Agenzia – Norme relative applicabili in via analogica al procacciamento di affari – Individuazione
(cod. civ.: artt. 1322 II co., 1742)
— Il riconoscimento in concreto di un rapporto di agenzia ovvero di un rapporto di procacciamento di affari, ricollegandosi alla diversa stabilità dell’incarico di promozione di affari, comporta un diverso atteggiarsi dei fatti costitutivi dell’una ovvero dell’altra fattispecie, sebbene al rapporto di procacciamento di affari possano applicarsi in via analogica talune disposizioni relative al contratto di agenzia (come quelle relative alle provvigioni) che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto, con esclusione, dunque, di quelle relative all’indennità di mancato preavviso, all’indennità suppletiva di clientela ed all’indennità di cessazione del rapporto (Sent. n. 19828, Sez. lavoro, del 28-8-2013).
Appalto di servizio mensa – Obbligo dell’appaltatore di fornire ai lavoratori le divise di lavoro sempre pulite – Rientra nella fattispecie codicistica del contratto a favore di terzo – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 1411, 1655)
— In materia di servizio mensa, la previsione del contratto di appalto tra appaltante ed appaltatore relativa all’obbligo, posto a carico di questi, di fornire ai lavoratori le divise di lavoro sempre pulite rientra nella fattispecie codicistica del contratto a favore di terzo, di cui all’art. 1411 cod. civ., ed è quindi pienamente valida; ne consegue che detto obbligo sussiste quando risulta dal testo contrattuale che l’appaltante ha interesse all’adempimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente in capo all’appaltatore del servizio mensa l’obbligo di provvedere alla pulizia delle divise dei propri dipendenti o di corrispondere ai lavoratori stessi il rimborso delle spese sostenute per provvedere al lavaggio delle divise, in quanto il testo del contratto di appalto prevedeva che i lavoratori addetti alla mensa indossassero una divisa di lavoro «sempre pulita») (Sent. n. 19579, Sez. lavoro, del 26-8-2013).
Appalto – Garanzia per le difformità e i vizi dell’opera – Accettazione dell’opera – Rilevanza ai fini del riparto dell’onere probatorio
(cod. civ.: artt. 1665, 1667, 2697)
— In tema di garanzia per difformità e vizi nell’appalto, l’accettazione dell’opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell’onere della prova, nel senso che, fino a quando l’opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell’esistenza dei vizi, gravando sull’appaltatore l’onere di provare di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, mentre, una volta che l’opera sia stata positivamente verificata, anche per facta concludentia, spetta al committente, che l’ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacché l’art. 1667 cod. civ. indica nel medesimo committente la parte gravata dall’onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova (Sent. n. 19146, Sez. II, del 9-8-2013).
Appalto – Titolare o amministratore dell’impresa appaltatrice – È incompatibile a svolgere l’incarico di direttore dei lavori – Fondamento
(cod. civ.: art. 1655)
— In tema di appalto, il titolare o l’amministratore dell’impresa appaltatrice è incompatibile a svolgere l’incarico di direttore dei lavori, atteso che questo — a differenza del direttore di cantiere, fiduciario dell’appaltatore — è un rappresentante del committente, preposto a sorvegliare l’esatta esecuzione delle opere (Sent. n. 19895, Sez. II, del 29-8-2013).
Appello incidentale adesivo – Motivi – Tempestività ex art. 334 cod. proc. civ. – Necessità
(cod. proc. civ.: artt. 334, 342 I co., 343)
— L’appello incidentale adesivo, che si connota per l’adesione alle censure già dispiegate dall’appellante principale, a differenza dell’appello per relationem (il quale, invece, non esplicita le doglianze e fa rinvio a quelle esposte in primo grado), non pone problemi di specificità dei motivi, ma soltanto di tempestività o di tardività, agli effetti dell’art. 334 cod. proc. civ. (Sent. n. 18957, Sez. I, dell’8-8-2013).
Appello incidentale tardivo proposto dal coobbligato solidale al risarcimento del danno – Caso in cui è inammissibile
(cod. proc. civ.: artt. 100, 334, 343)
— L’appello incidentale tardivo proposto dal coobbligato solidale al risarcimento del danno è inammissibile, perché privo di reale utilità per la parte, qualora il gravame principale sia stato instaurato dalla sola compagnia assicuratrice di altro coobbligato al fine di escludere l’operatività della garanzia prestata in favore di quest’ultimo, dovendo in tal caso negarsi che il suddetto gravame abbia messo in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il primo aveva prestato acquiescenza (Sent. n. 18752, Sez. Unite, del 7-8-2013).
