Massime civili della Cassazione di aprile 2013

Agenzia – Contratto – Clausola di tacita rinnovazione «di anno in anno salvo disdetta»

(cod. civ.: art. 1750)

— È legittima la clausola di tacita rinnovazione «di anno in anno salvo disdetta» del rapporto di agenzia, senza che dalla reiterata rinnovazione del contratto a termine possa trarsi la conseguenza di un unico contratto di agenzia a tempo indeterminato (Sent. n. 9777, Sez. lavoro, del 23-4-2013).

 

Assicurazione della responsabilità civile – Processo con pluralità di parti cui dà luogo la chiamata in causa dell’assicuratore – Evento interruttivo che in primo grado colpisca l’assicuratore – Conseguenze

(cod. civ.: art. 1917 IV co.; cod. proc. civ.: artt. 106, 303)

— Nel processo con pluralità di parti cui dà luogo la chiamata in causa dell’assicuratore prevista dall’art. 1917 c.c., comma 4, l’evento interruttivo che in primo grado colpisca l’assicuratore determina la sola interruzione del giudizio relativo alla domanda di indennità, ancorché il processo debba essere mantenuto in stato di rinvio sino alla scadenza del termine per la prosecuzione da parte dei successori del chiamato o della riassunzione da parte del chiamante; conseguentemente, l’onere della riassunzione grava sul convenuto che ha eseguito la chiamata in causa e, mancata ad opera di alcuna delle parti attività processuale utile alla prosecuzione del relativo giudizio, il processo si estingue solo per la parte che riguarda la domanda proposta con la chiamata in causa (Sent. n. 9686, Sez. Unite, del 22-4-2013).

 

Competenza per territorio nei procedimenti di revisione delle disposizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio – Determinazione

(cod. proc. civ.: artt. 18, 19, 20, 709 ter III co.; L. 54/2006: art. 2 II co.; L. 898/1970: art. 9)

— La competenza territoriale a conoscere dei procedimenti di revisione delle disposizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio è devoluta al giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione controversa, dovendo applicarsi a tali procedimenti i criteri ordinari di competenza per territorio stabiliti dagli articoli da 18 a 20 del codice di procedura civile e non il disposto dell’art. 709 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, destinato alla soluzione di controversie insorte tra genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento e, in tale ambito, all’adozione, in caso di gravi inadempienze dei genitori o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, dei provvedimenti sanzionatori previsti dalla norma stessa, anche in unione con la modifica dei provvedimenti in vigore relativamente a tali modalità (Ord. n. 8016, Sez. VI, del 2-4-2013).

 

Concordato preventivo con cessione dei beni – Legittimato passivo rispetto alla domanda di accertamento dei crediti proposta dopo la sua omologazione – È solo il debitore

(R.D. 267/1942: artt. 160, 180, 182; cod. proc. civ.: artt. 102, 105)

— Nella procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, diversamente da quanto si verifica nel fallimento, il debitore è l’unico legittimato passivo rispetto alla domanda di accertamento dei crediti proposta dopo la sua omologazione, sussistendo la legittimazione del liquidatore solo nelle controversie che investono lo scopo liquidatorio della citata procedura; tuttavia, pur non essendo il liquidatore legittimato passivo, né litisconsorte necessario del debitore nei suddetti giudizi di accertamento, ove egli vi intervenga (trattandosi di interventore adesivo che si inserisce nel processo tra altre persone lasciando invariato l’oggetto della lite nonostante l’ampliamento del numero dei partecipanti), deve necessariamente ipotizzarsi un litisconsorzio processuale nei successivi gradi di giudizio, non esaurendosi in un solo grado l’interesse dell’interventore ad influire con la propria difesa sull’esito dello stesso e configurandosi, diversamente, il rischio di un conflitto di giudicati per effetto della definitività della sentenza resa nei confronti dell’interventore rimasto estraneo ai successivi gradi di giudizio (Sent. n. 8102, Sez. III, del 3-4-2013).

 

Condominio – Aspetto architettonico e decoro architettonico dell’edificio – Nozioni rispettive

(cod. civ.: artt. 1120 II co., 1127 III co.)

— In materia di condominio negli edifici, la nozione di aspetto architettonico, di cui all’art. 1127 cod. civ., che opera come limite alla facoltà di sopraelevare, non coincide con quella, più restrittiva, di decoro architettonico, di cui all’art. 1120 cod. civ., che opera come limite alle innovazioni, sebbene l’una nozione non possa prescindere dall’altra, dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto lesivo del decoro architettonico dell’edificio, ma compatibile con l’aspetto architettonico dello stesso, un manufatto sopraelevato, occupante gran parte del terrazzo dell’ultimo piano e ben visibile dall’esterno) (Sent. n. 10048, Sez. II, del 24-4-2013).

 

Condominio – Assemblea – Deliberazione di ripartizione dei contributi

(cod. civ.: artt. 1123, 1135 I co. n. 2, 1137; disp. att. cod. civ.: art. 68)

— In tema di condominio, in presenza di una deliberazione di ripartizione dei contributi approvata dall’assemblea, il singolo condomino non può sottrarsi al pagamento delle spese a lui spettanti deducendo la mera mancanza formale delle tabelle millesimali, dovendo comunque opporsi al medesimo riparto mediante contestazione dei criteri seguiti (Sent. n. 10081, Sez. II, del 26-4-2013).

 

Condominio – Costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio – Limiti

(cod. civ.: art. 1127 II co.)

— L’art. 1127, secondo comma, cod. civ., il quale fa divieto al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale di realizzare sopraelevazioni precluse dalle condizioni statiche del fabbricato e consente agli altri condomini di agire per la demolizione del manufatto eseguito in violazione di tale limite, impedisce altresì di costruire sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, fondandosi la necessità di adeguamento alla relativa normativa tecnica su una presunzione di pericolosità, senza che abbia rilievo, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento della concessione in sanatoria relativa ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell’edificio, atteso che tale provvedimento prescinde da un giudizio tecnico di conformità alle regole di costruzione (Sent. n. 10082, Sez. II, del 26-4-2013).

 

Condominio – Lastrico solare di uso esclusivo – Funzione ed obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione

(cod. civ.: artt. 1126, 2051)

— Il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge funzione di copertura del fabbricato e, perciò, l’obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto al condomino che ne abbia la proprietà esclusiva, grava su tutti i condomini (con ripartizione delle spese ex art. 1126 c.c.) e quindi il condominio, quale custode ex art. 2051 c.c., risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare (Sent. n. 10195, Sez. II, del 30-4-2013).

 

Condominio – Lastrico solare di uso esclusivo – Spese di riparazione – Art. 1126 cod. civ. – Ambito di applicazione

(cod. civ.: artt. 1126, 2051)

— La disposizione dell’art. 1126 c.c. che regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario; in tale ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilità relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche — sia pure in via concorrenziale — al condominio (Sent. n. 10195, Sez. II, del 30-4-2013).

