Adozione – Dichiarazione dello stato di adottabilità – Criterio di necessità
(L. 184/1983: art. 8)
— In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, non è sufficiente la mera richiesta del parente (nella specie, la zia materna) di tenere il minore con sé in sostituzione dei genitori, essendo altresì necessaria, ai fini dell’adozione, l’esistenza di pregressi rapporti con il minore (Ord. n. 15755, Sez. VI, del 24-6-2013).
Amministrazione di sostegno – Procedimento – Litisconsorzio necessario tra i soggetti partecipanti al giudizio innanzi al tribunale – Configurabilità – Esclusione – Fondamento
(cod. civ.: art. 407; cod. proc. civ.: artt. 102, 713 I co., 720 bis I co.)
— Nella procedura per l’istituzione di un’amministrazione di sostegno, che consiste in un procedimento unilaterale, non esistono parti necessarie al di fuori del beneficiario dell’amministrazione; non è, pertanto, configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i soggetti partecipanti al giudizio innanzi al tribunale, anche perché l’art. 713 cod. proc. civ., cui rinvia l’art. 720 bis dello stesso codice, espressamente limita la partecipazione necessaria al procedimento al ricorrente, al beneficiario ed alle altre persone, tra quelle indicate in ricorso, le cui informazioni il giudice ritenga utili ai fini dei provvedimenti da adottare (Sent. n. 14190, Sez. I, del 5-6-2013).
Apertura di credito bancario – Correntista che intrattenga con un istituto di credito più rapporti contrattuali – Richiesta, da parte dell’istituto, di regolarizzazione di una «posizione irregolare» – Manifestazione della volontà di revoca del fido concesso al correntista – Inidoneità
(cod. civ.: artt. 1842, 1845)
— Allorché un correntista intrattenga con un istituto di credito più rapporti contrattuali, la comunicazione con cui l’istituto lo inviti alla regolarizzazione di una non meglio precisata «posizione irregolare», senza fornire chiarimenti in ordine al rapporto cui essa si riferisce, non costituisce idonea manifestazione della volontà di revoca del fido allo stesso concesso (Ord. n. 14455, Sez. VI, del 7-6-2013).
Appalto – Difformità o vizi dell’opera che siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione – Risoluzione del contratto da parte del committente – Opera che sia stata smantellata dal committente senza consentire all’appaltatore di emendarne i vizi o le difformità – Irrilevanza – Fondamento
(cod. civ.: art. 1668 II co.)
— Ai fini della risoluzione del contratto di appalto ex art. 1668 cod. civ., non è necessario che l’appaltatore sia stato previamente posto in condizione di eliminare i difetti, né che l’eventuale tentativo sia stato esperito senza esito, di guisa che è del tutto irrilevante che l’opera sia stata smantellata dal committente senza consentire all’appaltatore di emendarne i vizi o le difformità, considerato altresì che, per la dimostrazione dei vizi redibitori, non occorre una prova legale consistente in un esame tecnico dell’opera ancora in essere, ben potendone essere accertata l’inidoneità alla destinazione sua propria attraverso la prova storica (Sent. n. 15093, Sez. II, del 17-6-2013).
Appalto – Garanzia per le difformità e i vizi dell’opera – Responsabilità dell’appaltatore – Ambito
(cod. civ.: art. 1667)
— L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (Sent. n. 15093, Sez. II, del 17-6-2013).
Appalto – Garanzia per le difformità e i vizi dell’opera – Responsabilità dell’appaltatore – Ambito
(cod. civ.: artt. 1176 II co., 1655, 1667)
— In tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità per vizi dell’opera, l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, con la conseguenza che la responsabilità dell’appaltatore, con il derivante obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di eventuali vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto (Sent. n. 15711, Sez. II, del 21-6-2013).
Appello – Improcedibilità per inosservanza del termine di costituzione dell’appellante e non anche per il mancato rispetto delle forme di costituzione – Conseguenze
(cod. proc. civ.: artt. 148, 156 III co., 165, 168, 347 I co., 348 I co.)
— L’improcedibilità dell’appello è comminata dall’art. 348, comma 1, c.p.c. per l’inosservanza del termine di costituzione dell’appellante, ma non anche per il mancato rispetto delle forme di costituzione, sicché, essendo il regime dell’improcedibilità di stretta interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale della nullità, il vizio della costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime della nullità e, in particolare, al principio del raggiungimento dello scopo, per il quale rilevano anche comportamenti successivi alla scadenza del termine di costituzione; ne consegue che non può essere dichiarato improcedibile l’appello se l’appellante, nel costituirsi entro il termine di cui agli artt. 165 e 347 c.p.c., ha depositato, all’atto dell’iscrizione a ruolo, una c.d. velina dell’atto d’appello in corso di notificazione — priva, quindi, della relata di notifica —, qualora egli abbia depositato, successivamente alla scadenza del termine medesimo, l’originale dell’atto notificato, conforme alla velina (Sent. n. 15715, Sez. II, del 21-6-2013).
Appello incidentale proposto con atto autonomo notificato dopo il deposito della comparsa di risposta relativa all’appello principale – Ammissibilità – Condizione
(cod. proc. civ.: artt. 166, 167, 333, 343)
— L’appello incidentale proposto con atto autonomo, notificato dopo il deposito della comparsa di risposta relativa all’appello principale, è ammissibile, se proposto nel rispetto dei termini previsti dalla legge per tale tipo di impugnazione, da verificare in relazione alla data di notifica dell’atto di appello e non a quella successiva del suo deposito in cancelleria, perché è fin dal primo dei due suddetti momenti che la controparte è posta in condizione di conoscere il contenuto dell’impugnazione proposta e di approntare le conseguenti difese (Sent. n. 16107, Sez. III, del 26-6-2013).
Appello – Motivi – Specificità – Onere del ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello – Oggetto
(cod. proc. civ.: art. 342 I co.)
— Ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, dovendosi riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi (Ord. n. 16210, Sez. VI, del 27-6-2013).
Appello – Prospettazione di un concorso di colpa del danneggiato in una controversia risarcitoria in cui si discuta sull’effettiva quantificazione dei pretesi danni – Domanda nuova – Configurabilità – Esclusione – Fondamento
(cod. proc. civ.: art. 345 I co.; cod. civ.: artt. 1227, 2056)
— In una controversia risarcitoria in cui si discuta circa l’effettiva quantificazione dei pretesi danni, non si configura come domanda nuova, inammissibile in appello, la prospettazione di un concorso di colpa del danneggiato, trattandosi soltanto di argomentazione difensiva utile al fine di dimostrare l’eccessività del risarcimento dedotta ab origine (Sent. n. 13902, Sez. Unite, del 3-6-2013).
* Assegno bancario – Mero possessore che non risulti né prenditore né giratario – Legittimazione alla pretesa al credito – Prova dell’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito – Necessità – Ragione
(R.D. 1736/1933; cod. civ.: art. 1988)
— In materia di titoli di credito, il mero possessore di un assegno bancario che non risulti né prenditore né giratario dello stesso (nella specie, sul titolo mancava l’indicazione del beneficiario) non è legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto se non dimostrando l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito, poiché il semplice possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che l’assegno sia a lui pervenuto abusivamente. Né l’assegno può comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’art. 1988 cod. civ., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa sia stata effettivamente fatta, sicché anche in tal caso il mero possessore di un titolo all’ordine (privo del valore cartolare), non risultante dal documento, deve fornire la prova della promessa di pagamento a suo favore (Sent. n. 15688, Sez. I, del 21-6-2013).
Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali – Determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali
(D.P.R. 1124/1965: art. 39)
— In tema di determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l’assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, con riferimento al calcolo della percentuale di caricamento degli oneri indiretti — afferenti alle spese generali dell’istituto e determinati percentualmente in relazione agli oneri diretti —, il sistema di «capitalizzazione pura» (che esclude il computo delle rendite capitalizzate dagli oneri diretti) non trova applicazione nel sistema finanziario per la gestione «industria», fondato, al contrario, su una ripartizione dei capitali di copertura in funzione mutualistica, sicché negli oneri diretti vanno inserite le rendite capitalizzate del periodo, e non solamente i relativi ratei (Sent. n. 13908, Sez. lavoro, del 3-6-2013).
Assicurazione R.C.A. – Obbligazione risarcitoria dell’assicuratore – Limiti
(D.Lgs. 209/2005: art. 144; cod. civ.: artt. 1292, 1917; cod. proc. pen.: art. 538 III co.)
— In tema di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore, l’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore è contenuta nei limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione, e la solidarietà fra assicurato ed assicuratore ha natura atipica, atteso che il debito aquiliano del primo discende ex delicto ed è illimitato, mentre quello del secondo di natura indennitaria deriva ex lege e trova limite nella capienza del massimale, senza che nessuna influenza possa attribuirsi, per derogare a quest’ultimo limite, al fatto che in sede penale, con sentenza passata in giudicato, l’assicuratore sia stato condannato quale responsabile civile, in solido con l’imputato assicurato, al risarcimento del danno in via generica nei confronti del danneggiato, giacché la solidarietà, disposta in via generale ed astratta dall’art. 538 cod. proc. pen., non preclude ed, anzi, impone, l’accertamento, nei singoli casi concreti, del titolo in forza del quale ciascuno dei coobbligati è tenuto alla prestazione e se l’unicità di quest’ultima soffre o meno limitazioni per effetto di particolari disposizioni convenzionali o legali (Sent. n. 14537, Sez. III, del 10-6-2013).
Avvocati – Procura alle liti – Conflitto di interessi tra due o più parti – Costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto – Inammissibilità, anche in caso di simultaneus processus – Fondamento
(cod. proc. civ.: art. 83; Cost.: artt. 24 II co., 111 II co.)
— Nel caso in cui tra due o più parti sussista conflitto di interessi — attuale, ovvero anche virtuale, nel senso che appaia potenzialmente insito nel rapporto tra le medesime, i cui interessi risultino, in astratto, suscettibili di contrapposizione — è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto, e ciò anche in ipotesi di simultaneus processus, dato che il difensore non può svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze confliggenti, e la violazione è rilevabile di ufficio, anche in sede di appello, poiché investe il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti (Sent. n. 15884, Sez. III, del 25-6-2013).
Circolazione stradale – Presunzione di colpa ex art. 2054 III co. cod. civ. – Prova liberatoria – Criterio di necessità – Fattispecie in tema di sinistro commesso dal conducente minorenne di un autoveicolo e di responsabilità del proprietario maggiorenne
(cod. civ.: art. 2054 III co.)
— In tema di sinistro commesso dal conducente minorenne di un autoveicolo e quindi di responsabilità del proprietario maggiorenne, per integrare la prova liberatoria dalla presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054, comma 3, c.c., non è sufficiente dimostrare che la circolazione del veicolo sia avvenuta senza il consenso del proprietario, ma è al contrario necessario che detta circolazione sia avvenuta contro la sua volontà, la quale deve estrinsecarsi in un concreto ed idoneo comportamento specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo mediante l’adozione di cautele tali che la volontà del proprietario non possa risultare superata (Sent. n. 16217, Sez. VI, del 27-6-2013).
Circolazione stradale – Responsabilità del proprietario o dell’ente gestore della strada in caso di comportamenti anomali dell’utilizzatore – Criteri di necessità
(cod. strad.: art. 14; cod. civ.: art. 2043)
— In materia di circolazione stradale, ai fini dell’accertamento della responsabilità del proprietario o dell’ente gestore della strada, a fronte di comportamenti anomali dell’utilizzatore, occorre che l’individuazione delle misure esigibili e la valutazione delle rispettive responsabilità sia condotta sulla base di vari parametri, quali il grado di prevedibilità dei comportamenti temerari o pericolosi, la loro frequenza e la maggiore o minore facilità di compierli, la natura e la praticabilità delle misure di prevenzione e l’entità degli oneri tecnici, economici e di ogni genere, inerenti alla loro adozione, circostanze queste da valutarsi comparativamente alla gravità dei danni che si possono verificare nel caso in cui tali misure non vengano adottate (Sent. n. 15302, Sez. III, del 19-6-2013).
