a rispettare un regolamento di condominio non impegnativo per il condomino locatore. (Nella specie, la S.C. ha, tuttavia, escluso la configurabilità di detto accordo in presenza di una sottoscrizione unilateralmente apposta dal conduttore sul contratto di compravendita relativo all’unità immobiliare locata e contenente il richiamo al regolamento, non costituendo tale sottoscrizione l’accettazione di una proposta proveniente dal condominio ed a quest’ultimo comunicata) (Sent. n. 10185, Sez. II, del 20-6-2012).

 

Contratto – Annullabilità – Eccezione

(cod. civ.: artt. 1441, 1442 IV co.)

— L’esistenza di un vizio che comporti l’annullabilità del contratto, così come può essere eccepita dal convenuto per paralizzare la pretesa attorea senza limiti di tempo, allo stesso modo può essere invocata, senza limiti di tempo, dall’attore allorché, chiesto l’adempimento del contratto, si sia visto eccepire l’esistenza d’un patto aggiunto impeditivo della domanda di condanna, ma annullabile per vizio del consenso (Sent. n. 10638, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Contratto – Caparra confirmatoria

(cod. civ.: artt. 1224, 1382, 1385 III co., 1453, 2697)

— In tema di caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal contratto, preferisca domandarne la risoluzione, ai sensi dell’art. 1385, comma 3, c.c., la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte inadempiente quale effetto della risoluzione stessa, in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo questo (consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte, maggiorata degli interessi) in re ipsa, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione riguarda esclusivamente l’eventuale maggior danno subìto per effetto dell’inadempimento dell’altra parte. Peraltro, ove nello stesso contratto sia stipulata una clausola penale in aggiunta alla caparra confirmatoria, tale ulteriore danno risulta automaticamente determinato nel quantum previsto a titolo di penale, la quale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne l’esecuzione o la risoluzione (Sent. n. 10953, Sez. II, del 28-6-2012).

 

Contratto – Conclusione – Presunzione di conoscenza ex art. 1335 cod. civ.

(cod. civ.: art. 1335)

— La spedizione di un atto al corretto indirizzo del destinatario non basta, da sola, per presumere che il destinatario l’abbia conosciuto. A tal fine è invece necessario che il plico sia effettivamente pervenuto a destinazione, in quanto il principio di presunzione di conoscenza, posto dall’art. 1335 c.c., opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione, ma non quando l’agente postale, ancorché errando, l’abbia rispedito al mittente, dichiarando essere il destinatario sconosciuto (Sent. n. 9303, Sez. III, dell’8-6-2012).

 

Contratto – Esecuzione specifica dell’obbligo di concluderlo

(cod. civ.: art. 2932; cod. proc. civ.: art. 346)

— In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, ove sia accolta dal giudice di primo grado la domanda ex art. 2932 c.c., senza tuttavia condizionare l’effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo, pur offerto dall’attore promissario acquirente, la medesima offerta di eseguire la prestazione non è configurabile come una domanda o un’eccezione non accolta, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., trattandosi di un fatto riferito ad una domanda proposta e già esistente all’inizio del processo, sicché il giudice del gravame non può ravvisare un impedimento alla pronuncia costitutiva nel mancato rinnovo della predetta offerta da parte del contraente appellato, non essendovi ragione di ribadire quella disponibilità nel corso del giudizio d’appello (Sent. n. 10590, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Contratto preliminare di compravendita – Caparra confirmatoria

(cod. civ.: artt. 1351, 1385, 1453, 1470, 2043)

— La somma di denaro che, all’atto della conclusione di un contratto preliminare di compravendita, il promissario acquirente consegna al promittente venditore a titolo di caparra confirmatoria, assolve la funzione, in caso di successiva risoluzione del contratto per inadempimento, di preventiva liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo, mentre il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento. Ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto e ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti (Sent. n. 9367, Sez. II, dell’8-6-2012).

 

Contratto preliminare e contratto definitivo

(cod. civ.: artt. 1230, 1351, 1372, 2697)

— Qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo (Sent. n. 9063, Sez. II, del 5-6-2012).

 

Contratto – Prova della simulazione – Promissario acquirente dell’interponente di una precedente compravendita simulata

(cod. civ.: artt. 1417, 1470)

— In tema di prova della simulazione, non è terzo, ai fini del regime dettato dall’art. 1417 c.c., il promissario acquirente dell’interponente di una precedente compravendita simulata, il quale intenda far valere, impugnando per simulazione il relativo contratto, che il proprio dante causa, pur non essendo formalmente intestatario del bene compromesso in vendita, lo aveva realmente acquistato, celandosi dietro l’interposto. Invero, detto promissario, pur non essendo partecipe della simulazione, non può non risentire delle conseguenze che l’interposizione fittizia comporta per il suo dante causa, il quale sostenga di essere il dissimulato acquirente, ponendosi entrambi in una situazione di convergenza sostanziale di interessi, in quanto il primo deriva e ripete in tutto la propria posizione dal secondo (Sent. n. 10592, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Contratto – Richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e sottoscrizione indiscriminata delle stesse

(cod. civ.: art. 1341 II co.)

— Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata delle stesse, sia pure apposta sotto la loro elencazione secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso sia garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra quelle richiamate (Sent. n. 9492, Sez. VI, dell’11-6-2012).

 

Contratto – Risoluzione per mutuo consenso

(cod. civ.: art. 1372)

— La risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volontà in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che può essere accertato d’ufficio dal giudice pure in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto (Sent. n. 10201, Sez. II, del 20-6-2012).

 

Demanio pubblico – Strade ferrate

(cod. civ.: artt. 822 II co., 826 III co.)

— Le strade ferrate, incluse nel demanio pubblico a norma dell’art. 822, comma 2, c.c., comprendono il suolo e le essenziali strutture, necessarie al funzionamento della linea, mentre fanno parte del patrimonio indisponibile, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, c.c., il materiale rotabile e gli edifici, non inerenti alla strada ferrata, destinati al pubblico servizio ferroviario. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva riconosciuto l’usucapibilità dell’immobile oggetto di causa, costituito da una linea ferrata e dalle sue pertinenze, non avendo esso mai assunto il carattere della demanialità né quello dell’appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato, alla luce della sua mancata destinazione all’uso pubblico in conseguenza della soppressione dei lavori di costruzione di un tronco ferroviario) (Sent. n. 9460, Sez. II, dell’11-6-2012).

 

Divorzio – Provvedimenti del giudice relativi all’affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento

(cod. civ.: artt. 155, 1362)

— I provvedimenti del giudice del divorzio relativi all’affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento, dovendo ispirarsi all’esclusivo interesse dei minori, non sono vincolati dalle richieste dei genitori, né dal loro accordo. Ne consegue che la sentenza di divorzio, che tale accordo recepisca, non può essere interpretata in base ai criteri stabiliti dall’art. 1362 c.c., astenendosi, cioè, dall’esclusivo riferimento al senso letterale delle espressioni usate ed indagando, invece, la comune intenzione delle parti, anche alla luce del comportamento successivamente tenuto, non potendo essere attribuita natura negoziale alle condizioni in essa stabilite (Sent. n. 10174, Sez. I, del 20-6-2012).

 

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo

(cod. proc. civ.: art. 474)

— Il titolo esecutivo, in quanto condizione necessaria dell’esecuzione, deve esistere nel momento in cui questa è minacciata con la notificazione dell’atto di precetto ed in cui è iniziata con l’introduzione del processo esecutivo; non si può formare successivamente e deve permanere per tutta la durata dell’esecuzione. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha escluso che potesse ritenersi validamente intimato il precetto al rilascio di un immobile sulla base di una sentenza priva di alcuna statuizione di condanna, anche implicita, solo perché integrata dalla sentenza di appello la quale conteneva nel dispositivo una pronuncia di condanna a consegnare il bene) (Sent. n. 10875, Sez. III, del 28-6-2012).

 

Fallimento – Stato di insolvenza – Criterio di accertamento

(R.D. 267/1942: art. 5)

— Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale deve essere accertato, ai fini della dichiarazione di fallimento, attraverso una valutazione globale, sia quantitativa che qualitativa, dei suoi debiti e dei suoi crediti ed a prescindere dalle cause che l’hanno determinato. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione di merito, la quale, nel dichiarare il fallimento, ha ritenuto irrilevante che l’attività imprenditoriale fosse stata ridimensionata dall’assoggettamento ad un sequestro, disposto illegittimamente dall’autorità giudiziaria) (Sent. n. 9253, Sez. I, del 7-6-2012).

 

Fideiussione – Scadenza dell’obbligazione principale

(cod. civ.: art. 1957)

— La regola dell’art. 1957 c.c. può essere derogata e la deroga può essere implicita nell’impegno del fideiussore di garantire comunque, senza limiti di durata, l’adempimento dell’obbligazione principale, impegno che può desumersi, a sua volta, dall’interpretazione complessiva del contratto di garanzia e del contratto principale (Sent. n. 9455, Sez. III, dell’11-6-2012).