 

Condominio – Parti comuni dell’edificio – Danni ascrivibili ad uno o ad alcuni dei condomini

(cod. civ.: artt. 1117, 1123, 1135 I co. n. 2, 2043)

— In tema di condominio negli edifici, il principio secondo cui, in ipotesi di danni alle parti comuni ascrivibili ad uno o ad alcuni dei condomini, sussiste l’obbligo del responsabile di assumere l’onere del relativo ripristino, non osta a che, fino a quando il singolo partecipante non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, l’assemblea abbia il potere di ripartire tra tutti i condomini le spese di ricostruzione o riparazione dei beni danneggiati, secondo le regole generali, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fermo restando il diritto di costoro di agire, individualmente o mediante l’amministratore, per ottenere dal responsabile il rimborso di quanto anticipato. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha negato la nullità della delibera assembleare di approvazione dei lavori di rifacimento di un tetto comune e di ripartizione delle relative spese tra i condomini, pur trattandosi di opere imposte da un precedente intervento edilizio, costituente illecito urbanistico, unilateralmente eseguito sul medesimo tetto da alcuni comproprietari) (Sent. n. 10053, Sez. II, del 24-4-2013).

 

Connessione soggettiva ed oggettiva di cause – Caso in cui solo una risulti oggetto di competenza inderogabile o funzionale – Non determina alcuna vis actractiva in relazione alle altre – Conseguenza

(cod. proc. civ.: artt. 40, 42, 43)

— Pur ricorrendo un’ipotesi di connessione soggettiva ed oggettiva di cause, la circostanza che solo una risulti oggetto di competenza inderogabile o funzionale (nella specie, della sezione specializzata agraria di un tribunale) non determina alcuna vis actractiva in relazione alle altre, sicché il giudice competente per essa — nei confronti del quale, invece, quello inizialmente adito abbia declinato per intero la competenza — può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza, previa separazione dei processi, purché ritenga che la cognizione delle restanti cause sia riservata per materia al giudice a quo (Ord. n. 9447, Sez. VI, del 18-4-2013).

 

Continenza di cause – Sussistenza – È oggetto di eccezione in senso lato – Conseguenze

(cod. proc. civ.: art. 39 II co.)

— La sussistenza di un rapporto di continenza tra cause, in quanto oggetto di eccezione in senso lato, può essere rilevata anche di ufficio dal giudice e deve, altresì, essere decisa con riguardo alla situazione processuale esistente al momento della pronuncia della relativa statuizione (Ord. n. 8170, Sez. VI, del 3-4-2013).

 

Contratti agrari – Miglioramenti, addizioni e trasformazioni dei fondi rustici – Riparazioni straordinarie spettanti al concedente effettuate dall’affittuario o dal titolare di un diritto di godimento consimile – Applicazione dell’art. 16 L. n. 203 del 1982 – Esclusione – Fondamento

(L. 203/1982: art. 16; cod. civ.: artt. 1577, 1621)

— Deve escludersi che la disciplina di cui all’art. 16 della legge 3 maggio 1982, n. 203 — relativa a miglioramenti, addizioni e trasformazioni dei fondi rustici — possa trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui l’affittuario o il titolare di un diritto di godimento consimile (come il colono parziario in ipotesi di mancata conversione) esegua riparazioni straordinarie che sarebbero spettate al concedente, ricadendo tale ipotesi nell’ambito di operatività dell’art. 1577 cod. civ., richiamato dal successivo art. 1621 (Sent. n. 9459, Sez. III, del 18-4-2013).

 

Contratti collettivi di lavoro – Interpretazione – Accertamento della volontà delle parti

(cod. civ.: artt. 1362 e segg.; cod. proc. civ.: art. 360 I co. nn. 3 e 5)

— In tema di interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata, ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Sent. n. 9054, Sez. lavoro, del 12-4-2013).

 

Contratto – Caparra (confirmatoria e penitenziale) – Funzione

(cod. civ.: artt. 1385 I e II co., 1386)

— La caparra (sia confirmatoria che penitenziale) è una clausola che ha lo scopo di rafforzare il vincolo contrattuale; il relativo patto contrattuale ha natura reale e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici ove non si perfezioni con la consegna della relativa somma. Ciò tuttavia non esclude che le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, possano differire la dazione della caparra in tutto o in parte ad un momento successivo alla conclusione del contratto, come previsto dall’art. 1385 c.c., comma 1, purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite. Tale possibilità non comporta tuttavia anche quella di escludere la natura reale del contratto e di attribuire all’obbligazione della sua prestazione gli effetti che l’art. 1385 c.c., comma 2, ricollega alla sua consegna (Sent. n. 10056, Sez. II, del 24-4-2013).

 

Contratto – Caparra confirmatoria – Principio in base al quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata – Quando non è applicabile

(cod. civ.: art. 1385 II co.)

— In tema di caparra confirmatoria, il principio di cui all’art. 1385 c.c., comma 2 (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata), non è applicabile tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno (Sent. n. 10183, Sez. II, del 30-4-2013).

 

Contratto – Causa – Nozione – Fattispecie in tema di scrittura contenente un contratto di affitto agrario di durata decennale e un preliminare di compravendita del fondo

(cod. civ.: artt. 1321, 1322, 1325 n. 2, 1351; L. 203/1982)

— La causa del contratto costituisce la sintesi dei contrapposti interessi reali che le parti intendono realizzare con la specifica negoziazione, indipendentemente dall’astratto modello utilizzato. Ne deriva che, in ipotesi di scrittura contenente un contratto di affitto agrario di durata decennale, con contestuale pagamento anticipato dell’intero canone dovuto, nonché un preliminare di compravendita del fondo, con immediata immissione dell’affittuario promissario acquirente nel possesso del predio, stante il collegamento teleologico tra il rapporto di affittanza e la promessa di vendita, in quanto il primo configuri il mezzo escogitato dalle parti per superare il limite legale di provvisoria inalienabilità delle terre di riforma agraria, vendute con riservato dominio dagli enti di sviluppo, la valorizzazione della funzione del singolo accordo intercorso tra i contraenti impone di ritenere che, scaduto il termine di dieci anni pattiziamente previsto, il contratto di affitto non operi più come strumento di composizione dei reciproci interessi, per aver esaurito ogni sua pratica utilità, senza che nessuna previsione legislativa possa automaticamente prorogarlo, con la conseguenza che il protrarsi della detenzione del bene ad opera del promissario debba intendersi come esecuzione del preliminare e non possa perciò integrare alcun inadempimento (Sent. n. 8110, Sez. III, del 3-4-2013).