Circolazione stradale – Responsabilità del proprietario o dell’ente gestore della strada nonostante la conformità delle strade o delle autostrade alle leggi ed alla tecnica costruttiva – Quando sussiste
(cod. strad.: art. 14; cod. civ.: art. 2043)
— In materia di circolazione stradale, la conformità delle strade o delle autostrade alle leggi ed alla tecnica costruttiva non vale ad escludere ogni responsabilità del proprietario o dell’ente gestore qualora, nonostante una tale conformità, l’opera presenti insidie o pericoli per l’utilizzatore, responsabilità che può sussistere anche a fronte di modalità di utilizzazione improprie o colpose. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio la decisione della Corte territoriale che aveva escluso la responsabilità dell’ente gestore di un’autostrada per un sinistro occorso ad un pedone che, nell’attraversare in orario notturno le due carreggiate dell’autostrada, era precipitato nel vuoto, non essendosi accorto che si trattava di viadotto) (Sent. n. 15302, Sez. III, del 19-6-2013).
Circolazione stradale – Scontro tra veicoli – Presunzione di uguale colpa dei conducenti, ex art. 2054 II co. cod. civ., nel caso di violazione dell’obbligo di precedenza e di violazione dell’obbligo di limitare la velocità
(cod. civ.: art. 2054 II co.; cod. pen.: art. 41 II co.; cod. strad.: artt. 142, 145)
— In tema di responsabilità civile derivante da scontro di veicoli ex art. 2054, secondo comma, cod. civ., in caso di concorso tra condotte, di cui l’una integri la violazione dell’obbligo di precedenza e l’altra la violazione dell’obbligo di limitare la velocità, la seconda di tali condotte non è idonea, di norma, ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento di guida del conducente sfavorito e l’incidente. Nondimeno, allorché risulti che l’altro conducente teneva una velocità doppia di quella ammessa in un centro abitato, ponendosi — oltretutto nella stessa area di incrocio — in illecito sorpasso di alcune vetture che marciavano regolarmente incolonnate, procedendo completamente contromano per ultimare tale manovra, così da non poter essere avvistato dall’automobilista impegnato nell’attraversamento dell’incrocio in prossimità dello «stop», siffatto contegno può essere valutato come causa esclusiva del sinistro, con conseguente superamento della presunzione di concorrente responsabilità sancita dalla predetta disposizione del codice civile (Ord. n. 15504, Sez. VI, del 20-6-2013).
Competenza per territorio – Cause nelle quali sia parte un’amministrazione dello Stato e nelle quali sia dedotta un’obbligazione da fatto illecito – Giudice competente – Individuazione – Criteri di rilevanza
(cod. proc. civ.: artt. 20, 25)
— Nelle cause nelle quali sia parte un’amministrazione dello Stato e nelle quali sia dedotta un’obbligazione da fatto illecito, ai fini dell’individuazione del giudice competente per territorio assume rilievo, alternativamente, sia il forum delicti sia il forum destinatae solutionis, sicché, ove la convenuta amministrazione eccepisca l’incompetenza territoriale, essa ha l’onere di contestare la competenza del giudice adito con riferimento a tutti i possibili criteri di collegamento, pena l’inammissibilità dell’eccezione ed il consolidamento della competenza in capo al giudice che procede (Ord. n. 14394, Sez. VI, del 14-6-2013).
Competenza per territorio – Cause relative a diritti di obbligazione – Domanda proposta davanti a giudice diverso da quello del foro generale ex artt. 18 e 19 cod. proc. civ. e contestazione rituale, da parte del convenuto, della competenza di tale giudice
(cod. proc. civ.: artt. 18, 19, 20)
— Nelle cause relative a diritti di obbligazione, qualora la domanda venga proposta davanti a giudice diverso da quello del foro generale di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. ed il convenuto ritualmente contesti la competenza di tale giudice anche secondo gli alternativi criteri di collegamento contemplati dall’art. 20 c.p.c. (forum contractus e forum destinatae solutionis), la competenza medesima può essere affermata solo quando, alla stregua delle prove fornite dall’attore, o, in difetto, sulla scorta degli atti, risultino le circostanze che consentono, in applicazione del citato art. 20, di radicare la causa presso il giudice prescelto dall’attore (Ord. n. 15087, Sez. VI, del 17-6-2013).
Competenza per territorio – Elezione di domicilio contenuta nella procura a margine di un ricorso per decreto ingiuntivo – Idoneità ad identificare il luogo indicato quale domicilio ex art. 1182 III co. cod. civ. – Esclusione – Fondamento
(cod. proc. civ.: artt. 18, 20, 83, 633; cod. civ.: artt. 43, 1182 III co.)
— L’elezione di domicilio contenuta nella procura a margine di un ricorso per decreto ingiuntivo non è idonea a far considerare il luogo indicato quale domicilio del creditore in cui l’obbligazione deve essere adempiuta ex art. 1182, terzo comma, cod. civ., atteso che, ai fini della competenza territoriale, qualora sia convenuta una persona fisica e si faccia riferimento al luogo del domicilio, che è criterio di collegamento rilevante sia ai fini dell’art. 18 cod. proc. civ. che dell’art. 20 cod. proc. civ. ed autonomo rispetto a quello della residenza, s’intende per domicilio il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e dei suoi interessi, che non va individuato solo con riferimento ai rapporti economici e patrimoniali, ma anche ai suoi interessi morali, sociali e familiari, che confluiscono normalmente nel luogo ove la stessa vive con la propria famiglia, identificandosi, pertanto, tale luogo nel centro principale delle proprie relazioni familiari, sociali ed economiche (Ord. n. 14397, Sez. VI, del 14-6-2013).
Competenza – Regolamento – Estinzione per mancata riassunzione del processo nel corso del quale la statuizione sulla competenza sia stata emessa – Perdurante efficacia della statuizione – Sussistenza – Fondamento normativo
(cod. proc. civ.: art. 310 II co.)
— In base al disposto dell’art. 310, secondo comma, cod. proc. civ., la pronuncia della Corte di cassazione che regola la competenza continua a spiegare i suoi effetti per il futuro, nonostante l’estinzione per mancata riassunzione del processo nel corso del quale la medesima statuizione sulla competenza sia stata emessa (Ord. n. 13975, Sez. VI, del 3-6-2013).
Competenza – Regolamento necessario – Ambito di applicazione – Fattispecie in tema di provvedimento di sospensione della procedura fallimentare
(cod. proc. civ.: artt. 42, 295; R.D. 267/1942: artt. 161 IX co., 168)
— L’art. 42 cod. proc. civ., secondo il quale i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. possono essere impugnati soltanto con l’istanza di regolamento di competenza, non è suscettibile di interpretazione analogica e, pertanto, non trova applicazione nei casi di sospensione impropria. Ne consegue che il provvedimento di sospensione della procedura fallimentare, adottato ai sensi degli artt. 161, nono comma, e 168 legge fall. a seguito dell’ammissione del fallendo ad una procedura di concordato (equiparabile, quanto agli effetti, ad un’esecuzione forzata di natura collettiva), non è impugnabile con il regolamento di competenza, trattandosi di atto finalizzato ad assicurare solo il coordinamento tra procedure, strettamente connesse ma con presupposti ed esiti divergenti, tra le quali non v’è rapporto di pregiudizialità (Ord. n. 14684, Sez. VI, dell’11-6-2013).
Comunione legale dei coniugi – Beni personali – Donazione indiretta – Non rientra nella comunione
(cod. civ.: artt. 179, 769)
— In tema di comunione legale dei coniugi, la donazione indiretta rientra nell’esclusione di cui all’art. 179, primo comma, lett. b), cod. civ., senza che sia necessaria l’espressa dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall’art. 179, primo comma, lett. f), cod. civ., né la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell’altro coniuge acquirente ai sensi dell’art. 179, secondo comma, cod. civ., trattandosi di disposizioni non richiamate (Sent. n. 14197, Sez. I, del 5-6-2013).
Condominio – Amministratore – Potere generale di spesa – Esclusione – Limiti e conseguenza
(cod. civ.: artt. 1130 I co. n. 3, 1135 II co.)
— L’amministratore del condominio non ha un generale potere di spesa (salvo quanto previsto dall’art. 1135 c.c. in tema di lavori urgenti e dall’art. 1130, n. 3, c.c.), per cui deve ritenersi che in via generale l’assemblea condominiale abbia il compito specifico, non solo di approvare il conto consuntivo, al fine di confrontarlo con il preventivo, ma anche di valutare l’opportunità delle spese affrontate d’iniziativa dell’amministratore stesso (Sent. n. 15041, Sez. II, del 14-6-2013).
Condominio – Parti comuni dell’edificio – Costituzione di diritti reali – Criterio di necessità
(cod. civ.: artt. 1108 III co., 1117, 1136, 1139)
— In tema di condominio negli edifici, ai sensi dell’art. 1108, terzo comma, cod. civ., applicabile al condominio in virtù dell’art. 1139 cod. civ., per la costituzione di diritti reali sulle parti comuni è necessario il consenso di tutti i condòmini, che non può essere sostituito da una deliberazione assembleare a maggioranza e dal decorso del tempo necessario a consolidarla (Sent. n. 15024, Sez. II, del 14-6-2013).
Condominio – Parti comuni dell’edificio – Muri perimetrali – Uso indebito
(cod. civ.: artt. 1027, 1102, 1117 n. 1)
— I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso, sicché non possono essere usati, senza il consenso di tutti i comproprietari, per l’utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini e costituente un’unità distinta rispetto all’edificio comune, in quanto ciò costituirebbe una servitù a carico di detto edificio. Pertanto, costituisce uso indebito di cosa comune l’appoggio praticato da un condomino sul muro perimetrale dell’edificio condominiale per realizzare locali di proprietà esclusiva, mettendoli in collegamento con altro suo immobile, in quanto siffatta opera viene ad alterare la destinazione del muro perimetrale e ad imporvi il peso di una vera e propria servitù (Sent. n. 15024, Sez. II, del 14-6-2013).
Condominio – Responsabilità per i difetti originari di progettazione o di realizzazione del lastrico solare ad uso esclusivo di uno dei condomini dal medesimo indebitamente tollerati e che siano suscettibili di recare danno a terzi
(cod. civ.: artt. 1117 n. 1, 2051)
— In tema di condominio, la responsabilità per i difetti originari di progettazione o di realizzazione del lastrico solare ad uso esclusivo di uno dei condomini dal medesimo indebitamente tollerati, qualora siano suscettibili di recare danno a terzi, ricade in via esclusiva sul proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 cod. civ., e non — nemmeno in via concorrente — sul condominio (Sent. n. 15300, Sez. III, del 19-6-2013).
Confessione – Capacità richiesta – Dichiarazioni rese dal mandatario del titolare del diritto cui i fatti confessati si riferiscono – Non hanno valore confessorio – Fondamento
(cod. civ.: artt. 1703, 2731)
— Ai sensi dell’art. 2731 cod. civ. l’efficacia probatoria della confessione postula che essa sia resa da persona capace di disporre del diritto cui i fatti confessati si riferiscono, ossia da persona che abbia la capacità e la legittimazione ad agire negozialmente riguardo al diritto. Ne consegue che non hanno valore confessorio le dichiarazioni rese dal mandatario del titolare del diritto medesimo (Sent. n. 15538, Sez. II, del 20-6-2013).
Confessione – Dichiarazioni aggiunte – Sono solo quelle provenienti dallo stesso soggetto confitente – Fondamento
(cod. civ.: artt. 2730, 2734)
— Le dichiarazioni aggiunte alla confessione, tendenti ad infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o ad estinguerne gli effetti, sono solo quelle provenienti dallo stesso soggetto confitente, in quanto l’art. 2734 cod. civ., che ne disciplina l’efficacia probatoria, presuppone l’unicità della fonte delle dichiarazioni (Ord. n. 16119, Sez. VI, del 26-6-2013).
Confessione giudiziale – Modulo Cid sottoscritto dalla proprietaria del veicolo litisconsorte necessario – Valore di piena prova – Esclusione
(D.L. 857/1976: artt. 3, 5; cod. proc. civ.: art. 102; cod. civ.: art. 2733 III co.)
— Il modulo Cid, sottoscritto dalla proprietaria del veicolo, litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova neanche nei confronti del confitente e deve essere liberamente apprezzato dal giudice, dovendo trovare applicazione l’art. 2733 c.c. (Ord. n. 15354, Sez. VI, del 19-6-2013).
Consulenza tecnica di parte – Mero atto difensivo – Configurabilità – Conseguenze
(cod. proc. civ.: artt. 201, 345 III co.)
— Una consulenza tecnica di parte costituisce un mero atto difensivo, la cui produzione non può ricondursi in alcun modo al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., e la cui allegazione al procedimento deve ritenersi regolata dalle norme che disciplinano tali atti (Sent. n. 13902, Sez. Unite, del 3-6-2013).