 

Filiazione legittima – Presunzione legale di paternità

(cod. civ.: artt. 231, 235)

— La presunzione legale di paternità di cui all’art. 231 c.c., a norma della quale il marito della madre è padre del figlio da essa concepito durante il matrimonio, può essere vinta soltanto con l’azione di disconoscimento di cui all’art. 235 c.c. e, quindi, da parte dei soggetti, nei termini e nelle condizioni all’uopo previste, ancorché vi sia stata declaratoria di nullità del matrimonio tra i coniugi (Sent. n. 9379, Sez. I, dell’8-6-2012).

 

Giudizio possessorio – Divieto di proporre giudizio petitorio

(cod. proc. civ.: art. 705)

— Il divieto di proporre giudizio petitorio, previsto dall’art. 705 c.p.c., riguarda il solo convenuto nel giudizio possessorio, trovando la propria ratio nell’esigenza di evitare che la tutela possessoria chiesta dall’attore possa essere paralizzata, prima della sua completa attuazione, dall’opposizione diretta ad accertare l’inesistenza dello ius possidendi. Ne consegue che l’attore in possessorio, diversamente dal convenuto, può, anche in pendenza del medesimo giudizio possessorio, proporre autonoma azione petitoria, dovendosi interpretare tale proposizione come finalizzata ad un rafforzamento della tutela giuridica, e non già come rinuncia all’azione possessoria; detta facoltà, tuttavia, non può essere esercitata nello stesso giudizio possessorio, ma soltanto con una separata iniziativa, introducendo la domanda petitoria una causa petendi ed un petitum completamente diversi, dal che deriva l’inammissibilità della stessa se proposta dall’attore nella fase di merito del procedimento possessorio, la quale costituisce mera prosecuzione della fase sommaria (Sent. n. 10588, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Giudizio possessorio e giudizio petitorio – Concorso

(cod. proc. civ.: art. 705)

— In tema di concorso tra giudizio possessorio e giudizio petitorio, la riconosciuta titolarità in capo al soggetto convenuto (cosiddetto spoliator) di un diritto reale incompatibile con il comportamento che il ricorrente ha inteso tutelare con il ricorso possessorio, è idonea a paralizzare la tutela della situazione di fatto inconciliabile con detta statuizione. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito, che aveva deciso di non prendere in esame la domanda possessoria, in ragione della pronuncia, in essa adottata, con cui veniva riconosciuta fondata la domanda del convenuto volta a far dichiarare l’inesistenza della servitù vantata dal possessore ed il conseguente diritto di quest’ultimo di disporre liberamente del proprio bene) (Sent. n. 10588, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Giuramento – Accertamento della decisorietà della formula adottata

(cod. civ.: art. 2736; cod. proc. civ.: artt. 233, 360 I co. n. 5)

— In tema di giuramento, l’accertamento, in concreto, della decisorietà della formula adottata rientra nell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esente da vizi logici e giuridici, così come è incensurabile in tale sede il mancato esercizio, da parte del medesimo giudice, della facoltà di modificare la formula del giuramento, facoltà, peraltro, consentita solo per quanto attiene ad aspetti formali della formula stessa, al fine di renderne più chiaro il contenuto (Sent. n. 10574, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Lavoro subordinato – Patto di prova – Ripetizione in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti

(cod. civ.: art. 2096)

— Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la declaratoria di nullità del secondo patto di prova, apposto al contratto a tempo indeterminato stipulato appena quindici giorni dopo la scadenza del rapporto a termine, durato tra le stesse parti per quasi sette mesi, non avendo l’imprenditore dimostrato l’esistenza di uno specifico motivo di rivalutazione delle caratteristiche del lavoratore) (Sent. n. 10440, Sez. lavoro, del 22-6-2012).

 

Licenziamento illegittimo di un dirigente sindacale – Ordine giudiziale di reintegrazione nel posto di lavoro

(Cost.: artt. 1, 2, 4; L. 300/1970: artt. 18, 22)

— «Reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro», ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, significa «restituire in integro» la relazione del lavoratore col «posto di lavoro», in ogni suo profilo, anche non retributivo, poiché il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento economico, ma anche una forma di accrescimento della professionalità e di affermazione dell’identità, personale e sociale, tutelata dagli artt. 1, 2 e 4 Cost. Ne consegue che non ottempera all’ordine giudiziale di reintegrazione del dirigente sindacale illegittimamente licenziato, e deve pagare la sanzione al Fondo adeguamento pensioni ex art. 18, comma 10, Stat. lav., l’imprenditore il quale, facendo leva sull’incoercibilità specifica dell’ordine medesimo, si limiti a versare al lavoratore la retribuzione ed a consentirgli l’ingresso in azienda per lo svolgimento dell’attività sindacale, senza permettergli, tuttavia, di riprendere il lavoro (Sent. n. 9965, Sez. lavoro, del 18-6-2012).