 

Contratto – Clausola penale – Potere equitativo di riduzione

(cod. civ.: art. 1384)

— Giustifica l’esercizio del potere equitativo di riduzione della penale, ai sensi dell’art. 1384 cod. civ., anche quando le parti l’abbiano escluso negozialmente, la sussistenza di elementi d’incertezza nei rapporti commerciali delle parti (nella specie, rapporti di agenzia reciproca), qualora gli aspetti d’ambiguità siano tali da incidere sull’equilibrio della regolazione negoziale (Sent. n. 8768, Sez. lavoro, del 10-4-2013).

 

Contratto – Condizione – Avveramento – Art. 1359 cod. civ. – Ambito di applicazione

(cod. civ.: art. 1359)

— La norma dell’art. 1359 cod. civ., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa, trova applicazione nella sola ipotesi di condizione casuale (il cui avveramento dipende, cioè, dal caso o dalla volontà di terzi) o di condizione mista (il cui avveramento dipende in parte dal caso o dalla volontà dei terzi, in parte dalla volontà di uno dei contraenti), ma non nell’ipotesi di condizione potestativa semplice o impropria. (Nel caso di specie, è stata ritenuta condizione meramente potestativa quella apposta ad un contratto di lavoro dirigenziale che subordinava il pagamento di un incentivo al dirigente di un I.P.A.B. (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza – n.d.r.) non al dato oggettivo del raggiungimento di un risultato positivo di gestione da valutarsi da parte di un arbitratore o del giudice, bensì ad un giudizio positivo del rappresentante legale dell’ente) (Sent. n. 8172, Sez. lavoro, del 4-4-2013).

 

Contratto – Condizione – Avveramento – Art. 1359 cod. civ. – Operatività – Criterio di necessità

(cod. civ.: art. 1359)

— Nell’ipotesi di negozio condizionato, per l’operatività dell’art. 1359 c.c., in virtù del quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, non riscontrabile nel caso di mero comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inverata la condizione sospensiva — apposta al licenziamento intimato per chiusura di una unità produttiva — della mancata accettazione di un trasferimento ad altra sede, in conseguenza del silenzio serbato dal lavoratore sulla proposta di trasferimento avanzata, anche dopo averne avuto piena conoscenza al rientro da un soggiorno all’estero) (Sent. n. 8843, Sez. lavoro, dell’11-4-2013).

 

Contratto – Interpretazione – Accertamento della volontà degli stipulanti – È un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito – Conseguenze

(cod. civ.: artt. 1362 e segg.; cod. proc. civ.: art. 360 I co. n. 5)

— In tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. La denuncia di quest’ultima violazione esige una specifica indicazione dei canoni in concreto non osservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nessuna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Sent. n. 10190, Sez. II, del 30-4-2013).

 

Contratto preliminare seguito dalla stipula del definitivo – Unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto – È il contratto definitivo – Fondamento e limite

(cod. civ.: artt. 1230, 1321, 1351)

— Nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Sent. n. 10209, Sez. II, del 30-4-2013).

 

Contratto – Risoluzione per inadempimento – Difetto funzionale del sinallagma

(cod. civ.: art. 1453; cod. proc. civ.: art. 99)

— Il difetto funzionale del sinallagma, posto a base della pronunzia di risoluzione, deve essere oggettivo e deve sussistere al momento della proposizione della domanda (Sent. n. 10054, Sez. II, del 24-4-2013).

 

Divorzio – Assegno – Determinazione – Criterio di necessità

(L. 898/1970: art. 5 VI co.)

— L’assegno divorzile va commisurato alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, pur tuttavia, in mancanza di prova, indice di tale tenore di vita può essere l’attuale divario reddituale tra i coniugi (Sent. n. 9669, Sez. I, del 22-4-2013).

 

Eredità – Accettazione con beneficio d’inventario – Eccezione dell’erede nel giudizio di cognizione – Necessità – Deducibilità della qualità di erede beneficiato per la prima volta in sede esecutiva – Esclusione

(cod. civ.: artt. 470, 490; cod. proc. civ.: artt. 167, 183, 474 e segg.)

— L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, determinando la limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti del de cuius entro il valore dei beni a lui pervenuti, va eccepita nel giudizio di cognizione promosso dal creditore del defunto che faccia valere per intero la sua pretesa, in modo da contenere quantitativamente l’estensione e gli effetti dell’invocata pronuncia giudiziale; ne consegue che, ove non sia stata proposta la relativa eccezione nel processo di cognizione, la qualità di erede con beneficio d’inventario non è deducibile per la prima volta in sede esecutiva (Sent. n. 9158, Sez. III, del 16-4-2013).

 

Eredità – Comunione ereditaria – Credito del de cuius risultante da titolo esecutivo giudiziale – Azione esecutiva del singolo coerede per l’intero credito ereditario – Ammissibilità

(cod. civ.: artt. 757, 1295, 1314; cod. proc. civ.: art. 474 II co. n. 1)

— Ciascun coerede, ove il titolo esecutivo giudiziale, formatosi nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione ereditaria, riconosca un determinato credito del de cuius, senza nessuna limitazione per quote, né previsione di una solidarietà attiva, può agire esecutivamente per l’intero credito ereditario (Sent. n. 9158, Sez. III, del 16-4-2013).

 

Eredità – Comunione ereditaria – Usucapione da parte del coerede, che sia rimasto nel possesso del bene ereditario, della quota degli altri eredi – Possibilità – Condizione

(cod. civ.: artt. 757, 1140, 1158)

— Il coerede che, dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può usucapire la quota degli altri eredi, purché il tempo necessario al verificarsi di detto acquisto risulti già decorso prima del momento in cui sia intervenuta la divisione negoziale dell’asse con gli altri comunisti, comportando tale atto un riconoscimento inequivocabile e formale della comproprietà, incompatibile, pertanto, con la pretesa di essere divenuto proprietario esclusivo del compendio assegnato (Sent. n. 9633, Sez. II, del 19-4-2013).

 

Esecuzione forzata – Effetto sostitutivo della sentenza d’appello che confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado

(cod. proc. civ.: artt. 336, 474 e segg.)

— L’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, la quale confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado, comporta che, ove l’esecuzione non sia ancora iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo grado, mentre, se l’esecuzione sia già stata promossa in virtù del primo titolo esecutivo, la stessa proseguirà sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione (Sent. n. 9161, Sez. III, del 16-4-2013).

 

Esecuzione forzata – Integrazione del titolo esecutivo giudiziale con elementi extratestuali – Ammissibilità – Limite – Fattispecie relativa a richiamo nella sentenza d’appello della condanna statuita in primo grado

(cod. proc. civ.: artt. 132, 339, 474 II co. n. 1)

— Il titolo esecutivo giudiziale, di cui all’art. 474, secondo comma, n. 1, c.p.c., non si esaurisce nel documento in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’integrazione del provvedimento con elementi extratestuali, purché idoneamente richiamati; ne consegue che è ammissibile, a tal fine, l’integrazione della sentenza d’appello realizzata mediante rinvio espresso alla condanna operata in primo grado, benché contenuta in pronuncia dichiarata nulla in sede di impugnazione (Sent. n. 9161, Sez. III, del 16-4-2013).