Contratti a prestazioni corrispettive – Inadempienze reciproche – Risoluzione del contratto o eccezione d’inadempimento in favore di entrambe le parti – Configurabilità – Esclusione – Fondamento
(cod. civ.: artt. 1453, 1460)
— Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell’art. 1460 cod. civ., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Sent. n. 14648, Sez. II, dell’11-6-2013).
Contratti a prestazioni corrispettive – Risoluzione per inadempimento – Retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione – Effetto
(cod. civ.: artt. 1453, 1458 I co.)
— Nei contratti a prestazioni corrispettive la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente (Sent. n. 15705, Sez. II, del 21-6-2013).
Contratti preliminari di vendita cumulativa aventi ad oggetto beni immobili considerati come un unicum, con la pattuizione di un solo prezzo – È un contratto preliminare complesso avente ad oggetto una prestazione unica ed inscindibile – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 1316, 1351, 1470)
— La stipulazione di due contratti preliminari di vendita cumulativa, aventi ad oggetto beni immobili considerati come un unicum, con la pattuizione di un solo prezzo, può essere ricondotta ad una unitaria manifestazione negoziale facente capo ad un contratto preliminare complesso, avente ad oggetto una prestazione unica ed inscindibile, disciplinata dall’art. 1316 c.c.; ne consegue che l’impossibilità di distinguere la parte di prezzo riferibile all’una o all’altra promessa di vendita non determina la nullità dei preliminari medesimi (Sent. n. 15545, Sez. II, del 20-6-2013).
Contratto autonomo di garanzia – Qualificazione – Indici rivelatori
(cod. civ.: artt. 1936, 1952 II co.)
— Al fine della qualificazione del contratto autonomo di garanzia, l’esclusione della legittimazione del debitore principale a chiedere che il garante opponga al garantito le eccezioni scaturenti dal rapporto principale e la rinuncia ad opporre eccezioni da parte del garante che, dopo il pagamento, abbia agito in regresso, costituiscono indici di una deroga alla normale accessorietà della garanzia fideiussoria, nella quale invece il garante ha l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell’art. 1952, secondo comma, cod. civ., all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto congrua e rispettosa dei criteri di ermeneutica la motivazione della decisione della Corte territoriale che, in mancanza nel contratto di espresso richiamo alla disciplina tipica della fideiussione, l’aveva qualificato come contratto autonomo di garanzia) (Sent. n. 15108, Sez. III, del 17-6-2013).
Contratto – Clausola di esclusione della facoltà di recesso – Non è una clausola vessatoria – Fondamento normativo e conseguenza
(cod. civ.: art. 1341 II co.)
— L’esclusione della facoltà di recesso da un contratto non costituisce clausola vessatoria, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., e, pertanto, non è necessaria per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto, dal momento che l’elencazione contenuta nella norma suddetta non è soggetta ad interpretazione analogica, ma solo estensiva, ed in essa non solo non è prevista l’ipotesi della rinuncia al recesso, ma neppure è contemplato alcun caso che a questa possa essere assimilato (Sent. n. 14038, Sez. III, del 4-6-2013).
Contratto collettivo – Interpretazione del giudice di merito – Censure in sede di legittimità – Ambito
(cod. proc. civ.: art. 360 I co. nn. 3 e 5; cod. civ.: artt. 1362 e segg.)
— Nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione del contratto collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate unicamente sotto il profilo dei vizi di motivazione e della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, mentre la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la decisione impugnata, che escludeva l’erogazione del premio di sostituzione ai lavoratori addetti al servizio di biglietteria, fosse basata su di un’interpretazione logica, coerente e rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, mentre la parte ricorrente si era limitata a contrapporre una diversa interpretazione, senza indicare le regole e i principi asseritamente violati e senza precisare in qual modo il giudice di merito se ne fosse discostato) (Sent. n. 14318, Sez. lavoro, del 3-6-2013).
Contratto di divisione immobiliare con stralcio di quota – Costituzione in comproprietà a tutti i condividenti di una strada da realizzare sulla porzione di terreno non stralciata
(cod. civ.: artt. 1111, 1348)
— Il contratto di divisione immobiliare con stralcio di quota che preveda la costituzione in comproprietà ai condividenti tutti di una strada da realizzare sulla porzione di terreno non stralciata, attribuisce al titolare della quota stralciata il diritto di esigere dagli altri contraenti il rilascio dell’area convenzionalmente deputata allo scopo, configurandosi in suo favore un diritto di credito funzionale alla tutela dello ius ad rem a lui spettante una volta che la strada, intesa quale cosa futura, sia venuta ad esistenza (Sent. n. 15522, Sez. II, del 20-6-2013).
Contratto – Interpretazione – Clausola di cui siano possibili due o più interpretazioni
(cod. civ.: art. 1369; cod. proc. civ.: art. 360)
— Quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Ord. n. 14098, Sez. VI, del 4-6-2013).
Contratto – Opzione – Mancato esercizio entro la scadenza del termine all’uopo fissato – Conseguenze
(cod. civ.: artt. 1329, 1331 I co.)
— Il mancato esercizio, entro la scadenza del termine all’uopo fissato, della facoltà di accettare l’altrui proposta irrevocabile, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1331 cod. civ., facendo venir meno la soggezione dell’offerente al diritto potestativo del contraente cui è stato concessa l’opzione, libera definitivamente il primo, con la conseguenza che la manifestazione della volontà del secondo di aderire all’offerta, se sopravviene tardivamente, equivale ad una nuova proposta che non vincola l’originario offerente se non in caso di accettazione da parte del medesimo. Pertanto, è ininfluente che il ritardo nell’accettazione della proposta sia solo «lieve», considerato che nella fattispecie non viene in rilievo una questione di inadempimento, ma un’ipotesi di decorrenza di un termine (Sent. n. 15411, Sez. II, del 19-6-2013).
Contratto preliminare di vendita immobiliare – Patto di prelazione – Inadempimento del promittente – Esecuzione in forma specifica del patto ex art. 2932 I co. cod. civ. – Esclusione – Fondamento
(cod. civ.: artt. 1218, 1223, 1351, 1470, 2932 I co.)
— Il patto di prelazione relativo alla vendita d’immobile non impegna il promittente a concludere il contratto, ma solo a preferire caeteris paribus il promissario se si deciderà a compierlo. Ne consegue che, in caso di inadempimento del promittente, il patto di prelazione ne comporta unicamente la responsabilità per danni non essendo suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., in quanto il bene oggetto della pattuita prelazione non può essere né trasferito al promissario dal disponente che l’ha oramai alienato, né restituito dal terzo acquirente che non è soggetto al riscatto, previsto soltanto per le prelazioni reali. Siffatto patto di prelazione è valido anche se stipulato senza limiti di tempo (Sent. n. 15709, Sez. II, del 21-6-2013).
Contratto preliminare di vendita – Sentenza di esecuzione in forma specifica – Funzione
(cod. civ.: artt. 1224 II co., 1277, 1322 I co., 1351, 1470, 2932 I co.)
— La sentenza di esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita, resa ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., è destinata ad attuare gli impegni assunti dalle parti, anche con riguardo all’ammontare del prezzo, il quale, pertanto, deve essere quello fissato con il preliminare medesimo, restando esclusa, con riguardo alla sua natura di debito di valuta, la possibilità di una rivalutazione automatica per effetto del ritardo rispetto alla data prevista per la stipulazione del definitivo, salvo che i contraenti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, abbiano espressamente previsto delle maggiorazioni o dei correttivi per compensare la svalutazione monetaria durante il periodo del suddetto ritardo (Sent. n. 15546, Sez. II, del 20-6-2013).
Contratto preliminare – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Termine ex art. 1495 cod. civ. per denunciare i vizi – Decorrenza – Dies a quo
(cod. civ.: artt. 1351, 1495)
— In caso di contratto preliminare, il termine di otto giorni utile ad eccepire i vizi della cosa decorre dal momento in cui è stato trasferito il diritto di proprietà, atteso che l’art. 1495 c.c. individua quale presupposto dell’eccezione il trasferimento del diritto di proprietà (Sent. n. 15783, Sez. II, del 24-6-2013).
Contratto – Presupposizione – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 1353)
— Ai fini della presupposizione occorre che l’evento sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti, così differenziandosi la presupposizione dalla condizione; rileva, quindi, la certezza soggettiva dell’evento presupposto, non richiedendosi la certezza oggettiva dell’evento medesimo, né l’imprevedibilità della sopravvenuta circostanza impeditiva (Sent. n. 15025, Sez. II, del 14-6-2013).
Contratto – Risoluzione per inadempimento – Gravità dell’inadempimento – Condizione dell’azione di risoluzione – Configurabilità – Sussistenza al momento della decisione – Sufficienza
(cod. civ.: artt. 1453, 1455)
— La gravità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., è condizione dell’azione di risoluzione e, in quanto tale, deve esistere al momento della decisione e non necessariamente al momento della proposizione della domanda (Sent. n. 14649, Sez. II, dell’11-6-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Azione di risarcimento dei danni – Narrazione di determinati fatti che sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica – Continenza – Valutazione – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 2043; cod. pen.: artt. 51 I co., 595 III co.; Cost.: art. 21 I co.)
— In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.); bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente dell’esercizio del diritto di critica (Sent. n. 15443, Sez. III, del 20-6-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Diritto di critica – Può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione altrui – Condizioni e fondamento
(cod. civ.: art. 2043; cod. pen.: artt. 51 I co., 595 III co.; Cost.: art. 21 I co.)
— In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste una generica prevalenza del diritto all’onore sul diritto di critica, in quanto ogni critica alla persona può incidere sulla sua reputazione; del resto negare il diritto di critica solo perché lesivo della reputazione di taluno significherebbe negare il diritto di libera manifestazione del pensiero. Pertanto, il diritto di critica può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell’onore (Sent. n. 15443, Sez. III, del 20-6-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Diritto di cronaca – Quando prevale sul diritto all’oblio
(cod. pen.: artt. 51 I co., 595 III co.; Cost.: art. 2; D.Lgs. 196/2003)
— In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate (nella specie, diritto all’oblio in relazione ad un’antica militanza in bande terroristiche) trova limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto (nella specie, il ritrovamento di un arsenale di armi nella zona di residenza dell’ex terrorista) trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l’attualità. Diversamente, il pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni si risolve in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza, mancando la concreta proporzionalità tra la causa di giustificazione (il diritto di cronaca) e la lesione del diritto antagonista (Sent. n. 16111, Sez. III, del 26-6-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Fattispecie
(cod. pen.: artt. 41, 51 I co., 595 III co.; cod. civ.: artt. 2043, 2059)
— In caso di intervista giornalistica recante contenuti diffamatori, la consecuzione, la suggestività, l’articolazione di artifici dialettici o retorici nella formulazione delle domande o delle premesse o dei commenti possono assumere rilievo ai fini della valutazione del contegno dell’intervistatore come concausa della lesione dell’altrui onore e reputazione o, addirittura, come causa esclusiva (Sent. n. 15112, Sez. III, del 17-6-2013).
— Trascende il diritto di critica l’aggressione del contraddittore, sebbene compiuta in clima di accesa polemica, risoltasi nell’accusa di perpetrazione di veri e propri delitti o di condotte comunque infamanti, in rapporto alla dimensione personale, sociale o professionale del destinatario. (Nel caso di specie, si è ritenuto superato l’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica in presenza di un’intervista giornalistica nella quale si assumeva — ancorché in forma dubitativa — che alcuni pubblici ministeri avessero piegato la propria funzione istituzionale al perseguimento di fini patrimoniali personali, per avere esercitato la funzione requirente al solo scopo di ottenere cospicui risarcimenti pecuniari in conseguenza di pretese condotte diffamatorie relative al loro operato, profittando della possibilità — peraltro del tutto legittima, al momento dei fatti oggetto di giudizio — di adire il giudice civile del loro medesimo distretto di appartenenza, realizzando, così, un intenzionale approfittamento della situazione ambientale in cui essi stessi operavano) (Sent. n. 15112, Sez. III, del 17-6-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Intervista televisiva tesa esclusivamente a provocare la reazione dell’intervistato – Esimente del diritto di cronaca e critica giornalistica – Insussistenza
(cod. pen.: artt. 51 I co., 595 III co.; cod. civ.: art. 2043; Cost.: art. 21 I co.)