 

Locazione – Clausola contrattuale che preveda il divieto di sublocazione o di comodato

(cod. civ.: artt. 1571, 1594, 1803)

— Il divieto di sublocazione o di comodato, previsto da una clausola del contratto di locazione, non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato, sebbene per un cospicuo periodo di tempo (nella specie, tre anni), un prossimo congiunto (nella specie, sorella e nipote ex fratre), costituendo tale circostanza un mero indizio, privo di rilievo probatorio ai fini della prova dell’inadempimento, se non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore avesse accordato agli ospiti le facoltà proprie del comodatario (Sent. n. 9931, Sez. III, del 18-6-2012).

 

Locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo – Autoriduzione del canone da parte del conduttore

(cod. civ.: art. 1578 I co.; L. 392/1978)

— In tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo di domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (Sent. n. 10639, Sez. III, del 26-6-2012).

 

Offerta transattiva compiuta dalla parte soccombente nel giudizio di merito – È un atto neutro

(cod. proc. civ.: art. 329)

— L’offerta transattiva compiuta dalla parte soccombente nel giudizio di merito non costituisce di per sé una manifestazione della volontà di prestare acquiescenza alla sentenza, ma nemmeno può ritenersi indice certo della volontà del soccombente di impugnarla: essa è invece un atto neutro, i cui effetti giuridici andranno valutati caso per caso, secondo le circostanze concrete (Sent. n. 10503, Sez. Unite, del 25-6-2012).

 

Ordinanza pronunciata dal presidente del tribunale sull’istanza di ricusazione di un arbitro – Impugnabilità – Esclusione

(cod. proc. civ.: artt. 54, 815 III co.; Cost.: art. 111 VII co.)

— L’ordinanza pronunciata dal presidente del tribunale sull’istanza di ricusazione di un arbitro non è impugnabile, neanche con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., attesi l’espresso disposto dell’art. 815, comma 3, c.p.c., e la sua natura di provvedimento a contenuto ordinatorio, in quanto tale non qualificabile come sentenza in senso sostanziale (Sent. n. 10359, Sez. VI, del 21-6-2012).

 

Prescrizione del diritto al risarcimento del danno – Domanda, proposta al giudice amministrativo, di annullamento del provvedimento lesivo

(cod. civ.: artt. 2043, 2935, 2947)

— La domanda, proposta al giudice amministrativo, di annullamento del provvedimento lesivo è idonea, per la durata del processo amministrativo, ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nel giudizio proposto dinanzi al giudice ordinario, con la conseguenza che la prescrizione già interrotta può iniziare a decorrere nel giudizio risarcitorio davanti all’A.G.O. dal passaggio in giudicato della statuizione del giudice amministrativo (Sent. n. 10395, Sez. I, del 21-6-2012).

 

Processo esecutivo – Udienza di discussione del progetto di distribuzione del ricavato della vendita

(cod. proc. civ.: art. 596)

— Nel processo esecutivo è precluso l’intervento ai creditori, ancorché privilegiati, durante o dopo la celebrazione dell’udienza di discussione del progetto di distribuzione del ricavato della vendita, di cui all’art. 596 c.p.c.: a tale regola non si può derogare nemmeno nel caso in cui, dopo l’approvazione del progetto di distribuzione, vengano acquisite alla procedura nuove somme di denaro e il giudice fissi una nuova udienza per le conseguenti modifiche del progetto di distribuzione, in quanto tale udienza non solo non è necessaria, ma ha finalità meramente esecutive del progetto di distribuzione, che non può essere ridiscusso (Sent. n. 9285, Sez. III, dell’8-6-2012).

 

Processo – Sospensione necessaria – Pregiudizialità di una controversia amministrativa

(cod. proc. civ.: art. 295)

— In tema di sospensione necessaria del processo civile ex art. 295 c.p.c., la pregiudizialità di una controversia amministrativa può astrattamente sussistere solo quando quest’ultima verta su questioni di diritto soggettivo rientranti nell’ambito della giurisdizione esclusiva, mentre, qualora davanti al giudice amministrativo sia impugnato un provvedimento incidente su interessi legittimi, non può disporsi la sospensione del giudizio civile, ancorché connesso con quello amministrativo, potendo il giudice ordinario disapplicare i provvedimenti a tutela dei diritti soggettivi influenzati dagli effetti dei detti provvedimenti (Sent. n. 9558, Sez. VI, del 12-6-2012).

 

Proprietà di fondi «a dislivello» – Limitazioni legali

(cod. civ.: art. 887)

— In tema di limitazioni legali della proprietà di fondi cosiddetti «a dislivello», la disciplina prevista dall’art. 887 c.c., con riguardo al regime delle spese relative al muro di confine, non trova applicazione qualora il muro sia stato costruito esclusivamente sul suolo di uno dei due fondi, superiore od inferiore, nel qual caso sussiste la proprietà esclusiva del muro in capo al proprietario del fondo (Sent. n. 9368, Sez. II, dell’8-6-2012).