 

Esecuzione forzata – Opposizione all’esecuzione da parte del terzo che pretenda di avere la proprietà dei beni pignorati – Termine finale per proporla – Individuazione

(cod. proc. civ.: art. 619 I co.)

— La fase della vendita forzata inizia dopo l’ordinanza che ne stabilisce le modalità e la data, per concludersi con il provvedimento di trasferimento coattivo del bene che segue l’aggiudicazione. Pertanto, il termine finale per proporre l’opposizione all’esecuzione da parte del terzo che pretenda di avere la proprietà dei beni pignorati è costituito non dal momento in cui si dispone la vendita o l’assegnazione (secondo il tenore letterale dell’art. 619, primo comma, cod. proc. civ.), bensì da quello in cui, con la realizzazione di tali atti, giunge a compimento l’intero iter espropriativo, onde l’opposizione è ammessa anche dopo l’aggiudicazione dell’immobile, fino a quando non sia intervenuto il decreto di trasferimento, rispetto al quale gli atti precedenti assumono funzione meramente preparatoria (Sent. n. 8205, Sez. III, del 4-4-2013).

 

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo giudiziale che, nel dispositivo, si limiti a condannare al pagamento di accessori «dal dì del dovuto»

(cod. proc. civ.: art. 474 II co. n. 1)

— Un titolo esecutivo giudiziale che, nel dispositivo, si limiti a condannare al pagamento di accessori «dal dì del dovuto», senza altra specificazione e senza espressa o implicita menzione di tale decorrenza nel corpo della motivazione, in quanto tautologico ed irrimediabilmente illegittimo per indeterminabilità dell’oggetto, viene meno alla sua funzione di identificazione compiuta e fruibile — cioè specifica e determinata, ovvero almeno idoneamente determinabile — dell’esatta ragione del beneficiario della condanna e dell’oggetto di questa (Sent. n. 8576, Sez. III, del 9-4-2013).

 

Fallimento – Chiusura – Termine per la proposizione del reclamo avverso il decreto relativo

(R.D. 267/1942: artt. 26, 92, 119; cod. proc. civ.: art. 327 II co.)

— In tema di chiusura del fallimento, l’inapplicabilità, con riferimento al termine per la proposizione del reclamo avverso il corrispondente decreto, della disciplina dettata dall’art. 327, secondo comma, cod. proc. civ., deriva dalla peculiarità del procedimento fallimentare, nella specie giustificabile con la natura di procedimento incidentale da riconoscersi al reclamo endofallimentare, sicché la «conoscenza del processo» di cui alla citata norma va riferita alla conoscenza del procedimento fallimentare, conseguendone, pertanto, che quella disposizione potrebbe fondatamente essere invocata solo dal creditore che non abbia ricevuto l’avviso di cui all’art. 92 legge fall. (Sent. n. 9321, Sez. I, del 17-4-2013).

 

Giudicato – Formazione – Fattispecie

(cod. civ.: artt. 1100, 1105, 1117, 1139, 2909; disp. att. cod. civ.: art. 66 III co.; cod. proc. civ.: art. 324)

— Il giudicato può formarsi anche sulla qualificazione giuridica di un rapporto se, come nella specie, la qualificazione stessa abbia formato oggetto di specifica contestazione tra le parti (in primo grado avendo l’attrice invocato l’applicazione dell’art. 66 disp. att. cod. civ., comma 3, a sostegno della proposta impugnativa, laddove i convenuti si sono difesi discorrendo di assemblea della comunione ed escludendo che il condominio si fosse già costituito) e sul punto deciso, costituente antecedente necessario ed indispensabile della pronuncia sulla domanda (di annullamento della delibera assembleare per la mancata comunicazione al partecipante dell’avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza), la parte interessata non abbia proposto impugnazione (Sent. n. 10053, Sez. II, del 24-4-2013).

 

Giudizio di rinvio – Limiti ed oggetto

(cod. proc. civ.: artt. 384, 394)

— I limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neppure alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della Corte di legittimità. (Nel caso di specie, la S.C., nel cassare la sentenza di merito, ha ritenuto che non potesse assumere rilievo nel giudizio di rinvio una sentenza delle Sezioni Unite la quale aveva affermato un principio — il libero apprezzamento nei confronti di tutti i litisconsorti necessari del modulo di constatazione amichevole di sinistro — contrario a quanto aveva affermato la precedente sentenza di cassazione con rinvio, secondo cui tale modulo produce nei confronti del conducente gli effetti della confessione giudiziale, con esclusione dunque della possibilità di provare il contrario) (Sent. n. 8225, Sez. III, del 4-4-2013).

 

Giudizio di rinvio – Poteri attribuiti al giudice – Limiti

(cod. proc. civ.: artt. 360 I co. nn. 3 e 5, 384, 394)

— Nel giudizio di rinvio i limiti dei poteri attribuiti al giudice sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, infatti, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, trattandosi di preclusione processuale che opera su tutte le questioni costituenti il presupposto logico ed inderogabile della pronuncia di cassazione, prospettate dalle parti o rilevate d’ufficio (Sent. n. 8381, Sez. trib., del 5-4-2013).

 

Giurisdizione – Derogabilità per motivi di connessione – Esclusione – Limite

(cod. proc. civ.: artt. 37, 40, 41, 295)

— Salvo deroghe normative espresse, vige nell’ordinamento processuale il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione, potendosi risolvere i problemi di coordinamento posti dalla concomitante operatività della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa su rapporti diversi, ma interdipendenti, secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato (Ord. n. 9534, Sez. Unite, del 19-4-2013).

 

Lavoro a domicilio – Natura subordinata – Condizioni

(cod. civ.: art. 2094)

— Va riconosciuta la natura subordinata dell’attività lavorativa a domicilio quando il lavoratore svolge lavorazioni analoghe a quelle effettuate all’interno dell’azienda datoriale e senza che sia rimessa la scelta delle modalità esecutive della prestazione al lavoratore (Sent. n. 10007, Sez. lavoro, del 24-4-2013).

 

Lavoro subordinato – Contratto individuale di lavoro che debba essere eseguito all’estero e che escluda il trattamento di fine rapporto

(cod. civ.: art. 2120; L. 218/1995: art. 16)

— Non contrasta con l’ordine pubblico un contratto individuale di lavoro che debba essere eseguito all’estero e che — avendo le parti dichiarato applicabile la legge straniera — escluda il trattamento di fine rapporto (Sent. n. 9067, Sez. lavoro, del 15-4-2013).