— Non può essere invocata l’esimente del diritto di cronaca e critica giornalistica in presenza di un comportamento dell’intervistatore che — rivolgendosi all’intervistato proferendo frasi offensive al suo indirizzo ed impedendogli, nel contempo, di rispondere o di allontanarsi — miri, in realtà, a provocarne soltanto la reazione per farne oggetto di uno spettacolo televisivo, dando così vita ad un contegno che rimane confinato nell’ambito di un’aggressione del tutto estranea alla libertà costituzionalmente garantita di manifestazione del pensiero (Sent. n. 14533, Sez. III, del 10-6-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Pubblicazione di una rettifica – È di per sé idonea a ridurre l’ammontare del danno non patrimoniale
(cod. pen.: art. 595 III co.; cod. civ.: art. 2059)
— La pubblicazione di una rettifica è circostanza di per sé idonea a ridurre l’ammontare del danno non patrimoniale causato da un articolo diffamatorio, a nulla rilevando che la rettifica sia avvenuta volontariamente piuttosto che in adempimento di un obbligo (Ord. n. 16040, Sez. VI, del 26-6-2013).
Divisione ereditaria – Coerede che abbia eseguito delle migliorie sul bene comune da lui posseduto – Rimborso delle spese sostenute per la cosa comune – Configurabilità
(cod. civ.: artt. 723, 1150, 1277)
— Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 cod. civ. — secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti — ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore (Ord. n. 16206, Sez. VI, del 27-6-2013).
Divisione ereditaria – Collazione – Presupposto
(cod. civ.: artt. 553, 724, 737)
— La collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l’asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un relictum da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione (Sent. n. 15026, Sez. II, del 14-6-2013).
Divorzio – Assegno – Prova dell’insussistenza dei presupposti che ne condizionano il riconoscimento
(L. 898/1970: art. 5)
— In tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere officioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall’istanza di parte, purché esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti (Sent. n. 14336, Sez. I, del 6-6-2013).
Domanda giudiziale – Divieto di introdurre domande nuove – Fattispecie
(cod. civ.: artt. 2043, 2050, 2051; cod. proc. civ.: art. 183 V co.)
— Quando l’attore abbia invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c., il divieto di introdurre domande nuove (la cui violazione è rilevabile d’ufficio da parte del giudice) non gli consente di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ai sensi degli artt. 2050 (esercizio di attività pericolose) o 2051 (responsabilità per cose in custodia) c.c., a meno che l’attore non abbia sin dall’atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli. A tal fine, tuttavia, deve ritenersi insufficiente un generico richiamo alle norme di legge che disciplinano le suddette responsabilità speciali, ove tale richiamo non sia inserito in un’argomentazione difensiva chiara e compiuta (Sent. n. 15666, Sez. III, del 21-6-2013).
Domanda giudiziale – Divieto di introdurre domande nuove – Fattispecie
(cod. proc. civ.: artt. 163 III co. n. 3, 183 V co., 184; cod. civ.: artt. 1351, 1414, 1470, 2901)
— Nel sistema delle preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. si ha un’inammissibile domanda nuova nel caso in cui l’attore, dopo aver chiesto, nell’atto introduttivo, l’accertamento della simulazione o la revocatoria di un contratto preliminare di compravendita, richieda, nel corso del giudizio, la dichiarazione di simulazione o la revocatoria del contratto definitivo di compravendita stipulato dalle parti in relazione al medesimo immobile, trattandosi di domanda che, avendo ad oggetto un atto negoziale diverso da quello al quale si riferiva la domanda iniziale, presenta diversità di petitum e introduce nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione (Sent. n. 15791, Sez. II, del 24-6-2013).
Donazioni indirette – Forma – Atto pubblico – Necessità – Esclusione – Fondamento
(cod. civ.: artt. 769, 782, 809)
— Per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 cod. civ., non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Sent. n. 14197, Sez. I, del 5-6-2013).
Filiazione naturale – Attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori
(cod. civ.: art. 262)
— In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, la scelta del giudice non può essere condizionata né dal favor per il patronimico, né dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio legittimo (Sent. n. 16271, Sez. VI, del 27-6-2013).
Giudicato – Giudizi tra le stesse parti con riferimento al medesimo rapporto, uno dei quali definito con sentenza passata in giudicato – Ultrattività del giudicato esterno – Sussistenza – Fattispecie in tema di demansionamento del lavoratore in periodi successivi
(cod. proc. civ.: art. 324; cod. civ.: artt. 2103, 2909; L. 604/1966: art. 3)
— Il principio secondo cui, qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto preclude il riesame dello stesso punto in fatto e in diritto accertato e risolto, non è applicabile al caso in cui, accertato con sentenza irrevocabile il demansionamento per un determinato periodo, il lavoratore sia stato adibito, in periodo successivo, alle medesime mansioni inferiori, quale alternativa al licenziamento, che sarebbe altrimenti derivato in ragione della soppressione del ruolo tecnico (in precedenza ricoperto dal lavoratore) per effetto di una ristrutturazione organizzativa aziendale (Sent. n. 13921, Sez. lavoro, del 3-6-2013).
Giudizio di cassazione – Istanza di ricusazione nei riguardi di taluni componenti il collegio
(cod. proc. civ.: artt. 52, 157, 379)
— Nel giudizio di cassazione, proposta istanza di ricusazione nei riguardi di taluni componenti il collegio, il provvedimento con cui il Presidente della sezione di appartenenza dello stesso fissi lo svolgimento dell’udienza di discussione, senza provvedere in merito a tale istanza, non dà luogo a nullità del procedimento, allorché la parte istante non abbia prospettato alcun rilievo su tale fissazione, né nella memoria costituente la prima difesa esercitata all’esito di tale provvedimento, né nella medesima udienza di discussione, operando, al riguardo, la sanatoria di cui all’art. 157 cod. proc. civ. (Sent. n. 14037, Sez. III, del 4-6-2013).
Giudizio di rinvio – Prove nuove – Ammissibilità – Esclusione – Limiti
(cod. proc. civ.: artt. 345 III co., 360 I co. n. 3, 394 III co.; cod. civ.: art. 2736 n. 1)
— Nel giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 394, terzo comma, cod. proc. civ., non sono ammesse nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio; tuttavia, nel caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perché ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. (Sent. n. 16180, Sez. II, del 26-6-2013).
Giusto processo – Diritto all’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo – È configurabile anche in relazione al processo di esecuzione forzata ed a favore di tutte le parti del processo medesimo – Conseguenza
(L. 89/2001: art. 2; cod. proc. civ.: artt. 499, 525, 551)
— Il diritto all’equa riparazione, riconosciuto dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, è configurabile anche in relazione al processo di esecuzione forzata ed a favore di tutte le parti del processo medesimo. Ne consegue che è legittimato a chiedere l’indennizzo anche il creditore interventore, senza che possa avere rilevanza ostativa la circostanza che lo stesso creditore, a distanza di un apprezzabile periodo dal suo intervento, abbia deciso di rinunciare alla pretesa esecutiva (Sent. n. 16028, Sez. VI, del 26-6-2013).
* Giusto processo – Equa riparazione – Maggior durata del processo derivante dall’astensione degli avvocati dalle udienze – Non può essere imputata alle parti – Ragioni
(L. 89/2001: art. 2; Cost.: art. 24 II co.)
— In tema di equa riparazione da eccessiva durata del processo, non può essere imputata alle parti la maggior durata del processo derivante dall’astensione degli avvocati dalle udienze sia perché essa rappresenta l’esplicazione di un diritto costituzionalmente tutelato dei difensori, sia perché si tratta di un comportamento non ascrivibile alle parti che restano pienamente titolari del loro diritto alla durata ragionevole del processo. Peraltro l’astensione dalle udienze non è idonea di per sé a compromettere la durata ragionevole dei processi se non in quanto rende necessario un rinvio delle cause che non può avvenire nei tempi brevi previsti dal codice di rito a causa dell’inadeguatezza del sistema giudiziario a fronteggiare la domanda di giustizia in tempi adeguati (Sent. n. 15420, Sez. VI, del 19-6-2013).
Giusto processo – Equa riparazione per mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo – Danno patrimoniale – Prova piena e rigorosa – Necessità
(L. 89/2001: art. 2; cod. civ.: artt. 2043, 2056, 2697)
— In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno patrimoniale, diversamente da quello non patrimoniale, deve essere oggetto di prova piena e rigorosa, occorrendo che ne siano specificati tutti gli estremi, fra l’altro variabili da caso a caso, ovvero che ne sia possibile l’individuazione sulla base del contesto complessivo dell’atto (Sent. n. 14775, Sez. VI, del 12-6-2013).
Giusto processo – Equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo penale – Condizione di recidivo – Irrilevanza – Fondamento
(L. 89/2001; cod. pen.: art. 99)
— La condizione di recidivo, pur essendo indice di maggiore pericolosità sociale, non vale ad escludere il diritto dell’imputato alla ragionevole durata del processo penale, né, in caso di sua violazione, l’equa riparazione, trattandosi di un diritto fondamentale della persona coessenziale alla garanzia del giusto processo, spettante a chiunque ne sia parte (Sent. n. 15132, Sez. VI, del 17-6-2013).
Giusto processo – Equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo penale – Iscrizione nel registro degli indagati – Rilevanza ai fini della ragionevole durata del processo penale – Esclusione – Fondamento
(L. 89/2001; cod. proc. pen.: art. 335)
— In tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo penale, fino a quando l’apertura del procedimento e lo svolgimento delle indagini preliminari rimangano effettivamente segreti non può parlarsi di pendenza del processo, trattandosi di una fase assolutamente inidonea ad incidere sulla psiche dell’interessato; è pertanto da escludere che la semplice iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen., con il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, valga a segnare, in difetto di conoscenza da parte dell’indagato, l’inizio del processo ai fini del computo della ragionevole durata di esso, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Sent. n. 15131, Sez. VI, del 17-6-2013).
Impugnazione incidentale tardiva – Proponibilità – Ambito
(cod. proc. civ.: artt. 334, 340)
— L’impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 cod. proc. civ. è proponibile contro qualsiasi capo della sentenza che abbia deciso la controversia; ciò non solo relativamente a capi autonomi e/o dipendenti costituenti oggetto dell’impugnazione principale della medesima sentenza, ma altresì relativamente alla sentenza non definitiva, oggetto di riserva di gravame differito, nel caso che l’autore di tale riserva, evidentemente soccombente nei confronti di quest’ultima, sia risultato, in seguito, parzialmente vittorioso per effetto della sentenza definitiva e, avverso quest’ultima, la controparte abbia proposto gravame in via principale (Sent. n. 15784, Sez. II, del 24-6-2013).
Impugnazioni – Legittimazione – Criterio di necessità
(cod. proc. civ.: artt. 75, 323)
— Ai fini della legittimazione ad impugnare è necessaria l’assunzione formale della veste di parte nel precedente grado di giudizio. (Nella specie, è stato ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto, in nome e per conto di una società di assicurazioni, da soggetto «già» agente della stessa) (Sent. n. 14036, Sez. III, del 4-6-2013).
Indennità di disoccupazione – Diritto relativo – Decadenza – Decorrenza – Dies a quo
(R.D.L. 1827/1935: art. 73; cod. civ.: artt. 2968, 2969)
— Il termine di decadenza del diritto all’indennità di disoccupazione (decadenza che è di ordine pubblico con conseguente inderogabilità della relativa disciplina, irrinunciabilità e rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, ed inderogabile dalle parti) decorre dal momento della cessazione del rapporto lavorativo (Sent. n. 15770, Sez. lavoro, del 24-6-2013).
Lavoro subordinato – Assunzione in prova – Termine del periodo di prova fissato in mesi – Calcolo dei soli giorni di attività lavorativa – Esclusione – Fondamento
(cod. civ.: artt. 2096, 2109, 2110)
— Nell’ipotesi di assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova ai sensi dell’art. 2096 cod. civ., se il termine del periodo di prova è fissato in mesi, in assenza di una specifica previsione, si deve osservare il calendario comune, con la conseguenza che resta esclusa la possibilità di tener conto dei soli giorni di lavoro effettivamente prestato e non anche dei giorni di sospensione della prestazione lavorativa per ferie, festività, malattia, infortunio od altro (Sent. n. 14518, Sez. lavoro, del 10-6-2013).