 

Proprietà – Distanze legali nelle costruzioni – Costruzione in aderenza a un muro di confine

(cod. civ.: art. 878 II co.)

— In tema di distanze legali, la costruzione in aderenza a un muro di confine, ai sensi dell’art. 878, comma 2, c.c., è consentita soltanto ove non preesista all’interno del fondo limitrofo un edificio posto a distanza inferiore a quella che deve per legge intercorrere tra i fabbricati (Sent. n. 10575, Sez. II, del 25-6-2012).

 

Proprietà – Immissione degli sporti nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino

(cod. civ.: art. 840 II co.)

— A norma dell’art. 840, comma 2, c.c., l’immissione degli sporti nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino è consentita soltanto quando costui non abbia interesse ad escludere l’immissione stessa. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso la lesione possessoria per l’occupazione dello spazio sovrastante un terrazzo ed una tettoia mediante installazione di una caldaia e dei relativi tubi di alimentazione, senza valutare se ed in che misura sussistesse un concreto interesse del proprietario sottostante ad opporsi a tale, pur limitata, occupazione della colonna d’aria) (Sent. n. 9047, Sez. II, del 5-6-2012).

 

Proprietà – Occupazione di porzione di fondo attiguo

(cod. civ.: artt. 936 V co., 938)

— Nell’ipotesi di sconfinamento prevista dall’art. 938 c.c., qualora non si verifichi l’accessione invertita a favore del costruttore, il proprietario del suolo non è vincolato all’osservanza del termine indicato dall’art. 936, ultimo comma, c.c. per l’esercizio dello ius tollendi. Ne consegue che, dovendo l’inerzia del proprietario della porzione di fondo occupata, protratta per oltre tre mesi dall’inizio della costruzione, concorrere con la buona fede del costruttore al fine di attribuire a quest’ultimo la proprietà dell’edificio e del suolo, è sufficiente che manchi uno di tali due elementi perché l’accessione invertita non si realizzi e rimanga, perciò, integro il diritto del proprietario della superficie occupata ad ottenere la demolizione dell’opera ivi illegittimamente eseguita (Sent. n. 9052, Sez. II, del 5-6-2012).

 

Proprietà – Opere fatte dal terzo con materiali altrui

(cod. civ.: artt. 936 V co., 948)

— L’art. 936, ultimo comma, c.c., il quale prevede che il proprietario del suolo, su cui un terzo abbia realizzato un’opera, non può più domandarne la rimozione trascorsi sei mesi dalla notizia dell’incorporazione, trova applicazione esclusivamente nell’ambito della particolare disciplina dell’accessione, nel senso che lo stesso proprietario, privato della scelta fra ritenzione e rimozione della costruzione, resta obbligato al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera (oppure dell’aumento del valore del fondo), ma non interferisce sulla facoltà del proprietario medesimo di agire in rivendicazione, al fine di recuperare la porzione del bene della quale sia stato spossessato con l’esecuzione di quell’opera, e, quindi, di conseguirne la demolizione (fermo restando il suddetto obbligo di pagamento) (Sent. n. 9052, Sez. II, del 5-6-2012).

 

Protezione internazionale – Riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o del diritto di asilo o del permesso per motivi umanitari

(Cost.: art. 10 III co.; D.Lgs. 251/2007)

— In tema di protezione internazionale, presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o del diritto di asilo o del permesso per motivi umanitari è la circostanza che il cittadino di un determinato Paese, a causa delle persecuzioni o dei pericoli che lo minacciano, non può restare nello stesso e deve pertanto indirizzarsi verso altro Paese che lo possa ospitare. Ne consegue che, in caso di doppia cittadinanza, non sussistono le condizioni per la protezione internazionale, secondo la disciplina dello Stato italiano, qualora il soggetto che non possa restare in uno dei Paesi di cui è cittadino, possa però dirigersi verso l’altro Paese di cui abbia la cittadinanza senza correre alcun pericolo. (Nella specie, la S.C. ha confermato il rigetto della domanda proposta da uno straniero cittadino dello Zimbabwe e della Nigeria, che aveva riferito di persecuzioni e di pericolo grave a suo carico solo nello Zimbabwe) (Sent. n. 10375, Sez. VI, del 21-6-2012).