Appello – Prove nuove – Valutazione di non indispensabilità – Motivazione – Necessità
(cod. proc. civ.: artt. 345 III co., 360 I co. n. 5)
— In tema di nuova produzione documentale in appello, la valutazione di non indispensabilità, che ne provoca la mancata ammissione, deve essere espressamente motivata dal giudice del gravame quanto alla ritenuta mancanza di attitudine dei nuovi documenti a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull’esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata (Sent. n. 19608, Sez. III, del 27-8-2013).
Beni – Pertinenza – Cessazione del vincolo pertinenziale – Non può avvenire per un atto di volontà del proprietario che abbia già trasferito la cosa principale – Conseguenza
(cod. civ.: art. 818 III co.)
— La cessazione del vincolo pertinenziale non può avvenire per un atto di volontà del proprietario che abbia già trasferito la cosa principale, sicché l’alienazione a terzi della cosa accessoria (nella specie, vano corridoio) non è opponibile all’anteriore acquirente della cosa principale (nella specie, unità immobiliare servita dal corridoio) (Sent. n. 18651, Sez. II, del 5-8-2013).
Circolazione stradale – Scontro tra veicoli – Accertamento che il conducente di uno di essi abbia attraversato un incrocio regolato da semaforo emittente luce rossa – Superamento della presunzione di responsabilità concorrente ex art. 2054 II co. cod. civ. – Sussistenza – Fondamento
(cod. civ.: art. 2054 II co.; cod. strad.: artt. 41, 146)
— In tema di scontro tra veicoli, l’accertamento che il conducente di uno di essi abbia attraversato un incrocio regolato da semaforo emittente luce rossa comporta il superamento della presunzione di concorrente responsabilità di cui all’art. 2054 cod. civ., non essendo tenuto il conducente dell’altro veicolo, che impegna il semaforo con il verde, ad osservare l’obbligo di una particolare circospezione, come nel caso di attraversamento con il giallo (Sent. n. 18497, Sez. III, del 2-8-2013).
Comodato e locazione – Elemento distintivo
(cod. civ.: artt. 1571, 1803, 2697)
— La distinzione tra comodato e locazione poggia fondamentalmente sul carattere di essenziale gratuità del comodato, laddove si realizzano gli estremi costitutivi del contratto di locazione quando per il godimento di un bene sia pattuita una controprestazione, in qualsiasi misura e sotto qualsiasi forma. Ne consegue che, a fronte della domanda volta all’accertamento di un rapporto locativo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento del canone, oppure volta all’accertamento di un’occupazione senza titolo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento dell’indennità di occupazione, compete esclusivamente al convenuto provare il possesso di un titolo, come il comodato, che ne assicuri non solo il legittimo godimento del bene, ma anche il carattere essenzialmente gratuito (Sent. n. 18660, Sez. III, del 6-8-2013).
Competenza per territorio nelle cause ereditarie – Determinazione – Criterio di necessità
(cod. proc. civ.: art. 22; cod. civ.: art. 456)
— La determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita ai sensi degli artt. 22 cod. proc. civ. e 456 cod. civ., con riferimento al luogo in cui il de cuius aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tale locuzione il luogo ove la persona concentra la generalità dei suoi interessi sia materiali ed economici, sia morali, sociali e familiari, prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del medesimo in detto luogo (Ord. n. 18560, Sez. VI, del 2-8-2013).
Consulenza tecnica d’ufficio – Espletamento di due consulenze tecniche – Risultati difformi – Adesione del giudice alle risultanze della seconda consulenza – Motivazione specifica – Necessità
(cod. proc. civ.: art. 196)
— In tema di consulenza tecnica di ufficio, se lo svolgimento di una prima consulenza non preclude l’affidamento di un’ulteriore indagine a professionista qualificato nella materia al fine di fornire al giudice un ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, è tuttavia necessario che il giudice che intenda uniformarsi alle risultanze della seconda consulenza tecnica di ufficio non si limiti ad un’adesione acritica ad esse ma giustifichi la propria preferenza, specificando la ragione per la quale ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo consulente, salvo che queste abbiano formato oggetto di esame critico nell’ambito della nuova relazione peritale con considerazioni non specificamente contestate dalle parti (Sent. n. 19572, Sez. lavoro, del 26-8-2013).