Lavoro subordinato – Contratto – Risoluzione per mutuo consenso in presenza di comportamenti significativi tenuti dalle parti – Ammissibilità
(cod. civ.: art. 1372 I co.; cod. proc. civ.: art. 360)
— Il contratto di lavoro subordinato può essere dichiarato risolto per mutuo consenso anche in presenza non di dichiarazioni, ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, spettando al giudice del merito la valutazione sulla loro efficacia solutoria, in base ad un apprezzamento che, se congruamente motivato sul piano logico-giuridico, si sottrae a censure in sede di legittimità. In particolare, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372, primo comma, cod. civ., il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo, in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano «oggettivo» del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà dei contraenti, intesa come momento psicologico dell’iniziativa contrattuale, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico, là dove, nella materia lavoristica, operano, proprio nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto risolto tacitamente un rapporto di lavoro, in ragione dell’inerzia del lavoratore per ben sei anni dopo il collocamento a riposo e dell’avvenuta percezione del trattamento pensionistico per il quale aveva raggiunto il massimo dell’anzianità contributiva) (Sent. n. 14209, Sez. lavoro, del 5-6-2013).
Lavoro subordinato – «Distacco» o «comando» del lavoratore – Effetti
(cod. civ.: artt. 2094, 2099; D.Lgs. 276/2003: art. 30)
— La figura del «distacco» o «comando» del lavoratore comporta un cambio nell’esercizio del potere direttivo — perché il dipendente viene dislocato presso altro datore di lavoro, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest’ultimo —, ma non incide sulla titolarità del rapporto, in quanto il datore di lavoro distaccante continua ad essere titolare del rapporto di lavoro, con la conseguenza che il rapporto di lavoro resta disciplinato ai fini economici dalle regole applicabili al datore distaccante (Sent. n. 14314, Sez. lavoro, del 6-6-2013).
Lavoro subordinato – Facoltà del lavoratore di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto – Sussistenza – Fondamento
(cod. civ.: artt. 2109, 2110)
— Il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere un’incompatibilità assoluta tra ferie e malattia (Sent. n. 14471, Sez. lavoro, del 7-6-2013).
Lavoro subordinato – Mansioni – Esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro – Valutazione – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 2103; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)
— Ai fini della verifica del legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, deve essere valutata dal giudice di merito — con giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato — l’omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed all’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente, senza che assuma rilievo che, sul piano formale, entrambe le tipologie di mansioni rientrino nella medesima area operativa. (Nella specie, il c.c.n.l. per i dipendenti postali del 26 novembre 1994, nell’introdurre le nuove classificazioni per il personale, aveva accorpato in un’unica area operativa mansioni in precedenza diversificate, prevedendo la fungibilità tra i diversi settori operativi; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha rilevato che, correttamente, la Corte territoriale aveva ritenuto vi fosse stata una concreta dequalificazione attesa la destinazione del lavoratore allo svolgimento di semplici compiti di sportello con sottrazione delle funzioni di coordinamento e controllo di altro personale precedentemente spiegate, con impossibilità di utilizzare le pregresse capacità professionali, destinate alla progressiva scomparsa) (Sent. n. 15010, Sez. VI, del 14-6-2013).
Lavoro subordinato – Sanzioni disciplinari – Contestazione dell’addebito – Attribuzione di fatti rilevanti e precisi e di univoco significato – Necessità – Conseguenza
(L. 300/1970: art. 7)
— Nell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, la contestazione dell’addebito deve esprimersi nell’attribuzione di fatti rilevanti e precisi e di univoco significato, al fine di consentire al lavoratore un’idonea e piena difesa. Ne consegue che l’errata indicazione del giorno in cui sarebbe stato commesso il fatto addebitato assume un valore decisivo ai fini della correttezza della contestazione poiché pregiudica il diritto alla prova spettante all’incolpato. (Nella specie, relativa ad una condotta avvenuta nottetempo, l’identificazione esatta del giorno assumeva rilievo ai fini della prova di non essere stato nei luoghi dell’illecito) (Sent. n. 15006, Sez. lavoro, del 14-6-2013).
Lavoro subordinato – Stato di detenzione del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro – Quando giustifica il licenziamento
(L. 604/1966: art. 3; cod. civ.: artt. 1464, 2103)
— Lo stato di detenzione del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma integra gli estremi della sopravvenuta temporanea impossibilità della prestazione, che giustifica il licenziamento solo ove, in base ad un giudizio ex ante — che tenga conto delle dimensioni dell’impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva in essa attuato, della natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonché del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevolmente prevedibile ulteriore durata della sua carcerazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell’assenza —, costituisca un giustificato motivo oggettivo di recesso, non persistendo l’interesse dal datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente detenuto (Sent. n. 14469, Sez. lavoro, del 7-6-2013).
Lavoro subordinato – Tutela delle condizioni di lavoro – Obbligo relativo – Portata
(cod. civ.: art. 2087)
— L’adempimento dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore imposto dall’art. 2087 c.c. è un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d’attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore dai rischi connessi tanto all’impiego d’attrezzi e macchinari quanto all’ambiente di lavoro, e deve essere verificato, nel caso di malattia derivante dall’attività lavorativa svolta, esaminando le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per prevenire l’insorgere della patologia (Sent. n. 14468, Sez. lavoro, del 7-6-2013).
Libri fondiari – Sistema tavolare – Concorso tra un diritto intavolato ed un diritto extra-tavolare non incompatibile con questo
(R.D. 499/1929: art. 5; cod. civ.: art. 1489)
— Nel sistema tavolare, il concorso tra un diritto intavolato ed un diritto extra-tavolare non incompatibile con questo (come nel caso di proprietà e servitù) non si risolve alla stregua all’art. 5 del R.D. 28 marzo 1929, n. 499, per cui non rileva l’atteggiamento soggettivo di colui che abbia acquistato sulla base della fede del libro fondiario, restando in sua facoltà di invocare, eventualmente, la garanzia del venditore, ai sensi dell’art. 1489 cod. civ. (Sent. n. 15020, Sez. II, del 14-6-2013).
Libri fondiari – Sistema tavolare – Mancata intavolazione della servitù – Effetto
(R.D. 499/1929; cod. civ.: artt. 1027, 1140, 1146, 1158)
— Nel sistema tavolare, la mancata intavolazione della servitù comporta l’inefficacia del trasferimento successivo sotto il profilo del difetto di titolarità in capo all’autore, ma tale inefficacia rientra nella fisiologia dell’istituto dell’accessione del possesso, che presuppone un titolo (non idoneo, bensì) solo astrattamente idoneo al trasferimento. Ne consegue che, intavolato l’acquisto della proprietà, si trasferisce per accessione il possesso della servitù attiva, abbia o no già determinato l’acquisto del relativo diritto per usucapione (Sent. n. 15020, Sez. II, del 14-6-2013).
Licenziamento disciplinare – Principio dell’immediatezza della contestazione – Ratio
(L. 300/1970: art. 7 II co.)
— In tema di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell’art. 7, comma 2, L. 20 maggio 1970, n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore — in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede — sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata (Sent. n. 16227, Sez. lavoro, del 27-6-2013).
Licenziamento ingiustificato del dirigente – Nozione di «ingiustificatezza»
(L. 604/1966: artt. 1, 3; cod. civ.: artt. 1175, 1375, 2119)
— Ove vengano dedotte esigenze di riassetto organizzativo finalizzato ad una più economica gestione dell’azienda — la cui scelta imprenditoriale è insindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità — può considerarsi licenziamento ingiustificato del dirigente, cui la contrattazione collettiva collega il diritto all’indennità supplementare in ipotesi non definite dai principi di correttezza e buona fede, solo quello non sorretto da alcun motivo (e che, quindi, sia meramente arbitrario) ovvero sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso e quindi non corrispondente alla realtà, di talché la sua ragione debba essere rinvenuta unicamente nell’intento di liberarsi della persona del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore (Sent. n. 13918, Sez. lavoro, del 3-6-2013).
Licenziamento per giusta causa – Valutazione del giudice di merito – Quando è censurabile
(cod. civ.: art. 2119; Cost.: artt. 4, 41)
— In tema di giusta causa di licenziamento, l’operazione valutativa del giudice di merito è censurabile ove non siano stati applicati i principi costituzionali che impongono un bilanciamento dell’interesse del lavoratore, tutelato dall’art. 4 Cost., con l’interesse del datore di lavoro, tutelato dall’art. 41 Cost. (Sent. n. 15926, Sez. lavoro, del 25-6-2013).
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Sopravvenuta infermità permanente del lavoratore – Quando integra un giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro
(L. 604/1966: artt. 1, 3; cod. civ.: artt. 1463, 1464, 2103)
— La sopravvenuta infermità permanente del lavoratore integra un giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro solo allorché debba escludersi anche la possibilità di adibire lo stesso ad una diversa attività lavorativa riconducibile — alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede — alle mansioni già assegnate, o ad altre equivalenti e, subordinatamente, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore (Sent. n. 15935, Sez. lavoro, del 25-6-2013).
Locazione – Riconsegna dell’immobile locato – Intimazione di ricevere l’immobile nelle forme stabilite per gli atti giudiziari – Effetto – Adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale – Effetto
(cod. civ.: artt. 1207, 1209 II co., 1216, 1220, 1571)
— In tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., costituita dall’intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 c.c.), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) — purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore —, pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione (costituita, nella specie, dal pagamento dei canoni maturati dopo la risoluzione del contratto di locazione) (Sent. n. 15433, Sez. III, del 20-6-2013).
Negozio annullabile da cui derivino effetti complessi, in parte favorevoli ed in parte svantaggiosi, per ciascuna delle parti – Convalida
(cod. civ.: artt. 1419 I co., 1444)
— In tema di convalida di negozio annullabile, ove da quest’ultimo derivino effetti complessi, in parte favorevoli ed in parte svantaggiosi, per ciascuna delle parti, l’iniziativa assunta da una di esse per la realizzazione del programma negoziale negli aspetti a sé favorevoli comporta la convalida dell’intero negozio solo se, in relazione alla rilevanza che detti profili assumono nell’assetto di interessi complessivamente concordato dalle parti, il comportamento tenuto dalla parte interessata all’annullamento risulti idoneo ad evidenziare la sua volontà di considerare il negozio vincolante anche negli aspetti residui, trovando applicazione il principio secondo il quale il vizio che colpisce una parte del contratto comporta la caducazione dell’intero negozio solo se risulta che le parti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto affetta da invalidità. (Nella specie, relativa a lodo arbitrale irrituale, la parte aveva chiesto, con decreto ingiuntivo, il pagamento delle somme liquidate a suo favore dagli arbitri, riservandosi, contestualmente, di impugnare la decisione arbitrale; la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto che tali dichiarazioni di volontà non potessero essere considerate aprioristicamente incompatibili, cassando le sentenze impugnate) (Sent. n. 15393, Sez. I, del 19-6-2013).
Negozio fiduciario – Esecuzione specifica dell’obbligo di concluderlo – Fattispecie
(cod. civ.: art. 2932)
— L’obbligo assunto dai fiduciari nei confronti del proprio fiduciante di trasferire le azioni o le quote, di cui erano divenuti titolari in base al pactum fiduciae, allo stesso fiduciante o ad un terzo da questi designato, può essere eseguito con la sentenza resa ai sensi dell’art. 2932 c.c. (Sent. n. 14417, Sez. I, del 7-6-2013).
Negozio giuridico – Interpretazione data dal giudice di merito – Sindacato di legittimità
(cod. proc. civ.: art. 360; cod. civ.: artt. 1362 e segg.)
— Per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito non deve essere l’unica interpretazione possibile, e neppure la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni, sicché, quando di un negozio sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito — alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito — dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Sent. n. 14981, Sez. VI, del 14-6-2013).
Notificazione del decreto ingiuntivo – Dubbio, dovuto ad omonimia, sulla diversa identità tra il soggetto nei cui confronti sia stata domandata e pronunciata ingiunzione di pagamento ed il soggetto destinatario della notificazione del relativo decreto – Opposizione tardiva del destinatario della notifica avente ad oggetto anche il fondamento del credito – Ammissibilità
(cod. proc. civ.: art. 650)
— In caso di dubbio, dovuto ad omonimia, sulla diversa identità tra il soggetto nei cui confronti sia stata domandata e pronunciata ingiunzione di pagamento ed il soggetto destinatario della notificazione del relativo decreto, quest’ultimo è legittimato a proporre opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 cod. proc. civ., comprendendo l’accertamento da compiere in tale ipotesi il fatto costitutivo del credito, sotto il profilo dell’individuazione delle parti del rapporto obbligatorio (Sent. n. 14444, Sez. II, del 7-6-2013).