 

Prova – Onere della prova avente ad oggetto «fatti negativi»

(cod. civ.: artt. 2697, 2727; Cost.: art. 24)

— L’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto «fatti negativi», in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. (In applicazione di questo principio la S.C. ha rilevato che, con riferimento alla domanda proposta al fine di ottenere l’esenzione dal pagamento del contributo di bonifica adducendo il cattivo funzionamento degli impianti e l’omessa manutenzione della rete idrica, il consorziato avrebbe potuto assolvere l’onere della prova producendo dichiarazioni rese da terzi, documentazione fotografica, verbali di sopralluoghi o ispezioni redatti da pubbliche autorità) (Sent. n. 9099, Sez. trib., del 6-6-2012).

 

Prova – Presunzioni semplici

(cod. civ.: art. 2729)

— Le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, non occorrendo l’acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi presuntivi o probatori desunti dall’esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente, in quanto, se gli indizi hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non vi è necessità di ricercarne altri o di assumere ulteriori fonti di prova (Sent. n. 9108, Sez. trib., del 6-6-2012).

 

Prove documentali e di scritture contabili delle imprese – Poteri istruttori officiosi del giudice

(cod. civ.: artt. 2697, 2711 II co.)

— In tema di prove documentali e di scritture contabili delle imprese, perché il giudice eserciti legittimamente i suoi poteri istruttori officiosi (tra i quali quello di esibizione previsto dall’art. 2711 c.c.) occorre che la parte onerata dalla prova abbia tempestivamente e con sufficiente analiticità allegato i fatti specifici da provare e che, sempre tempestivamente, abbia almeno fondatamente allegato di non avere altro mezzo (o di avere invano esperito altri mezzi) per dimostrarli (Sent. n. 9522, Sez. III, del 12-6-2012).

 

Responsabilità della P.A. – Provvedimenti lesivi dell’interesse di terzi indotti dalla condotta colposa di un altro soggetto

(cod. civ.: art. 1223; cod. pen.: art. 41)

— Colui il quale, per colpa, tiene una condotta tale da indurre la P.A. ad adottare provvedimenti lesivi dell’interesse di terzi risponde, ex art. 41 c.p., dei danni patiti da questi ultimi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto l’ente incaricato di compiere analisi su un’acqua minerale responsabile del danno patito dall’impresa che quell’acqua commercializzava, in conseguenza della sospensione dell’autorizzazione amministrativa al commercio, disposta dalla regione a causa del sospetto di irregolarità nell’esecuzione delle analisi) (Sent. n. 10286, Sez. Unite, del 21-6-2012).

 

Responsabilità del notaio incaricato della stipula di un atto di compravendita immobiliare dei danni patiti dall’acquirente a causa dell’assenza nell’immobile dei requisiti per il rilascio del certificato di abitabilità

(cod. civ.: artt. 1470, 2236; L. 89/1913; D.P.R. 380/2001: art. 24)

— Il notaio incaricato della stipula di un atto di compravendita immobiliare risponde dei danni patiti dall’acquirente a causa dell’assenza nell’immobile dei requisiti per il rilascio del certificato di abitabilità, a nulla rilevando che la mancanza di quei requisiti potesse essere agevolmente accertata dall’acquirente stesso, quando non sia dimostrato che il professionista abbia informato il cliente di tale situazione e delle sue possibili conseguenze. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva escluso l’inadempimento del notaio con riferimento al contratto di prestazione d’opera professionale, ritenendo lo stesso notaio in grado di percepire, in base ai titoli di provenienza, la mancata consonanza dell’immobile compravenduto rispetto ai vincoli imposti in un atto d’obbligo intercorso tra il costruttore ed il Comune, e perciò tenuto a sollecitare l’attenzione delle parti stipulanti su detta situazione) (Sent. n. 10296, Sez. III, del 21-6-2012).

 

Responsabilità extracontrattuale – Nesso di causalità

(cod. civ.: art. 2043; cod. pen.: artt. 40, 41)

— In materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, e ne costituisca un antecedente causale, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato. Non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell’agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, né per quelli preesistenti. Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale (Sent. n. 9528, Sez. III, del 12-6-2012).

 

Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia

(cod. civ.: art. 2051)

— L’amministrazione comunale non può essere chiamata a rispondere, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei danni da interruzione del servizio di distribuzione dell’acqua, quando il guasto sia stato causato da un terzo, e le tubazioni non siano di proprietà del Comune. In tal caso, infatti, mancano i presupposti stessi della responsabilità del custode, ed a nulla rileva che le tubazioni danneggiate si trovassero interrate al di sotto di una strada comunale (Sent. n. 9309, Sez. III, dell’8-6-2012).