Conto corrente – Annotazione a credito in favore del cliente dell’importo di assegni girati per l’incasso, cui faccia seguito un’annotazione a debito di identico ammontare, a causa del mancato pagamento dei titoli da parte della banca trattaria per difetto di provvista
(cod. civ.: artt. 1353, 1829, 1832 II co.)
— In tema di conto corrente, in ipotesi di annotazione a credito in favore del cliente dell’importo di assegni girati per l’incasso, cui faccia seguito un’annotazione a debito di identico ammontare, a causa del mancato pagamento dei titoli da parte della banca trattaria per difetto di provvista, non sussiste un errore di scritturazione o di calcolo, né alcuna omissione o duplicazione, agli effetti dell’art. 1832, secondo comma, cod. civ., configurandosi, piuttosto, uno storno conseguente al definitivo non avveramento della condizione sospensiva alla quale rimane subordinato, in forza dell’art. 1829 cod. civ., l’accredito degli assegni in conto corrente, comportante il venir meno, con efficacia retroattiva, dell’iniziale annotazione (Sent. n. 19585, Sez. I, del 27-8-2013).
Contratto che non richieda la forma scritta ad substantiam – Clausola che imponga la forma scritta per la modificazione del contratto – Risoluzione per mutuo consenso tacito – Ammissibilità
(cod. civ.: artt. 1350, 1352, 1372 I co.)
— Allorché un contratto non richieda la forma scritta ad substantiam, la clausola negoziale che imponga alle parti l’adozione della forma scritta per la modificazione del contratto non preclude — salvo patto contrario — la risoluzione per mutuo consenso tacito, riprendendo a riguardo vigore il principio della libertà delle forme (Sent. n. 18757, Sez. III, del 7-8-2013).
Contratto preliminare concluso dal falsus procurator – Domanda di risoluzione proposta dall’erede del promittente venditore al solo fine di sciogliersi dagli effetti del contratto per fatto e colpa del promissario acquirente – Ratifica del contratto – Configurabilità – Esclusione
(cod. civ.: artt. 1351, 1398, 1399, 1453)
— La domanda di risoluzione di un contratto preliminare proposta dall’erede del promittente venditore non implica ratifica del contratto concluso dal falsus procurator, che lo abbia sottoscritto sebbene privo di specifico mandato, quando si accerti che la domanda è stata proposta al solo fine di sciogliersi dagli effetti del contratto per fatto e colpa del promissario acquirente (Sent. n. 19308, Sez. III, del 21-8-2013).
Contratto stipulato dall’interdetto o da persona incapace d’intendere o di volere – Domanda di annullamento ex art. 427 II co., secondo inciso, cod. civ., e domanda di annullamento ex art. 428 II co. cod. civ. – Diversità delle rispettive causae petendi – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 427 II co., 428 II co.; cod. proc. civ.: artt. 163 III co. nn. 3 e 4, 183 V co.)
— La domanda proposta ai sensi dell’art. 427, secondo comma, secondo inciso, cod. civ. e la domanda proposta ai sensi dell’art. 428, secondo comma, cod. civ. presentano l’identico petitum di annullamento del contratto, ma diversi sono i fatti costitutivi dell’una e dell’altra, cioè le rispettive causae petendi e gli accertamenti in fatto che ne conseguono. Pertanto, se con l’atto introduttivo del giudizio, a fondamento della domanda di annullamento del contratto, sia stata dedotta l’incapacità naturale del contraente, non interdetto, costituisce causa petendi del tutto nuova, che comporta novità della domanda, l’incapacità legale provvisoria, per essere già stato nominato un tutore provvisorio alla data di stipulazione del contratto, incapacità legale divenuta definitiva a seguito della sentenza di interdizione (Sent. n. 19958, Sez. III, del 30-8-2013).
Diffamazione a mezzo stampa – Esercizio dell’attività giornalistica – Autonoma valenza diffamatoria del titolo di un articolo – Configurabilità
(cod. pen.: artt. 51 I co., 595 III co.)
— In tema di esercizio dell’attività giornalistica, il carattere diffamatorio di uno scritto non può essere escluso sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi, invece, giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento ad alcuni elementi, quali: l’accostamento e l’accorpamento di notizie, l’uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, il tono complessivo e la titolazione dell’articolo, proprio il titolo essendo specificamente idoneo, in ragione della sua icastica perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi dell’altrui reputazione. (Fattispecie di ritenuta offensività del titolo di cronaca «spuntano altri indizi per i tre alla sbarra», evocativo del rinvio a giudizio degli indagati, in realtà solo citati all’udienza di opposizione all’archiviazione) (Sent. n. 18769, Sez. III, del 7-8-2013).