Notificazione del precetto eseguita da un ufficiale giudiziario territorialmente incompetente – Nullità conseguente – Sanatoria
(cod. proc. civ.: artt. 156, 160, 480, 617)
— In caso di notificazione del precetto eseguita da un ufficiale giudiziario territorialmente incompetente, la conseguente nullità, non impedendo il perseguimento delle finalità del precetto stesso, è da considerarsi sanata in forza dell’avvenuta proposizione, da parte dell’intimato, dell’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. (Ord. n. 14495, Sez. VI, del 7-6-2013).
Obbligazioni – Atto con cui le parti convengono la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento – Non costituisce una novazione – Conseguenze
(cod. civ.: art. 1230)
— L’atto con il quale le parti convengono la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento non costituisce una novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità (Ord. n. 16050, Sez. VI, del 26-6-2013).
Obbligazioni – Inadempimento – Atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore inviato con raccomandata a mezzo del servizio postale – Presunzione di conoscenza
(cod. civ.: artt. 1219, 1335, 2697, 2943 IV co.)
— L’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, anche al fine dell’interruzione della prescrizione, inviato al debitore con raccomandata a mezzo del servizio postale, si presume giunto a destinazione — sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, pur in mancanza dell’avviso di ricevimento — e spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente (Ord. n. 15762, Sez. VI, del 24-6-2013).
Obbligazioni pecuniarie – Pagamento al rappresentante apparente – Liberazione del debitore di buona fede – Sussistenza – Condizione
(cod. civ.: artt. 1188, 1189, 2697)
— Il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera il debitore di buona fede, ai sensi dell’art. 1189 cod. civ., ma a condizione che il debitore, che invoca il principio dell’apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel solvens in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens (Sent. n. 14028, Sez. III, del 4-6-2013).
Obbligazioni pecuniarie – Pagamento effettuato mediante un sistema diverso dal versamento di moneta avente corso legale nello Stato, ma che comunque assicuri al creditore la disponibilità della somma dovuta – Rifiuto del creditore in assenza di giustificato motivo – Contrarietà all’obbligo di buona fede e correttezza – Sussistenza
(cod. civ.: artt. 1175, 1277, 1375)
— In tema di obbligazioni pecuniarie, il pagamento effettuato mediante un sistema diverso dal versamento di moneta avente corso legale nello Stato, ma che comunque assicuri al creditore la disponibilità della somma dovuta, può essere rifiutato solo in presenza di un giustificato motivo, dovendo altrimenti il rifiuto ritenersi contrario a correttezza e buona fede. (Nel caso di specie, inviato dal debitore assegno bancario per un importo corrispondente all’ammontare del credito, avendo il creditore omesso di comunicare le proprie determinazioni in merito alla non accettazione del pagamento, nonché — di seguito — intimato il precetto ed iniziato l’esecuzione continuando a detenere l’assegno ricevuto, portandolo all’incasso dopo la scadenza dei termini per la presentazione, è stata confermata la decisione con cui il giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’opposizione proposta dal debitore, aveva escluso la mora debendi e, dunque, la decorrenza degli interessi sulla somma costituente oggetto dell’obbligazione, proprio in ragione della ravvisata contrarietà a buona fede del contegno assunto dal creditore della prestazione pecuniaria) (Sent. n. 14531, Sez. III, del 10-6-2013).
Obbligazioni solidali – Art. 1306 cod. civ. – Si applica nei soli rapporti tra creditore e coobbligato solidale – Conseguenze
(cod. civ.: artt. 1299, 1306, 2909; cod. proc. civ.: art. 324)
— L’art. 1306 c.c. si applica nei soli rapporti tra creditore e coobbligato solidale, e non ai rapporti di regresso tra i vari condebitori. Ne consegue che il condebitore il quale, pagato il debito, agisca in regresso nei confronti dell’altro coobbligato, non può invocare nei confronti di questi il giudicato che lo abbia condannato al pagamento; né il coobbligato convenuto può a lui opporre altro e contrastante giudicato, col quale invece sia stata rigettata la pretesa creditoria nei suoi confronti (Sent. n. 16117, Sez. III, del 26-6-2013).
Obbligazioni solidali – Pretese dell’unico creditore prese in esame in due separati giudizi contro due diversi condebitori solidali che siano state nell’un caso accolte e nell’altro rigettate – Successivo giudizio di regresso
(cod. civ.: artt. 1299, 1306, 2697, 2909; cod. proc. civ.: artt. 99, 324)
— Quando le pretese dell’unico creditore, prese in esame in due separati giudizi contro due diversi condebitori solidali, siano state nell’un caso accolte e nell’altro rigettate, nel successivo giudizio di regresso tra coobbligati i due giudicati si annullano a vicenda, e nessuno dei due potrà giovarsene. Ciò non comporta, però, il necessario rigetto della domanda di regresso proposta dal condebitore che abbia pagato il debito, ma semplicemente che questi avrà l’onere di dedurre e dimostrare con i mezzi ordinari, nel giudizio di regresso, l’effettiva inevitabilità del pagamento (Sent. n. 16117, Sez. III, del 26-6-2013).
Possesso – Usucapione – Acquisizione del bene a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo – Possibilità – Fondamento
(cod. civ.: artt. 1140, 1158, 1350)
— Ai fini dell’usucapione il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà, l’accipiens può possedere il bene animo domini, ed anzi proprio la circostanza che la traditio sia stata eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido (perché non concluso nella necessaria forma scritta), era comunque volto a trasferire la proprietà del bene costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi (Sent. n. 14115, Sez. II, del 4-6-2013).
Poteri del giudice – Valutazione delle prove
(cod. proc. civ.: art. 116)
— Non essendo configurabile un apprezzamento delle prove di tipo oggettivo o medio-statistico, non può aversi violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., se non nel caso in cui il giudice di merito inverta il nesso di regola ad eccezione intercedente fra il prudente apprezzamento e la prova legale, ovvero, pur partendo dall’esatta esegesi della norma, in concreto ritenga doveroso apprezzare ciò che è soggetto a prova legale o viceversa opini essere un effetto legale quello che invece consegue ad un apprezzamento critico (Sent. n. 15780, Sez. II, del 24-6-2013).
Prescrizione – Interruzione da parte del titolare – Proposizione di una domanda giudiziale – Fattispecie in tema di domanda di conguaglio delle indennità di espropriazione e di occupazione
(cod. civ.: artt. 2909, 2943 II co., 2945 II co., 2946; cod. proc. civ.: art. 324; D.P.R. 327/2001)
— La proposizione di una domanda giudiziale ha effetto interruttivo della prescrizione, protraentesi fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisca il giudizio decidendo il merito o eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, con riguardo a tutti i diritti da essa coinvolti o che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui essa inerisce, sicché una siffatta efficacia, relativamente al termine decennale di prescrizione afferente il conguaglio delle indennità di espropriazione e di occupazione giudizialmente invocato, può essere attribuita alla precedente domanda di opposizione alla stima solo in presenza di una correlazione sostanziale o processuale tra le decisioni che abbiano definito i rispettivi giudizi. (Nella specie, la S.C., confermando la sentenza impugnata, ha escluso una tale correlazione avendo il giudizio di opposizione alla stima riguardato, originariamente, indennità relative a porzioni di terreno diverse da quella per la quale era stato successivamente richiesto il suddetto conguaglio, ed essendo, altresì, rimasto incensurato il diniego di valenza interruttiva della prescrizione attribuito alla statuizione di inammissibilità concernente la domanda tardivamente ivi formulata anche con riguardo a quest’ultima) (Sent. n. 14427, Sez. I, del 7-6-2013).
Prescrizione presuntiva – Eccezione – Non implica il riconoscimento del credito se è stato contestato dall’opponente
(cod. civ.: art. 2959)
— L’affermazione giurisprudenziale secondo cui «l’eccezione di prescrizione presuntiva implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore» va intesa non nel senso che l’eccezione costituisca un’ammissione dell’esistenza del credito e del titolo posto a fondamento di essa, ma in quello dell’infondatezza dell’eccezione in presenza di una contestuale contestazione del credito (Sent. n. 15407, Sez. II, del 19-6-2013).
Privacy – Diritto all’oblio – Fattispecie
(Cost.: art. 2; D.Lgs. 196/2003)
— Le vicende relative ai c.d. anni di piombo appartengono alla memoria storica del nostro Paese, ma ciò non si traduce nell’automatica sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza di eventi che non hanno più, se non in via del tutto ipotetica e non dimostrata, alcun oggettivo collegamento con quei fatti e con quell’epoca. (Nella specie, la Corte ha ritenuto del tutto illegittima la condotta di un giornalista che, prendendo come pretesto il ritrovamento di un arsenale di armi appartenente alle Brigate Rosse, aveva chiamato in causa un ex terrorista; a detta della Corte, infatti, il diritto alla riservatezza dell’uomo — che assumeva, nella specie, i connotati del diritto all’oblio — doveva prevalere sul diritto di cronaca, perché il fatto puro e semplice del ritrovamento di una cospicua quantità di armi nella zona di residenza dello stesso non poteva consentire al giornalista di creare un oggettivo ed arbitrario collegamento tra quell’evento, attuale, e la storia passata dell’uomo, ex terrorista ma pure ormai reinserito nel contesto sociale) (Sent. n. 16111, Sez. III, del 26-6-2013).
* Processo – Sospensione ordinata in applicazione di specifiche disposizioni di legge (nella specie, art. 355 cod. proc. civ.) diverse dall’art. 295 cod. proc. civ.
(cod. proc. civ.: artt. 42, 295, 355)
— Nell’ipotesi di sospensione del processo ordinata in applicazione di specifiche disposizioni di legge, diverse dall’art. 295 cod. proc. civ., quale è il caso di cui all’art. 355 cod. proc. civ., allorché sia proposta querela di falso nel giudizio di appello ed il giudice ritenga il documento impugnato rilevante per la decisione della causa, il controllo di legittimità, in sede di regolamento necessario di competenza, va limitato alla verifica che la sospensione sia stata disposta in conformità dello schema legale di riferimento e senza che la norma che la giustifica sia stata abusivamente invocata (Ord. n. 14497, Sez. VI, del 7-6-2013).
Processo tributario – Litisconsorzio necessario – Quando si configura
(D.Lgs. 546/1992: art. 14; cod. proc. civ.: art. 102; Cost.: artt. 3, 53)
— Nel processo tributario la nozione di litisconsorzio necessario, quale emergente dalla norma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546 del 1992, si configura come fattispecie autonoma rispetto a quella di cui all’art. 102 cod. proc. civ., poiché non detta, come quest’ultima, una «norma in bianco», ma positivamente indica i presupposti nell’inscindibilità della causa determinata dall’oggetto del ricorso, così che la citata fattispecie si configura ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo coinvolga, nell’unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, una pluralità di soggetti ed il ricorso, pur proposto da uno o più obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione. La ratio della peculiarità della fattispecie del litisconsorzio tributario si giustifica sul piano costituzionale quale espressione dei principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., perché funzionale alla parità di trattamento dei coobbligati ed al rispetto della loro capacità contributiva (Ord. n. 15189, Sez. VI, del 18-6-2013).
Proprietà – Limitazioni legali – Distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi – Esonero ex art. 905 III co. cod. civ. – Criterio di necessità
(cod. civ.: artt. 905 III co., 1158)
— La qualificazione di una strada come pubblica, ai fini dell’esonero dal rispetto delle distanze nell’apertura di vedute dirette e balconi, ex art. 905, terzo comma, cod. civ., esige che la sua destinazione all’uso pubblico risulti da un titolo legale, che può essere costituito non solo da un provvedimento dell’autorità o da una convenzione con il privato, ma anche dall’usucapione, ove risulti dimostrato l’uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all’acquisto del relativo diritto, restando peraltro escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene uti singuli, essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all’uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti (Sent. n. 16200, Sez. VI, del 26-6-2013).
Prova testimoniale – Ammissibilità: limiti di valore
(cod. civ.: art. 2721)
— Non integra violazione del primo comma dell’art. 2721 cod. civ. l’ammissione di prova testimoniale, sebbene il valore dell’oggetto della lite ecceda il limite previsto da tale disposizione, allorché il giudice di merito ritenga verosimile la conclusione orale del contratto, avuto riguardo — ai sensi del secondo comma del medesimo articolo — alla sua natura (nella specie, contratto di mutuo per un importo inferiore a 2.000 euro) ed alla qualità delle parti (nella specie, legate da vincolo di parentela) (Ord. n. 14457, Sez. VI, del 7-6-2013).