 

Ricorso per cassazione – Mancata riproposizione nel ricorso delle argomentazioni esposte nell’atto di appello in relazione a motivi dichiarati assorbiti dal giudice di secondo grado

(cod. proc. civ.: artt. 339, 360, 394)

— La mancata riproposizione nel ricorso per cassazione delle argomentazioni esposte nell’atto di appello in relazione a motivi dichiarati assorbiti dal giudice di secondo grado non determina la definitività delle statuizioni del giudice di primo grado, in quanto sono inammissibili in sede di legittimità censure che non siano dirette contro la sentenza di appello, ma riguardino questioni sulle quali questa non si è pronunciata ritenendole assorbite, atteso che le stesse, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, possono essere nuovamente riproposte al giudice di rinvio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso in ragione della definitività della sentenza della Commissione tributaria provinciale la quale aveva escluso la configurabilità di un aiuto di Stato indebito, in quanto, essendo stata riformata detta decisione per intervenuto condono, l’Agenzia delle entrate si era limitata ad impugnare la pronuncia di appello deducendo l’inapplicabilità del condono, senza riproporre le censure alla decisione di primo grado) (Sent. n. 8817, Sez. trib., dell’1-6-2012).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio di omessa motivazione della sentenza

(cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che, in una controversia relativa ad un atto di classamento catastale, aveva valorizzato l’ubicazione dell’immobile, ignorando o facendo oggetto di superficiale disamina altri elementi rilevanti a tal fine quali il tessuto urbano di inserimento, il piano di ubicazione ed i servizi strutturati di godimento, lo stato di conservazione dell’unità immobiliare e dell’edificio di cui questa faceva parte) (Sent. n. 9113, Sez. trib., del 6-6-2012).

 

Risarcimento del danno biologico permanente – Liquidazione

(cod. civ.: artt. 2043, 2056)

— Nella liquidazione del danno biologico permanente occorre fare riferimento all’età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell’invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza (Sent. n. 10303, Sez. III, del 21-6-2012).

 

Scrittura privata – Disconoscimento

(cod. proc. civ.: artt. 214, 216)

— La parte che, prima del giudizio, abbia tacitamente riconosciuto un documento da essa sottoscritto non può, nel giudizio successivamente instaurato, legittimamente disconoscerlo. Pertanto, ove il suddetto disconoscimento invece avvenga, la parte che intenda avvalersi del documento non è tenuta a proporre l’istanza di verificazione (Sent. n. 10849, Sez. III, del 28-6-2012).

 

Sentenza – Contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo

(cod. proc. civ.: artt. 100, 132 II co. nn. 4 e 5, 324; cod. civ.: art. 2909)

— Nell’ipotesi in cui vi sia insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo e la sentenza sia ancora impugnabile, prospettandosi la possibilità non tanto della sentenza inesistente (che radicherebbe nell’attore l’interesse all’impugnazione), quanto del passaggio in giudicato della pronunzia sulla base del dispositivo, interessata ad impugnare la decisione è unicamente la parte la cui domanda sia stata rigettata, la quale deve lamentare il vizio logico della sentenza costituito dalla mancanza di una motivazione idonea a sorreggerla. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha accolto il ricorso per cassazione proposto dall’opponente a cartella esattoriale avverso la sentenza di appello recante un dispositivo di rigetto dell’impugnazione della pronuncia di primo grado, che aveva respinto l’opposizione, ed una parte motiva volta, invece, all’accoglimento della stessa opposizione per nullità della notificazione del verbale di accertamento presupposto) (Ord. n. 10747, Sez. VI, del 27-6-2012).

 

Sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico – Delibazione

(L. 222/1985: art. 18)

— In tema di delibazione delle sentenze del tribunale ecclesiastico, la convivenza dei coniugi (nella specie protrattasi per oltre trent’anni) successiva alla celebrazione del matrimonio non è espressiva delle norme fondamentali che disciplinano l’istituto del matrimonio e, pertanto, non è ostativa, sotto il profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico (Sent. n. 8926, Sez. I, del 4-6-2012).

 

Sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario – Delibazione

(cod. civ.: artt. 129, 129 bis; L. 121/1985: art. 8)

— Il provvedimento con il quale la Corte d’appello, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, disponga misure economiche provvisorie a favore di uno dei due coniugi, il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, ha funzione strumentale e natura provvisoria ed anticipatoria, sì che deve escludersi l’esperibilità, avverso tale provvedimento, del ricorso per cassazione, ammissibile soltanto nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali definitivi ed a carattere decisorio (Sent. n. 8857, Sez. I, dell’1-6-2012).

 

Sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario – Delibazione

(cod. civ.: art. 120; L. 121/1985; L. 218/1995: art. 64)

— È ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario la convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio e non la semplice durata del matrimonio medesimo, in quanto l’ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio, inteso come matrimonio-rapporto, fondato sulla convivenza dei coniugi; è, pertanto, irrilevante in sé la mera durata ventennale dello stesso, laddove non sia dedotta e provata, nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica (nella specie, di nullità del matrimonio concordatario per grave difetto di discrezione di giudizio del marito), l’effettiva convivenza dei coniugi nello stesso periodo (Sent. n. 9844, Sez. I, del 15-6-2012).