Divorzio – Assegno – Riconoscimento – Criterio di necessità
(L. 898/1970: art. 5; cod. civ.: art. 151)
— Nel giudizio di divorzio il riconoscimento dell’assegno non è precluso né dall’autosufficienza economica del richiedente, occorrendo soltanto che quest’ultimo non disponga di mezzi adeguati alla conservazione del precedente «standard» di vita, né dall’addebito della separazione, che può incidere soltanto sulla misura dell’assegno, per effetto della valutazione demandata al giudice di merito in ordine alle cause del venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi (Sent. n. 18539, Sez. I, del 2-8-2013).
Divorzio – Sentenza – Non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale che sia iniziato anteriormente e sia tuttora in corso – Fondamento e condizione
(L. 898/1970: art. 5; cod. civ.: artt. 150, 156, 2909; cod. proc. civ.: artt. 100, 324)
— La pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale che sia iniziato anteriormente e sia tuttora in corso, ove esista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali, come nel caso in cui permanga quello alla definitiva regolamentazione dell’assegno fino alla cessazione dell’obbligo di mantenimento per sopravvenute nuove nozze del beneficiario di esso (Sent. n. 19555, Sez. I, del 26-8-2013).
Domanda giudiziale – Domanda nuova – Fattispecie
(cod. proc. civ.: artt. 99, 183 V co.; cod. civ.: artt. 2043, 2050, 2051, 2697)
— Quando l’attore abbia invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il divieto di introdurre domande nuove (la cui violazione è rilevabile d’ufficio da parte del giudice) non gli consente di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ai sensi degli artt. 2050 (esercizio di attività pericolose) o 2051 (responsabilità per cose in custodia) cod. civ., a meno che l’attore non abbia sin dall’atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli. Nondimeno, le diverse regole di imputazione della responsabilità previste da detti articoli, essendo più favorevoli per l’attore danneggiato poiché comportanti un’inversione dell’onere della prova, in tanto possono essere poste a fondamento della responsabilità del convenuto in quanto non si ascriva al medesimo la mancata prova di fatti che egli non sarebbe stato tenuto a provare in base al criterio di imputazione della responsabilità (art. 2043 cod. civ.) originariamente invocato dall’attore (Sent. n. 18609, Sez. III, del 5-8-2013).
Esecuzione forzata – Opposizione agli atti esecutivi – Mutatio libelli – Nozione
(cod. proc. civ.: artt. 163 III co. nn. 3 e 4, 183 V co., 617)
— Nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi si ha mutatio libelli quando si avanzi un motivo di contestazione della regolarità formale di un atto del processo esecutivo diverso da quello posto a fondamento dell’atto introduttivo dell’opposizione, facendo così valere una causa petendi fondata su un vizio dell’atto non prospettato prima, con l’effetto di porre un nuovo tema d’indagine e di ampliare i termini della controversia. Ne consegue, pertanto, che il motivo di opposizione agli atti esecutivi proposto nel corso del processo è inammissibile, a prescindere dal fatto che attenga ad un vizio dello stesso atto opposto e che comporti identico petitum di annullamento (o revoca o modifica) del medesimo atto, irrilevante essendo, altresì, la presenza — nel ricorso ex art. 617 cod. proc. civ. — di una riserva «di ulteriormente sviluppare i motivi», la quale non può legittimare la proposizione di motivi nuovi (Sent. n. 18761, Sez. III, del 7-8-2013).
Esecuzione forzata – Opposizione all’esecuzione – Individuazione del giudice competente in caso di esecuzione già iniziata – Criterio di necessità
(cod. proc. civ.: artt. 17, 615)
— In materia di opposizione ad esecuzione forzata, quando l’esecuzione sia già iniziata, l’individuazione del giudice competente deve essere effettuata, in applicazione dell’art. 17 cod. proc. civ., sulla base del «credito per cui si procede» e, quindi, dell’importo del credito di cui al pignoramento e non dell’importo del credito di cui al precetto (Sent. n. 19488, Sez. III, del 23-8-2013).