 

Lavoro subordinato – Domanda intesa alla superiore qualifica professionale in relazione alle mansioni svolte

(cod. civ.: artt. 2095, 2103; cod. proc. civ.: art. 112)

— La domanda intesa alla superiore qualifica professionale in relazione alle mansioni svolte include implicitamente quella di una qualifica inferiore, nell’ambito del medesimo genere di mansioni, ma pur sempre superiore a quella riconosciuta dal datore di lavoro. Non incorre, pertanto, nel vizio di ultrapetizione il giudice del merito che riconosca il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nella qualifica intermedia (Sent. n. 8862, Sez. lavoro, dell’11-4-2013).

 

Lavoro subordinato – Tutela delle condizioni di lavoro – Obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro

(cod. civ.: art. 2087)

— Sebbene il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro, a norma dell’art. 2087 c.c., si atteggi in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, va esclusa la responsabilità datoriale per l’infortunio occorso al lavoratore, allorquando l’infortunio si verifichi per un comportamento del dipendente che presenti i caratteri dell’abnormità e dell’assoluta inopinabilità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità datoriale per il carattere imprevedibile ed assolutamente anomalo della condotta del giovane lavoratore, il quale, dopo aver iniziato le ordinarie mansioni affidategli munito dei prescritti dispositivi di protezione individuale, se ne era privato non appena sfuggito alla sorveglianza del capo officina) (Sent. n. 8861, Sez. lavoro, dell’11-4-2013).

 

Licenziamento illegittimo – Diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro – Non è condizionato alla restituzione degli importi percepiti a titolo di competenze per fine rapporto – Fondamento

(L. 300/1970: art. 18; cod. civ.: art. 2120)

— Il diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro, ex art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non è condizionato alla restituzione degli importi percepiti a titolo di competenze per fine rapporto, atteso che le due obbligazioni sono disomogenee e si pongono su piani diversi per la loro apparente funzione (Sent. n. 9702, Sez. lavoro, del 22-4-2013).

 

Locazione – Stipulazione, da parte del locatore, con un diverso conduttore, nelle more della scadenza del termine del contratto, di un nuovo contratto di locazione, anche se l’immobile non sia stato ancora restituito al locatore

(cod. civ.: artt. 1175, 1227 II co., 1375, 1591)

— Il locatore, una volta scaduto il contratto, o in previsione della scadenza dello stesso, può stipularne uno nuovo con un diverso conduttore, anche se l’immobile non gli sia stato ancora restituito; tuttavia qualora sia prevedibile, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il primo conduttore si renderà moroso nel rilascio del bene locato, e ciononostante il locatore lo conceda in locazione a terzi, pattuendo volontariamente clausole onerose per l’ipotesi di proprio inadempimento, senza tempestiva e completa informazione dell’originario conduttore, egli non può pretendere dal medesimo il risarcimento di questo maggior danno, ostandovi il disposto dell’art. 1227, comma secondo, cod. civ., in considerazione della propria condotta contraria a buona fede e correttezza. (Nella specie, il locatore aveva concesso l’immobile in locazione ad un terzo soltanto due giorni prima della scadenza dell’obbligo di rilascio da parte del precedente inquilino, quando era evidente che quel termine non sarebbe stato rispettato, e pattuendo col terzo un’onerosissima penale per ogni giorno di ritardo nella concessione del godimento del bene. La S.C., confermando la sentenza di merito, ha ritenuto il primo conduttore responsabile per il danno da perdita del canone a causa del ritardato rilascio, ma non della penale pattuita dal locatore col terzo) (Sent. n. 9722, Sez. III, del 22-4-2013).

 

Obbligazioni – Estinzione – Compensazione giudiziale – Presupposto

(cod. civ.: art. 1243 II co.; cod. proc. civ.: artt. 295, 337 II co.)

— La compensazione giudiziale, di cui all’art. 1243, secondo comma, cod. civ., presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione medesima è invocata e non può, dunque, fondarsi su un credito, la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso. In tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione ai sensi della norma suddetta, e va, parimenti, esclusa l’invocabilità della sospensione contemplata, in via generale, dagli artt. 295 o 337, secondo comma, cod. proc. civ., in considerazione della prevalenza della disciplina speciale menzionata (Sent. n. 9608, Sez. VI, del 19-4-2013).

 

Possesso – Azione di reintegrazione – Legittimazione attiva

(cod. civ.: artt. 1168, 2697)

— Nell’azione di reintegrazione da parte di chi è privato violentemente od occultamente della disponibilità del bene, la legittimazione attiva spetta non solo al possessore uti dominus ma anche al detentore nei confronti dello spoliator che sia titolare del diritto e tenti di difendersi opponendo che feci sed iure feci. Pur essendo sufficiente a chi invoca la tutela provare una situazione di fatto, protrattasi per un periodo di tempo apprezzabile, la prova deve essere univoca. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che non costituisse un’argomentazione congrua l’assunto dei giudici del merito secondo il quale una settimana di tempo, in caso di installazione di opere stabili come una condotta idrica, fosse comunque sufficiente a consolidare una situazione possessoria tutelabile) (Sent. n. 10086, Sez. II, del 26-4-2013).

 

Processo – Sospensione necessaria – Controversia relativa ad uno sfratto per finita locazione ed altra attinente all’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita stipulato tra locatore e conduttore – Pregiudizialità giuridica – Esclusione – Fondamento

(cod. proc. civ.: artt. 295, 657; cod. civ.: artt. 1351, 1470, 1571, 2932)

— Non ricorre il rapporto di pregiudizialità giuridica, ai fini della sospensione necessaria di cui all’art. 295 cod. proc. civ., tra una controversia relativa ad uno sfratto per finita locazione ed altra attinente all’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita stipulato tra locatore e conduttore, in quanto, attesa la natura costitutiva della sentenza che dispone il trasferimento coattivo, destinata a produrre effetti solo alla data del passaggio in giudicato della relativa pronuncia, permangono nelle more del giudizio ex art. 2932 cod. civ. gli obblighi derivanti dal contratto di locazione, senza che con questi possa interferire l’eventuale accoglimento della domanda di adempimento del preliminare (Sent. n. 9714, Sez. III, del 22-4-2013).

 

Processo – Sospensione necessaria – Proposizione di ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il giudice di appello abbia rigettato il gravame avente ad oggetto il provvedimento di revoca di un’ordinanza di sospensione

(cod. proc. civ.: artt. 295, 339, 360, 382 III co.)

— Proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il giudice di appello abbia rigettato il gravame avente ad oggetto il provvedimento di revoca di un’ordinanza di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., disposta dal giudice di primo grado pur permanendo la causa di sospensione, l’accertamento da parte della Suprema Corte dell’illegittimità di tale provvedimento e della persistenza della causa di sospensione comporta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., e la declaratoria che il processo non poteva essere proseguito, con conseguente necessità di riassunzione dello stesso davanti al giudice di primo grado (Sent. n. 9461, Sez. III, del 18-4-2013).