 

Separazione personale dei coniugi – Assegno di mantenimento

(cod. civ.: artt. 150, 156 I e II co.)

— In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, sono irrilevanti le elargizioni a titolo di liberalità ricevute dal coniuge obbligato dai propri genitori o, comunque, da terzi, ancorché regolari e continuate dopo la separazione, in quanto il carattere di liberalità impedisce di considerarle reddito ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.c., così come non costituiscono reddito, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, analoghi contributi ricevuti dal coniuge titolare del diritto al mantenimento (Sent. n. 10380, Sez. I, del 21-6-2012).

 

Servitù di passaggio coattivo – Esenzioni di cui all’art. 1051 IV co. cod. civ.

(cod. civ.: art. 1051 IV co.)

— In materia di servitù di passaggio coattivo, la disposizione dell’art. 1051, comma 4, c.c., che esenta da detta servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti, contiene un’elencazione tassativa che trova la sua ratio nell’esigenza di tutelare l’integrità delle case di abitazione e degli accessori che le rendono più comode; ne consegue che, per stabilire se sussista o meno l’ipotesi del cortile o del giardino, occorre aver riguardo alla loro destinazione non soltanto attuale, ma anche potenziale, desumibile dalla situazione dei luoghi. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la pronuncia del giudice del merito, la quale aveva ritenuto operante l’esenzione dalla servitù, negando rilievo alla circostanza della realizzazione sul fondo in esame di una cucina all’aperto, insistente su un cortile recintato e tenuto a giardino, in epoca successiva alla proposizione della domanda volta alla costituzione del passaggio coattivo) (Sent. n. 9116, Sez. II, del 6-6-2012).

 

Simulazione assoluta di una quietanza di pagamento – Prova per testimoni – Esclusione

(cod. civ.: artt. 2722, 2726)

— La simulazione assoluta di una quietanza di pagamento non può essere provata per testimoni, ostandovi il divieto di cui all’art. 2726 c.c. (Sent. n. 9297, Sez. III, dell’8-6-2012).

 

Vedute – «Apertura» – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 900)

— A norma dell’art. 900 c.c., perché un’«apertura» possa qualificarsi come «veduta» occorre che essa sia destinata, per sua normale e prevalente funzione, a guardare e ad affacciarsi verso il fondo del vicino, come accade per le finestre, i balconi, le terrazze e simili. Ne consegue che tale qualifica non spetta ad una botola, la quale non sia stabilmente collegata, mediante una scala o altro manufatto, con il sottostante terrazzo, e la cui destinazione naturale risulti, dunque, non quella di inspicere, quanto quella di consentire l’accesso, occasionalmente e quando necessario, alla copertura del medesimo terrazzo (Sent. n. 9047, Sez. II, del 5-6-2012).

 

Vendita su campione – Difformità dal campione della merce consegnata – Onere della prova

(cod. civ.: artt. 1522, 2697)

— Nella vendita su campione il venditore non ha altro obbligo che quello di provare di aver consegnato la merce contrattata, senza che egli possa essere tenuto a provarne la conformità, laddove l’onere di provare che la merce non aveva le caratteristiche richieste e risultanti dal campione incombe sul compratore, a dimostrazione del fondamento dell’eccezione opposta alla pretesa del venditore; inoltre, la prova della relativa difformità deve essere valutata esclusivamente mediante il raffronto con il campione, sicché, ove il campione manchi o non sia esibito con le necessarie garanzie d’identificazione, viene meno la possibilità di accertare l’inadempimento del venditore in ordine alla particolare qualità della merce oggetto della convenzione (Sent. n. 9582, Sez. VI, del 12-6-2012).

 

Vitalizio alimentare – Assistenza fornita dagli eredi o aventi causa del contraente

(cod. civ.: artt. 1322 II co., 1872)

— Ai fini della configurabilità del contratto atipico di «vitalizio alimentare», il quale si differenzia dalla rendita vitalizia, di cui all’art. 1872 c.c., per il fatto di avere ad oggetto prestazioni basate sull’intuitus personae, non è d’ostacolo la previsione che l’assistenza possa essere fornita dagli eredi o aventi causa del contraente, atteso che l’infungibilità della prestazione, che caratterizza il detto contratto, va riferita alla sua insostituibilità con una prestazione in denaro ed alla correlata incoercibilità. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che il contratto di mantenimento dedotto in lite ammettesse la possibilità che l’assistenza al cedente fosse prestata anche da terzi) (Sent. n. 9764, Sez. VI, del 14-6-2012).