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Specificità dei motivi d’appello – Riparto dell’onere della prova – Necessità – Conseguenza
(R.D. 267/1942: artt. 5, 67 I co.; cod. proc. civ.: art. 342 I co.; cod. civ.: artt. 2697, 2729)
— In tema di revocatoria fallimentare, la specificità dei motivi d’appello, pur dovendo essere sempre apprezzata in relazione alla specificità della motivazione impugnata, non può comunque prescindere dalla distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, ove sia stata proposta azione ex art. 67, primo comma, legge fall., ed operi, perciò, una presunzione iuris tantum della conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte del convenuto, la pronuncia del giudice che, anziché limitarsi a rilevare la mancata prova della inscientia decoctionis, affermi la sussistenza della prova della scientia decoctionis, non determina un superamento di detta presunzione, onerando il convenuto, soccombente in primo grado, di precisare le ragioni per le quali erroneamente la decisione appellata abbia implicitamente ritenuto non provata l’ignoranza dello stato di insolvenza, senza potersi limitare a contestare genericamente la prova della conoscenza pur apoditticamente accertata dal primo giudice (Sent. n. 20002, Sez. I, del 30-8-2013).
Giudicato esterno – Onere della parte che lo eccepisce di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio – Oggetto
(cod. civ.: artt. 2697, 2909; cod. proc. civ.: art. 324; disp. att. cod. proc. civ.: art. 124)
— La parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio, non soltanto producendo la sentenza stessa, ma anche corredandola dell’idonea certificazione ex art. 124 disp. att. cod. proc. civ., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere né che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza (Sent. n. 19883, Sez. III, del 29-8-2013).
Giudicato – Quando si forma sulla qualificazione giuridica data dal giudice all’azione
(cod. proc. civ.: art. 324; cod. civ.: art. 2909)
— Il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice all’azione quando detta qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di proporre specifica impugnazione sul punto (Sent. n. 18427, Sez. II, dell’1-8-2013).
Lavoro autonomo e lavoro subordinato – Elemento distintivo: subordinazione – Concreto riferimento, da parte del giudice, alle modalità di espletamento del rapporto – Necessità
(cod. civ.: artt. 2094, 2222, 2230)
— Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, l’elemento della subordinazione (ossia della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità d’essere del rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito e ciò in particolare nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o intellettuale ed indipendentemente da un’iniziale pattuizione scritta sulle modalità del rapporto; nella qualificazione del rapporto il giudice non può, pertanto, prescindere dal concreto riferimento alle modalità di espletamento dello stesso e in particolare da elementi sussidiari, che egli stesso deve individuare, quali l’autonoma gestione del lavoro da parte del lavoratore, l’assoggettamento o meno a direttive programmatiche, l’accettazione del rischio derivante dal mancato espletamento dell’attività lavorativa al fine di fruire di periodi di riposo (Sent. n. 19568, Sez. lavoro, del 26-8-2013).
Lavoro autonomo o lavoro subordinato – Natura – Individuazione – Formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale – Rilevanza
(cod. civ.: artt. 2094, 2222)
— Ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia. Tale principio non vale invece nell’ipotesi inversa in cui, rispetto ad una situazione lavorativa ritenuta priva dei connotati della subordinazione, le parti stipulino un contratto che, invece, riconosca, a partire da una certa data, la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, dovendosi ritenere, in tal caso, che la volontà delle parti sia da considerare conforme al concreto assetto del rapporto, non essendovi motivo per ritenere che le parti abbiano adottato un tipo contrattuale che impegni in modo più consistente anche il datore rispetto ad oneri collegati all’anzianità di servizio, al trattamento da riconoscersi al lavoratore in ipotesi di risoluzione del rapporto, al trattamento previdenziale e contributivo, senza che la veste formale corrisponda al contenuto della prestazione (Sent. n. 19199, Sez. lavoro, del 19-8-2013).
Lavoro subordinato – Mobbing del datore di lavoro nei confronti del lavoratore – Nozione
(cod. civ.: art. 2087)
— Costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni — di vario tipo ed entità — al dipendente medesimo. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto che, come adeguatamente motivato dalla Corte territoriale, non ricorressero gli estremi della condotta mobbizzante nella mera denegata partecipazione ai corsi professionali, in sé gestiti con metodo clientelare, nonché nell’omessa dotazione di supporti informatici per lo svolgimento dell’attività professionale e nella messa a disposizione di ambienti di lavoro particolarmente ristretti, attesa l’assenza della prova di un’esplicita volontà del datore di lavoro di emarginare il dipendente in vista di una sua espulsione dal contesto lavorativo o, comunque, di un intento persecutorio) (Sent. n. 18836, Sez. lavoro, del 7-8-2013).
Lavoro subordinato – Trasferimento del lavoratore – Principio della libertà delle forme – Applicabilità – Conseguenza
(cod. civ.: art. 2103; L. 604/1966: art. 2 II co.)