Provvedimenti d’urgenza – Tutela cautelare relativa – È inammissibile nel giudizio di legittimità – Fondamento
(cod. proc. civ.: artt. 360, 700)
— La tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. è inammissibile nel giudizio di legittimità, poiché il relativo provvedimento, avente natura strumentale e funzione cautelativa del tutto provvisoria, in quanto finalizzato ad evitare che la futura pronunzia del giudice possa restare pregiudicata nel tempo necessario per ottenerla, è destinato a perdere ogni efficacia a seguito della decisione emessa nel successivo giudizio di merito, nella quale rimane assorbito e caducato, con l’esaurimento della funzione cautelare che lo caratterizza (Sent. n. 14503, Sez. Unite, del 10-6-2013).
Pubblico impiego privatizzato – Concorso per dirigente nell’amministrazione dello Stato – Dirigente aspirante all’incarico utilmente inserito nella graduatoria – Non vanta un diritto soggettivo pieno, bensì un interesse legittimo di diritto privato a conseguire l’incarico – Fondamento e conseguenza
(D.Lgs. 165/2001: artt. 15, 19, 24)
— In tema di impiego pubblico privatizzato, l’utile inserimento nella graduatoria di un concorso per dirigente nell’amministrazione dello Stato non dà diritto, prima del conferimento del relativo incarico e della stipulazione del contratto individuale, al medesimo trattamento di chi rivesta la qualifica dirigenziale, atteso che il legislatore ha attribuito al datore di lavoro pubblico ampia potestà discrezionale sia nel non avvalersi di un determinato dipendente pur in possesso di tale qualifica, sia nella scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali. Ne consegue che il dirigente aspirante all’incarico non vanta un diritto soggettivo pieno, bensì un interesse legittimo di diritto privato a conseguire l’incarico stesso, cosicché non può pretendere la retribuzione corrispondente alla qualifica dirigenziale (Sent. n. 16097, Sez. lavoro, del 26-6-2013).
Repressione della condotta antisindacale – Caso in cui non sussiste una condotta antisindacale
(L. 300/1970: art. 28)
— Non costituisce condotta antisindacale, ai sensi dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, il comportamento del datore di lavoro il quale abbia sottoscritto un nuovo contratto collettivo, sostituendo il trattamento in precedenza applicato, frutto di accordo con alcune organizzazioni sindacali, con il trattamento concordato con altri sindacati, ed imponendo tale nuovo trattamento agli iscritti al sindacato non stipulante nonostante l’esplicito diniego espresso; infatti, non sussiste, nel nostro ordinamento, un obbligo a carico del datore di lavoro di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali, rientrando nell’autonomia negoziale da riconoscere alla parte datoriale la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con organizzazioni sindacali anche diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente (Sent. n. 14511, Sez. lavoro, del 10-6-2013).
Responsabilità del notaio – Fattispecie
(cod. civ.: artt. 1176 II co., 1218, 1470, 2229, 2230, 2808)
— Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell’esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull’immobile, risponde del danno patito dall’acquirente, essendo comunque tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma secondo, cod. civ., a nulla rilevando se sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura (Sent. n. 15305, Sez. III, del 19-6-2013).
Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia connessa all’esistenza di un cantiere stradale
(cod. civ.: art. 2051)
— In tema di responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia connessa all’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di quest’area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, questa situazione dimostra la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, sicché la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente (Sent. n. 15882, Sez. III, del 25-6-2013).
Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Criterio di sufficienza
(cod. civ.: art. 2051)
— In tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. La disponibilità che della cosa ha l’utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questi della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all’utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione della Corte territoriale che aveva affermato la responsabilità per i danni subiti dal terzo proprietario di un immobile sottostante un giardino, in capo al condominio che ne godeva in forza di un titolo negoziale, quest’ultimo ponendo a carico del condomino la sola manutenzione ordinaria dello spazio verde e lasciando la manutenzione straordinaria al proprietario costruttore) (Sent. n. 15096, Sez. II, del 17-6-2013).
Ricorso per cassazione – Contenuto – Esposizione sommaria dei fatti della causa – Pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali – Superfluità ed inidoneità – Fondamento
(cod. proc. civ.: art. 366 I co. n. 3)
— In tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n. 3, c.p.c. la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è — per un verso — del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata, mentre — per altro verso — è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Sent. n. 15200, Sez. VI, del 18-6-2013).
Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio di violazione o falsa applicazione di legge straniera – Deducibilità
(cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 3)
— Il vizio di violazione di legge, previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è deducibile, nell’ambito della funzione di nomofilachia istituzionalmente demandata a questa Corte, anche quando venga in considerazione, in virtù di specifiche disposizioni normative o della volontà delle parti, l’interpretazione e l’applicazione della legge straniera. Sotto tale profilo l’accertamento dello status di apolide, che si ricollega ad una mera condizione negativa in fatto o in diritto della persona priva di ogni cittadinanza, presuppone la valutazione delle norme che regolano tale aspetto nello Stato con il quale il soggetto ha avuto un legame giuridicamente rilevante (Sent. n. 15679, Sez. I, del 21-6-2013).
Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Deduzione – Criteri di necessità
(cod. proc. civ.: artt. 360 I co. n. 3, 366 I co. n. 4)
— In materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Ord. n. 16038, Sez. VI, del 26-6-2013).
Ricorso per cassazione – Notificazione eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario della notificazione stessa – Inesistenza – Fondamento
(cod. proc. civ.: artt. 137, 160, 360)
— In tema di giudizio di cassazione, è inesistente la notificazione eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario della notificazione stessa essendo a costui del tutto estraneo, come nella specie per il ricorso, dichiarato perciò inammissibile, notificato alla parte intimata presso la cancelleria della Corte di cassazione, sull’erroneo presupposto di una sua domiciliazione ivi ex lege (Ord. n. 13970, Sez. VI, del 3-6-2013).
* Risarcimento del danno – Danno da occupazione abusiva di immobile – Non è in re ipsa e coincidente con l’evento – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 1223, 2043, 2056, 2697, 2729 I co.)
— Il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subìto un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito che può, al riguardo, avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti (Sent. n. 15111, Sez. III, del 17-6-2013).
Risarcimento del danno – Invalidità permanente – Non comporta necessariamente un danno patrimoniale
(cod. civ.: artt. 2043, 2056, 2057)
— Mentre l’invalidità permanente (totale o parziale) concorre di per sé a dar luogo al danno biologico, la stessa non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell’attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l’infortunio subìto, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte (Ord. n. 16213, Sez. VI, del 27-6-2013).
* Risarcimento del danno morale – Liquidazione equitativa – Necessità
(cod. civ.: artt. 2056, 2059)
— Il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari del danno biologico, non è ricompreso in quest’ultimo e va liquidato a parte con criterio equitativo che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto (Ord. n. 16041, Sez. VI, del 26-6-2013).
Risarcimento del danno non patrimoniale – Danno biologico conseguente alla lesione del diritto alla salute e danno da «stress psicologico da timore» – Diversità ontologica – Fondamento
(Cost.: artt. 2, 32 I co.; cod. civ.: art. 2059)
— Il danno biologico, conseguente alla lesione del diritto alla salute garantito dall’art. 32 Cost., è ontologicamente diverso dal danno derivante dalla lesione di un diverso diritto costituzionalmente protetto, non potendo, quindi, essere risarcito come danno biologico il danno cosiddetto esistenziale, che si affermi essere derivato da «stress psicologico da timore», per la compromissione della serenità e sicurezza del soggetto interessato, giacché detto stress è soltanto una conseguenza della lesione di un possibile interesse protetto il quale necessita di una previa individuazione, affinché possa venire poi in considerazione il pregiudizio che, in ipotesi, sia derivato dalla lesione dello stesso, con la precisazione, altresì, che la serenità e la sicurezza, di per sé considerate, non costituiscono diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, la cui lesione consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale (Sent. n. 15707, Sez. II, del 21-6-2013).
Risarcimento del danno non patrimoniale – Duplicazione o erronea sottostimazione – Criterio di rilevanza
(cod. civ.: art. 2059)
— In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non il nome assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (biologico, morale, esistenziale), ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice. Si ha pertanto duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia stato liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi (Sent. n. 16413, Sez. lavoro, del 28-6-2013).
Risarcimento del danno non patrimoniale – Fattispecie
(cod. civ.: art. 2059)
— Costituisce danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., integrando una sofferenza di particolare gravità ed idonea a compromettere lo svolgimento della relazione affettiva, il danno psichico subìto in via riflessa dagli stretti congiunti di una paziente che abbia sviluppato uno stato depressivo a causa di un’erronea diagnosi di malattia mortale con breve aspettativa di vita, con conseguente intervento chirurgico superfluamente distruttivo (Sent. n. 14040, Sez. III, del 4-6-2013).
Risarcimento in forma specifica – Eccessiva onerosità – Nozione
(cod. civ.: art. 2058 II co.)
— Si ha eccessiva onerosità ai sensi dell’art. 2058 c.c. quando il sacrificio economico necessario per il risarcimento in forma specifica superi in misura eccessiva il valore da corrispondere in base al risarcimento per equivalente (Sent. n. 15875, Sez. III, del 25-6-2013).
Risarcimento per fatto illecito – Responsabilità solidale – Criterio di sufficienza
(cod. civ.: art. 2055; cod. pen.: art. 41)
— Ai fini della responsabilità solidale prevista dall’art. 2055 c.c., non è necessario che più soggetti concorrano nell’unica azione od omissione, ma basta, nel caso di pluralità di azioni od omissioni, pur se autonome e temporalmente distinte, che ciascuno di essi abbia concorso in maniera causalmente efficiente a produrre l’evento. (Nella specie, l’istituto bancario aveva indebitamente negoziato alcuni assegni bancari muniti di clausola di intrasferibilità, che erano stati posti all’incasso mediante falsificazione della firma; la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto sussistere la responsabilità dell’istituto di credito accanto a quella degli autori della contraffazione) (Sent. n. 15687, Sez. I, del 21-6-2013).
Sentenza – Acquiescenza tacita – Nozione – Fattispecie in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto
(cod. proc. civ.: art. 329 I co.; cod. civ.: art. 2932)
— In mancanza di accettazione espressa, l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329, comma 1, c.p.c., può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e cioè quando sia possibile affermare che gli atti sono incompatibili, sotto il profilo logico o giuridico, con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. Ne consegue che l’accettazione, da parte del promittente venditore, della somma attribuitagli a titolo di prezzo dalla sentenza ex art. 2932 cod. civ. non integra acquiescenza alla sentenza medesima, venendo in rilievo un atteggiamento passivo, non incompatibile con la volontà di impugnare, salvo restituzione della somma (Sent. n. 14120, Sez. II, del 4-6-2013).
Separazione giudiziale dei coniugi – Addebitabilità della colpa del fallimento del matrimonio – Riferibilità anche al periodo di convivenza pre-matrimoniale – Condizione
(cod. civ.: artt. 143, 151)
— In tema di separazione giudiziale, l’addebitabilità della colpa del fallimento del matrimonio deve essere riferita anche al periodo di convivenza pre-matrimoniale, allorché questo si collochi rispetto al matrimonio come un periodo di convivenza continuativo, che consente, quindi, di valutare complessivamente la vita della coppia e le reciproche responsabilità dei coniugi (Sent. n. 15486, Sez. I, del 20-6-2013).
Separazione giudiziale dei coniugi – Assegno di mantenimento – Determinazione nei casi di assoluta brevità della convivenza che non consentono di ricorrere al riscontro di altri comportamenti abituali dei coniugi – Elementi rilevanti
(cod. civ.: artt. 151, 156)
— In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, nei casi di assoluta brevità della convivenza che non consentono di ricorrere al riscontro di altri comportamenti abituali dei coniugi, l’elemento costituito dalla consistenza patrimoniale, dall’ammontare dei redditi dei coniugi e dalla loro presumibile imputazione di spesa, assume un rilievo centrale nella determinazione del tenore di vita della coppia (Sent. n. 15486, Sez. I, del 20-6-2013).
Separazione giudiziale dei coniugi con addebito – Efficacia lesiva dell’abbandono del tetto coniugale – Quando è irrilevante
(cod. civ.: art. 151)
— L’efficacia lesiva dell’abbandono del tetto coniugale è irrilevante ai fini dell’addebito della separazione ove intervenga in un contesto di disgregazione della comunione materiale e spirituale indicativo di una situazione ormai irrimediabilmente compromessa (Sent. n. 16285, Sez. VI, del 27-6-2013).