 

Proprietà – Atto emulativo – Caso in cui non è configurabile

(cod. civ.: artt. 833, 1351, 1470, 1571, 2932)

— Non può qualificarsi atto emulativo, vietato dall’art. 833 cod. civ., la pretesa del proprietario di un immobile volta ad ottenere il possesso del bene in conseguenza della finita locazione, pur in presenza della trascrizione della sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita stipulato tra locatore e conduttore con riguardo al medesimo immobile, facendo il locatore con ciò valere in giudizio diritti che gli competono per contratto e che assume violati (Sent. n. 9714, Sez. III, del 22-4-2013).

 

Proprietà – Azione di regolamento di confini – Riferimento del giudice al confine delineato dalle mappe catastali – Art. 950 III co. cod. civ. – È applicabile anche nel caso in cui al relativo accertamento si proceda in via incidentale

(cod. civ.: artt. 873, 950 III co.)

— La regola stabilita dall’ultimo comma dell’art. 950 cod. civ., secondo cui il giudice, in mancanza di altri elementi, per stabilire il confine tra due fondi si attiene a quello delineato dalle mappe catastali, è applicabile anche nel caso in cui al relativo accertamento si proceda in via incidentale, fuori del tipico processo di regolamento di confini (come, nella specie, ai fini della verifica del rispetto delle distanze legali, avendo il convenuto contestato l’attendibilità della linea divisoria prospettata dall’attore) (Sen. n. 9652, Sez. II, del 19-4-2013).

 

Proprietà – Limitazioni legali – Diritto di tenere alberi a distanza minore di quella legale

(cod. civ.: art. 895 II co.)

— Il diritto di tenere alberi a distanza minore di quella legale si mantiene, ai sensi dell’art. 895, secondo comma, cod. civ., anche in base all’esistenza delle ceppaie e dei polloni, atteso che le piante di nuova germogliazione sono la continuazione vegetativa delle precedenti, sia come singoli individui, sia nella universitas rerum in cui si concretizza il filare (Sent. n. 10192, Sez. II, del 30-4-2013).

 

Prova testimoniale – Patto posteriore alla formazione del documento – Fattispecie

(cod. civ.: art. 2723)

— Rientra nella previsione dell’art. 2723 cod. civ. la pattuizione verbale modificativa della durata del contratto risultante dal documento, qualora la proroga sia convenuta verbalmente mentre il rapporto sia ancora in vita; deve, pertanto, ritenersi ammissibile la prova testimoniale nei limiti del citato art. 2723 cod. civ. (Sent. n. 8118, Sez. III, del 3-4-2013).

 

Responsabilità della banca per fatto illecito dei propri dipendenti – Quando sussiste

(cod. civ.: artt. 1228, 2049)

— La responsabilità della banca per fatto illecito dei propri dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli (Sent. n. 8210, Sez. III, del 4-4-2013).

 

Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Fattispecie

(cod. civ.: art. 2051)

— L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (Sent. n. 8935, Sez. III, del 12-4-2013).

 

* Responsabilità per fatto illecito – Pericolo stradale – Nozione di «insidia»

(cod. civ.: artt. 2043, 2697)

— In tema di responsabilità per fatto illecito, non ogni situazione di pericolo stradale integra l’insidia, ma solo quella che concretizza un pericolo occulto, vale a dire non visibile e non prevedibile, e la prova della non visibilità ed imprevedibilità di detto pericolo, costituendo elemento essenziale dell’insidia, grava su chi ne sostiene l’esistenza (Ord. n. 10096, Sez. VI, del 26-4-2013).

 

Responsabilità per fatto illecito – Proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 2045 cod. civ. dopo che l’appellante abbia proposto in primo grado domanda di risarcimento del danno – Non è domanda nuova – Fondamento

(cod. proc. civ.: art. 345 I co.; cod. civ.: artt. 2043, 2045)

— Non costituisce domanda nuova, ai fini di cui all’art. 345 cod. proc. civ., la proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 2045 cod. civ., quando l’appellante abbia proposto in primo grado domanda di risarcimento del danno, dovendo la prima ritenersi implicita nella seconda, tanto che il giudice può provvedere su di essa persino ex officio (Sent. n. 9239, Sez. III, del 17-4-2013).

 

Ricorso per cassazione – Altri casi di ricorso – Impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato nel caso in cui si assuma che quest’ultimo abbia annullato un atto di alta amministrazione perché viziato da insufficienza, e non già da contraddittorietà od illogicità della motivazione – Sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Ambito

(Cost.: art. 111 VIII co.; cod. proc. civ.: art. 362; cod. proc. amm.: art. 110)

— In tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, laddove si assuma che quest’ultimo abbia annullato un atto di alta amministrazione perché viziato da insufficienza, e non già da contraddittorietà od illogicità della motivazione, non è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nel merito riservato all’autorità amministrativa, ma un mero error in iudicando, interno alla giurisdizione di legittimità del predetto Consiglio — per la mancata osservanza della riduzione che la valutazione del vizio di motivazione subisce nell’ipotesi di atti di alta amministrazione —, che sfugge, però, al suddetto sindacato della Suprema Corte in sede di controllo dei limiti esterni della giurisdizione (Sent. n. 9687, Sez. Unite, del 22-4-2013).

 

Ricorso per cassazione – Altri casi di ricorso – Impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato per motivi attinenti alla giurisdizione – Sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Ambito

(Cost.: art. 111 VIII co.; cod. proc. civ.: artt. 112, 362; cod. proc. amm.: art. 110)

— In sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato per motivi attinenti alla giurisdizione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione possono rilevare l’eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma il loro sindacato non può estendersi al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti, come nel caso di pretesa ultrapetizione, che concreta un error in procedendo. (Così statuendo, la S.C., confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto inammissibile la doglianza dei ricorrenti concernente l’avvenuto annullamento, da parte del Consiglio di Stato e per effetto di un’asserita impropria applicazione dell’istituto dell’invalidità derivata, oltre che dell’impugnato decreto dichiarativo dello stato di emergenza, di altri analoghi provvedimenti mai impugnati) (Sent. n. 9687, Sez. Unite, del 22-4-2013).

 

Ricorso per cassazione – Assegnazione alla sezione civile della Corte di cassazione dell’esame di un ricorso da devolvere, invece, alla sezione lavoro della stessa Corte

(cod. proc. civ.: art. 376; Cost.: art. 111 II co.)

— Investita una sezione civile della Corte di cassazione dell’esame di un ricorso da devolvere, invece, alla sezione lavoro della stessa Corte, la necessità di dare applicazione al principio costituzionale sulla «durata ragionevole» del processo, unitamente alla constatazione dell’assoluta ininfluenza della circostanza sul piano delle regole processuali da osservare nel giudizio di legittimità, escludono la necessità di rimettere il ricorso al Primo Presidente della Suprema Corte (Sent. n. 9148, Sez. III, del 16-4-2013).

 

Ricorso per cassazione – Contenuto – Indicazione specifica degli atti processuali sui quali il ricorso si fonda – Criterio di necessità

(cod. proc. civ.: art. 366 I co. n. 6)

— In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame. (Nel caso di specie, è stato dichiarato inammissibile il ricorso che, richiamando atti e documenti del giudizio di merito, dei quali veniva lamentata la mancata o erronea valutazione, si limitava soltanto ad indicarli, senza riprodurli, neppure individuando in quale sede processuale fossero stati prodotti) (Sent. n. 8569, Sez. III, del 9-4-2013).

 

Ricorso per cassazione – Motivi – Censura con cui si faccia valere l’apposizione di una data di pubblicazione della sentenza diversa da (e precedente a) quella di deliberazione della stessa

(cod. proc. civ.: artt. 100, 133, 360)

— In assenza di prova di un concreto pregiudizio subìto dal ricorrente, sussiste difetto di interesse al ricorso per cassazione in relazione alla censura con cui si faccia valere l’apposizione, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. civ., di una data di pubblicazione della sentenza diversa da (e precedente a) quella di deliberazione della stessa (Sent. n. 9722, Sez. III, del 22-4-2013).

 

Ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione – Ammissibilità – Criterio di sufficienza

(cod. proc. civ.: artt. 360 I co. n. 1, 362, 366)

— Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 1, e 362 cod. proc. civ., non è necessaria la specifica indicazione delle norme violate o erroneamente applicate dal giudice, essendo sufficiente la deduzione, nella parte motiva, dei principi relativi al riparto di giurisdizione di cui si denunci il malgoverno (Sent. n. 9690, Sez. Unite, del 22-4-2013).

 

Ricorso per cassazione – Principio di autosufficienza del ricorso – Fattispecie in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento

(cod. proc. civ.: art. 366)

— In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento — il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso — è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (Sent. n. 8312, Sez. trib., del 4-4-2013).

 

Ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 VII co. Cost. avverso il provvedimento di corresponsione diretta di assegno a carico del terzo debitore ex art. 156 cod. civ. – Inammissibilità – Fondamento

(Cost.: art. 111 VII co.; cod. civ.: art. 156)

— È inammissibile il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento di corresponsione diretta di assegno a carico del terzo debitore ex art. 156 cod. civ., atteso che non risolve una controversia sull’esistenza del diritto del coniuge all’assegno, ma attiene solo alle modalità di attuazione del diritto stesso, ed è privo dei requisiti di decisorietà e definitività, perché é suscettibile, ove le circostanze mutino, di essere modificato (Sent. n. 9671, Sez. I, del 22-4-2013).

 

Risarcimento del danno da fatto illecito plurioffensivo – Diritto autonomo di ciascun danneggiato all’integrale risarcimento del pregiudizio subìto – Contenuto

(cod. civ.: artt. 1226, 2056, 2059, 2697, 2727; Cost.: artt. 2, 29, 30, 31; Cedu: artt. 8, 12; Trattato di Nizza: art. 1)

— In caso di fatto illecito plurioffensivo ciascun danneggiato — in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della c.d. «Carta di Nizza» — è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello «dinamico-relazionale» (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare (Sent. n. 9231, Sez. III, del 17-4-2013).

 

Risarcimento del danno da fatto illecito – Responsabile che, prima della liquidazione definitiva, versi un acconto al danneggiato

(cod. civ.: artt. 1194, 2043, 2056)

— In materia di risarcimento del danno da fatto illecito, qualora — prima della liquidazione definitiva — il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri di cui all’art. 1194 cod. civ. (applicabile solo alle obbligazioni di valuta, non a quelle di valore, qual è il credito risarcitorio da danno aquiliano), ma devalutando alla data dell’evento dannoso sia il credito risarcitorio (se liquidato in moneta attuale) che l’acconto versato, quindi detraendo quest’ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da ritardato adempimento (Sent. n. 8104, Sez. III, del 3-4-2013).

 

Risarcimento del danno non patrimoniale – Liquidazione equitativa del danno in applicazione delle «tabelle» predisposte dal Tribunale di Milano

(cod. civ.: artt. 1226, 2056, 2059)

— Qualora il giudice, al fine di soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle «tabelle» predisposte dal Tribunale di Milano, è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subìto da ciascun danneggiato (Sent. n. 9231, Sez. III, del 17-4-2013).

 

Risarcimento del danno – Quantificazione del danno derivante da accertata responsabilità professionale – Decisione del giudice del gravame di rivalutare dalla data del fatto illecito l’importo del danno riconosciuto da quello di prime cure, senza considerare che quest’ultimo lo aveva già liquidato all’attualità

(cod. civ.: artt. 1176 II co., 1218, 2236; cod. proc. civ.: artt. 287 e segg., 360 I co. n. 5)

— In tema di quantificazione del danno derivante da accertata responsabilità professionale, la decisione del giudice del gravame di rivalutare dalla data del fatto illecito l’importo del danno riconosciuto da quello di prime cure, senza considerare che quest’ultimo lo aveva già liquidato all’attualità, integra un difetto di motivazione della sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari, e non un suo errore emendabile con la procedura di cui agli articoli 287 e ss. cod. proc. civ. (Così statuendo, la S.C., accogliendo la corrispondente doglianza, ha cassato la sentenza impugnata che, nell’esporre la liquidazione del primo giudice come dato di partenza soggetto ad incremento, ma omettendone di considerare la sua già avvenuta rivalutazione alla data della relativa pronuncia, aveva poi, contraddittoriamente e senza alcun espresso motivo, rapportato detta liquidazione alla data dei fatti, così determinando, nell’intervallo temporale, una notevolissima ed ingiustificata differenza) (Sent. n. 8940, Sez. III, del 12-4-2013).

 

Sanzioni amministrative pecuniarie – Potere discrezionale del giudice di determinare l’entità della sanzione entro i limiti (minimo e massimo) stabiliti dalla norma

(L. 689/1981: art. 11)

— In tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta (Sent. n. 9295, Sez. trib., del 17-4-2013).

 

Sentenza – Acquiescenza – Nozione

(cod. proc. civ.: artt. 100, 329)

— L’acquiescenza alla sentenza impugnata, con conseguente sopravvenuta carenza d’interesse della parte all’impugnazione proposta, consiste nell’accettazione della decisione, e quindi nella manifestazione di volontà del soccombente di rinunciare a tale impugnazione, la quale può avvenire in forma espressa o tacita, potendo, tuttavia, in quest’ultimo caso ritenersi sussistente solo qualora l’interessato abbia posto in essere atti dai quali emerga, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. (Nella specie, la S.C., disattendendo la corrispondente eccezione, ha ritenuto che non costituisse manifestazione univoca della volontà di rinunciare alla proposta impugnazione di una sentenza del Consiglio di Stato — che aveva annullato un decreto di stato di emergenza — un comportamento meramente negativo consistito nell’omessa emanazione, ad opera delle autorità ricorrenti, di atti diretti a prolungare lo stato medesimo) (Sent. n. 9687, Sez. Unite, del 22-4-2013).