Separazione giudiziale dei coniugi con richiesta di addebito proposta da uno dei coniugi e basata sull’infedeltà dell’altro – Successiva generica manifestazione di una volontà riconciliativa da parte del coniuge non infedele – Rilevanza ai fini dell’esclusione di un’efficienza causale dell’infedeltà in ordine alla crisi dell’unione familiare
(cod. civ.: art. 151)
— In tema di separazione giudiziale con richiesta di addebito, proposta da uno dei coniugi e basata sull’infedeltà dell’altro, la successiva generica manifestazione di una volontà riconciliativa da parte del coniuge non infedele, poiché di per sé non elide la gravità del vulnus subìto ed, in ogni caso, costituisce un posterius rispetto alla proposizione della domanda di separazione con richiesta di addebito, in tanto può assumere valore ai fini dell’esclusione di un’efficienza causale dell’infedeltà in ordine alla crisi dell’unione familiare in quanto ad essa corrisponda un positivo riscontro da parte del coniuge infedele (Sent. n. 16270, Sez. VI, del 27-6-2013).
Servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella legale – Acquisto per usucapione – Caso in cui non è configurabile
(cod. civ.: artt. 873, 1027, 1158)
— Non è configurabile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella legale allorché risulti che, nel corso del tempo necessario ai fini di tale acquisto, l’originario manufatto, consistente, nella specie, in un rudere fatiscente, sia stato demolito e sostituito con un immobile avente una differente altezza ed una diversa localizzazione rispetto alle fondamenta ed all’area di sedime del preesistente, così integrando gli estremi di una nuova costruzione e non di un intervento di ristrutturazione, con conseguente venir meno dell’identità del bene occorrente per l’unitarietà del possesso ad usucapionem (Sent. n. 14902, Sez. II, del 13-6-2013).
Servitù di passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso – Onere di provare l’impossibilità di ampliare l’accesso ritenuto inidoneo rispetto ai bisogni del fondo – Sussistenza
(cod. civ.: artt. 1052, 2697)
— In tema di servitù coattiva di passaggio a favore di un fondo non intercluso, di cui all’art. 1052 c.c., è onere della parte provare, oltre all’insufficienza dell’accesso alla via pubblica già esistente e alla non modificabilità dello stato dei luoghi, l’impossibilità di ampliare l’accesso ritenuto inidoneo rispetto ai bisogni del fondo (Sent. n. 15023, Sez. II, del 14-6-2013).
Società in accomandita semplice – Morte del socio – Clausola «di continuazione», prevista nell’atto costitutivo, con cui si trasmette automaticamente all’erede del socio accomandatario defunto la qualità di socio – Validità – Condizione
(cod. civ.: artt. 2284, 2313, 2455)
— È valida la clausola «di continuazione» con la quale i soci di una società in accomandita semplice prevedano nell’atto costitutivo, in deroga all’art. 2284 cod. civ., l’automatica trasmissibilità all’erede del socio accomandatario defunto della predetta qualità di socio, purché non sia anche trasmesso il munus di amministratore, dal momento che tale funzione — a differenza di quanto previsto dall’art. 2455 cod. civ. per le società in accomandita per azioni — nella società in accomandita semplice non è attribuita di diritto a tutti i soci accomandatari (Sent. n. 15395, Sez. I, del 19-6-2013).
Società (nella specie, cooperativa a responsabilità limitata) – Bilancio regolarmente approvato dall’assemblea – Ha efficacia vincolante per tutti i soci – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 2364 I co. n. 1, 2377 I co., 2423, 2538, 2709)
— Il bilancio regolarmente approvato dall’assemblea di una società (nella specie, cooperativa a responsabilità limitata) ha efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti. Ne consegue che la relativa delibera, in deroga all’art. 2709 cod. civ., fa piena prova nei confronti dei soci dei crediti della società purché chiaramente indicati nel bilancio medesimo, dovendosi escludere che la mera iscrizione supplementare, in allegato al bilancio o tra i conti d’ordine (nella specie, sotto la voce «conto sospesi ex presidente»), sia idonea ad integrare il requisito della chiarezza, assolvendo tali sistemi supplementari cosiddetti «incompleti» la funzione di non influenzare la rilevazione contabile del patrimonio e del reddito (Sent. n. 15394, Sez. I, del 19-6-2013).
Spese processuali – Sindacato della Corte di cassazione – Ambito
(cod. proc. civ.: artt. 91, 92 II co., 360)
— In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Sent. n. 15317, Sez. trib., del 19-6-2013).
Successione ereditaria – Rilascio dei beni, da parte dell’erede beneficiato, ai creditori e ai legatari – Trasferimento della proprietà ai creditori o al curatore nominato ex art. 508 cod. civ. – Esclusione – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 507, 508; cod. proc. civ.: art. 102)
— In tema di successione ereditaria, il rilascio dei beni da parte dell’erede beneficiato, ai sensi dell’art. 507 cod. civ., non comporta il trasferimento della relativa proprietà ai creditori o al curatore nominato ai sensi dell’art. 508 cod. civ., verificandosi un’ipotesi di semplice abbandono, da parte dell’erede stesso, dei poteri di amministrazione e disposizione a lui riconosciuti, con subingresso del curatore quale titolare dell’ufficio di liquidazione. Ne consegue che, nei giudizi in cui si controverta della proprietà dei beni ereditari, è necessaria la partecipazione non soltanto del curatore, ma anche dell’erede beneficiato, risultando inutiliter data una sentenza eventualmente pronunciata in sua assenza (Ord. n. 15038, Sez. II, del 14-6-2013).
Successione legittima – Legato in sostituzione di legittima – Nozione
(cod. civ.: artt. 551, 718)
— Il legato in sostituzione di legittima, previsto dall’art. 551 cod. civ., è una disposizione a titolo particolare sottoposta a condizione risolutiva, nel senso che l’eventuale rinuncia determina il venire meno della sostituzione e consente al legittimario di reclamare la quota di riserva spettantegli per legge sui beni ereditari. Ne consegue che il legatario, che abbia rinunciato al legato tacitativo in denaro, può conseguire la quota di legittima in natura, in base alla regola generale dettata dall’art. 718 cod. civ. (Sent. n. 16252, Sez. II, del 27-6-2013).
Successione legittima – Reintegrazione della quota di legittima che venga effettuata mediante conguaglio in denaro nonostante l’esistenza nell’asse ereditario di beni in natura
(cod. civ.: art. 553)
— Qualora la reintegrazione della quota di legittima venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l’esistenza nell’asse ereditario di beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta, essa deve essere adeguata al mutato valore — al momento della decisione giudiziale — del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l’esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione (Sent. n. 14449, Sez. II, del 7-6-2013).
Supercondominio – Regolamento contrattuale predisposto dall’originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari – Vincolatività nei confronti di tutti i successivi acquirenti
(cod. civ.: artt. 1027, 1058, 1117, 1138, 2643)
— Il regolamento di un supercondominio, predisposto dall’originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari, in virtù del suo carattere convenzionale, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l’uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Sent. n. 14898, Sez. II, del 13-6-2013).
Testamento – Legato di somme ricavabili dalla liquidazione del patrimonio mobiliare del testatore e di importi risultanti a credito su un conto corrente bancario – Legato di genere – Esclusione – Legato di specie – Configurabilità – Fondamento
(cod. civ.: artt. 588, 649, 653)
— La disposizione testamentaria con cui il testatore abbia lasciato ad un legatario le somme ricavabili dalla vendita dei beni mobili presenti nella propria abitazione alla data dell’apertura della successione, nonché le somme risultanti a credito su un conto corrente bancario sempre al momento della sua morte, ha natura non di legato di genere, ma di legato di specie in relazione alla percezione di quei determinati importi, essendo evidente l’intenzione del de cuius di considerare il denaro, quanto al primo oggetto, come espressione della monetizzazione del suo patrimonio mobiliare, e di attribuire, col secondo lascito, non già un qualche ammontare di numerario, quanto il diritto di esigere il capitale e gli interessi presenti in conto in un certo momento (Sent. n. 14358, Sez. II, del 6-6-2013).
Trascrizione – Nota – Inesattezza dell’indicazione della data di nascita del dante causa di un trasferimento immobiliare – Conseguente annotazione del titolo nel conto di diversa persona – Invalidità della trascrizione – Fondamento
(cod. civ.: artt. 2659 I co. n. 1, 2665)
— In tema di trascrizione, l’inesattezza nella nota di cui all’art. 2659 c.c. dell’indicazione della data di nascita del dante causa di un trasferimento immobiliare, con conseguente annotazione del titolo nel conto di diverso soggetto, determinando incertezza sulla persona a cui si riferisce l’atto, nuoce, ai sensi dell’art. 2665 c.c., alla validità della trascrizione stessa, da considerarsi, in concreto, occulta ai terzi, i quali non sono posti in grado, secondo gli ordinari criteri nominativi di tenuta dei registri immobiliari, di conoscere l’esistenza di tale atto (Sent. n. 14440, Sez. II, del 7-6-2013).
Usucapione decennale – Caso in cui non è configurabile
(cod. civ.: artt. 1159, 2659 I co. n. 1, 2665)
— Non è configurabile l’usucapione decennale in favore di chi abbia acquistato un immobile dall’effettivo proprietario, ma in forza di titolo la cui nota di trascrizione rechi inesattezze, tali da indurre incertezza sulla persona del dante causa, idonea ad escludere la validità della trascrizione stessa, trattandosi, agli effetti dell’art. 1159 c.c., di titolo non «debitamente trascritto» (Sent. n. 14440, Sez. II, del 7-6-2013).
Vendita da piazza a piazza stipulata fra commercianti ed avente per oggetto merce per sua natura destinata al commercio – Mera consegna della merce dal preteso venditore al vettore – Non comporta conclusione del contratto – Fondamento
(cod. civ.: artt. 1325 n. 1, 1327 I co., 1510 II co.)
— Nella vendita da piazza a piazza stipulata fra commercianti ed avente per oggetto merce per sua natura destinata al commercio, la semplice consegna di questa dal preteso venditore al vettore, in difetto di qualsiasi idonea prova dell’esistenza di una preventiva proposta del preteso acquirente, non comporta conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1327, primo comma, cod. civ., mancando la configurazione dell’elemento essenziale di una valida richiesta del proponente affinché l’esecuzione possa tener luogo dell’accettazione espressa, ai fini della conclusione dell’accordo delle parti, elemento imposto dalla norma generale di cui all’art. 1325, n. 1, cod. civ. (Sent. n. 16182, Sez. II, del 26-6-2013).
Vendita – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato – Effetto
(cod. civ.: artt. 1230, 1490, 1492, 1495, 1655, 2944)
— In tema di compravendita (ma il principio va esteso anche all’ipotesi di appalto), l’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sé non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva (novazione oggettiva: art. 1230 c.c.) dell’originaria obbligazione di garanzia (art. 1490 c.c.), ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., ai fini dell’esercizio delle azioni (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) previste in suo favore (art. 1492 c.c.), sostanziandosi tale impegno in un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione (art. 2944 cod. civ.); infatti, solo in presenza di un accordo delle parti (espresso o per facta concludentia), il cui accertamento è riservato al giudice di merito, inteso ad estinguere l’originaria obbligazione di garanzia e a sostituirla con una nuova per oggetto o titolo, l’impegno del venditore di eliminare i vizi dà luogo ad una novazione oggettiva (Sent. n. 15992, Sez. II, del 25-6-2013).
Vendita immobiliare – Patto di prelazione – Denuntiatio – Non può essere provata per testimoni – Fondamento
(cod. civ.: artt. 1350, 1470, 2725)
— Poiché il patto di prelazione concerne la vendita di un immobile, la denuntiatio che il promittente è obbligato a fare al promissario non è valida se non è fatta, a pena di nullità, in forma scritta; conseguentemente la denuntiatio non può essere provata con testimoni (Sent. n. 15709, Sez. II, del 21-6-2013).
Vendita su campione – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 1522 I e II co.)
— Per identificare un contratto di vendita «su campione», ai sensi del primo comma dell’art. 1522 c.c., è necessario che la volontà delle parti di assumere il campione come esclusivo paragone per la qualità della merce risulti espressa e/o, comunque, ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio, perché, in caso contrario, bisogna ritenere che le parti abbiano assunto il campione, così come avviene normalmente, ai sensi dell’art. 1522, comma 2, c.c., per indicare in modo approssimativo la qualità del bene oggetto della vendita (Sent. n. 15792, Sez. II, del 24-6-2013).