 

Sentenza di secondo grado (nella specie, di tribunale) che neghi la competenza del primo giudice e poi decida nel merito – È composta da due distinte pronunce

(cod. proc. civ.: artt. 339, 360)

— La sentenza di secondo grado (nella specie, di tribunale) che neghi la competenza del primo giudice e poi decida nel merito si compone di due distinte pronunce, di cui quella sulla competenza, perché emanata in appello, è impugnabile con ricorso per cassazione, mentre quella di merito, in quanto pronunciata in primo grado, è impugnabile invece con l’appello (Sent. n. 8575, Sez. III, del 9-4-2013).

 

Sentenza – Mancanza e/o erronea indicazione della data di deliberazione – Effetti

(cod. proc. civ.: artt. 132 II co. n. 5, 156, 161, 276, 287, 288)

— La data di deliberazione della sentenza non è, a differenza di quella di sua pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), un elemento essenziale dell’atto processuale, sicché la relativa mancanza e/o la sua erronea indicazione non comportano alcuna nullità deducibile con l’impugnazione, costituendo, invece, fattispecie di mero errore materiale emendabile ex artt. 287 e 288 cod. proc. civ., ed altrettanto dicasi per l’ipotesi di diversità tra la prima di tali date, riportata in calce alla sentenza, e quella dell’udienza collegiale all’uopo fissata, tanto non essendo, di per sé solo, sufficiente a far ritenere, qualora quest’ultima sia successiva, che detto provvedimento sia stato deliberato prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio (Sent. n. 8942, Sez. III, del 12-4-2013).

 

Sentenza – Motivazione – Onere del giudice quanto alle ragioni che lo inducano a disattendere, anziché accogliere, le conclusioni di una consulenza tecnica resa in altro giudizio

(cod. proc. civ.: artt. 116, 132 II co. n. 4, 191)

— In tema di motivazione della sentenza, l’onere del giudice quanto alle ragioni che lo inducano a disattendere, anziché accogliere, le conclusioni di una consulenza tecnica resa in altro giudizio si configura in modo analogo rispetto all’obbligo per lo stesso di dare risposta alle argomentazioni difensive poste dalle parti a sostegno di una domanda (Sent. n. 8702, Sez. trib., del 10-4-2013).

 

Separazione giudiziale dei coniugi – Assegno di mantenimento – Terzi che risultino obbligati a versare (anche periodicamente) somme di danaro al coniuge onerato dell’assegno – Individuazione

(cod. civ.: art. 156)

— In tema di assegno di mantenimento, la disposizione legislativa di cui all’art. 156 cod. civ., nel caso in cui eventuali terzi risultino obbligati a versare (anche periodicamente) somme di danaro al coniuge onerato dell’assegno, individua il soggetto obbligato non necessariamente nel datore di lavoro, potendo essere, come nella specie, un ente erogatore di pensione, ovvero il conduttore di un immobile di proprietà del coniuge onerato; tuttavia tale terzo, pur dovendo essere individuato esattamente, non è parte del procedimento, con la conseguenza che, qualora egli si rifiuti di adempiere, resta a carico del coniuge promuovere, nelle forme ordinarie, giudizio di accertamento del debito (Sent. n. 9671, Sez. I, del 22-4-2013).

 

Separazione giudiziale dei coniugi – Effetti sui rapporti patrimoniali – Garanzie in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento verso il coniuge o i figli

(cod. civ.: art. 156)

— L’art. 156 c.c. prevede varie garanzie in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento verso il coniuge o i figli: l’ordine a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte venga direttamente versata all’avente diritto, ovvero il sequestro di beni del coniuge obbligato, garanzie che possono essere concesse anche contemporaneamente a carico del medesimo obbligato (Sent. n. 9671, Sez. I, del 22-4-2013).

 

Separazione giudiziale dei coniugi – Relazione di un coniuge con estranei – Quando rende addebitabile la separazione

(cod. civ.: art. 151 II co.)

— La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 cod. civ. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge (Sent. n. 8929, Sez. I, del 12-4-2013).

 

Sequestro giudiziario – Custode dei beni sequestrati – È rappresentante di ufficio, nella sua qualità di ausiliario del giudice, di un patrimonio separato, costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi – Conseguenze

(cod. proc. civ.: artt. 65, 670, 676)

— Il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto rappresentante di ufficio, nella sua qualità di ausiliario del giudice, di un patrimonio separato, costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, risponde direttamente degli atti compiuti in siffatta veste, quand’anche in esecuzione di provvedimenti del giudice ai sensi dell’art. 676 cod. proc. civ., e, pertanto, è legittimato a stare in giudizio, attivamente e passivamente, limitatamente alle azioni relative a tali rapporti, attinenti alla custodia ed amministrazione dei beni sequestrati (Sent. n. 8483, Sez. lavoro, dell’8-4-2013).

 

* Servitù di passaggio in favore del fondo intercluso – Caso in cui si frappongano più fondi rispetto all’accesso alla via pubblica – Azione per la costituzione della servitù – Deve essere promossa nei confronti di tutti i proprietari di tali altri fondi, in qualità di litisconsorti necessari – Ragione e conseguenza

(cod. civ.: art. 1051; cod. proc. civ.: art. 102)

— L’azione per la costituzione di servitù di passaggio in favore del fondo intercluso (art. 1051 cod. civ.) deve essere promossa, nel caso in cui si frappongano più fondi rispetto all’accesso alla via pubblica, nei confronti di tutti i proprietari di tali altri fondi, in qualità di litisconsorti necessari, perché attiene ad un rapporto unico ed inscindibile. Ne consegue che, in mancanza, la domanda va respinta perché diretta a far valere un diritto inesistente, restando esclusa la possibilità di integrare il contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi (Sent. n. 9685, Sez. Unite, del 22-4-2013).

 

Successione necessaria – Diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano

(cod. civ.: artt. 540 II co., 556)

— In tema di successione necessaria, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, riservati al coniuge ai sensi dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., si sommano alla quota spettante a questo in proprietà, e gravano in primo luogo sulla porzione disponibile, determinata, a norma dell’art. 556 cod. civ., considerando il valore del relictum (e del donatum, se vi sia stato) comprensivo del valore capitale della casa familiare in piena proprietà, mentre, in caso di incapienza della disponibile, comportano la proporzionale riduzione della quota di riserva del medesimo coniuge, nonché, ove pure questa risulti insufficiente, delle quote riservate ai figli o agli altri legittimari. (Nella specie, alla luce dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale, allo scopo di determinare la legittima riservata ai figli del de cuius, aveva calcolato la consistenza dell’asse ereditario dopo aver preliminarmente detratto il valore dei diritti di abitazione e di uso spettanti al coniuge) (Sent. n. 9651, Sez. II, del 19-4-2013).