— In materia di trasferimento del lavoratore vige il principio generale di libertà delle forme: pertanto, qualora il datore di lavoro abbia indicato i motivi del disposto mutamento di sede di lavoro contestualmente all’adozione dell’atto di trasferimento, egli non è soggetto ad alcun obbligo di ulteriore precisazione dei motivi anche in caso di specifica richiesta dei motivi — in applicazione analogica dell’art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604 — da parte del lavoratore trasferito (Sent. n. 19425, Sez. lavoro, del 22-8-2013).
Lavoro subordinato – Tutela delle condizioni di lavoro – Responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 cod. civ.
(cod. civ.: artt. 2087, 2697)
— La responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psico-fisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell’attività lavorativa per esposizione all’amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all’introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto (Sent. n. 18626, Sez. lavoro, del 5-8-2013).
Licenziamento disciplinare – Immediatezza della contestazione – Necessità – Conseguenza
(L. 300/1970: art. 7)
— In materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione è da ritenersi elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e quindi non è necessario, ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento stesso, che la violazione del detto principio, costituita dal ritardo nell’elevazione dell’incolpazione rispetto al verificarsi dei fatti addebitati al dipendente, dia luogo ad un pregiudizio concreto nei confronti del lavoratore incolpato (Sent. n. 19115, Sez. lavoro, del 9-8-2013).
Licenziamento disciplinare – Notevole dimensione dell’organizzazione aziendale – Non è, di per sé, sufficiente a far ritenere legittimo un ritardo di diversi mesi nella contestazione disciplinare
(L. 300/1970: art. 7)
— In materia di licenziamento per ragioni disciplinari, la notevole dimensione dell’organizzazione aziendale non è, di per sé, sufficiente a far ritenere legittimo un ritardo di diversi mesi (nel caso di specie, oltre nove) nella contestazione disciplinare, tanto più che non è necessario acquisire l’assoluta certezza della colpevolezza del lavoratore, essendo, invece, sufficiente che i fatti addebitati possano essere ritenuti ragionevolmente sussistenti (Sent. n. 19115, Sez. lavoro, del 9-8-2013).
Licenziamento illegittimo – Azione di annullamento – Si prescrive in cinque anni – Conseguenze
(cod. civ.: art. 1442 I co.; L. 604/1966: art. 6; L. 300/1970: art. 18)
— L’azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo, in quanto diretta a far valere un vizio di annullabilità, si prescrive in cinque anni, e tale prescrizione determina — al pari della decadenza dall’impugnativa del licenziamento — l’estinzione del diritto di far accertare l’illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela di diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso (Sent. n. 18732, Sez. lavoro, del 6-8-2013).
Licenziamento illegittimo – Tutela reale – Lavoratore che sia stato reintegrato nel posto di lavoro in forza di ordinanza cautelare ex art. 700 cod. proc. civ. – Può essere di nuovo licenziato sulla base di una diversa ragione giustificatrice – Conseguenze
(L. 300/1970: art. 18; cod. proc. civ.: art. 700)
— In materia di licenziamento in regime di tutela reale, il lavoratore che sia stato reintegrato nel posto di lavoro in forza di ordinanza cautelare, emanata ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., può essere nuovamente licenziato da parte del datore di lavoro sulla base di una diversa ragione giustificatrice, cosicché, a seguito del secondo licenziamento, l’ordine di reintegra cessa di produrre effetti e la retribuzione non è più dovuta al lavoratore (Sent. n. 19104, Sez. lavoro, del 9-8-2013).
Licenziamento per giusta causa – Prova della giusta causa – Criterio di sufficienza
(cod. civ.: artt. 2119, 2697; L. 604/1966: art. 5)
— In tema di prova della giusta causa di licenziamento, pur gravando sul datore di lavoro l’onere relativo, tuttavia non è necessario che la prova sia acquisita ad iniziativa o per il tramite del datore di lavoro, potendo il giudice porre a fondamento della decisione gli elementi di prova comunque ritualmente acquisiti al processo, anche ad iniziativa di altre parti oppure d’ufficio (Sent. n. 19189, Sez. lavoro, del 19-8-2013).
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Datore di lavoro che abbia assunto, successivamente al recesso, nuovo personale – Prova dell’inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato – Criterio di necessità
(L. 604/1966: art. 3; cod. civ.: art. 2697)
— In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove il datore di lavoro abbia assunto, successivamente al recesso, nuovo personale, è necessario, al fine di ritenere raggiunta la prova dell’inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, che il datore medesimo, su cui grava l’onere probatorio, indichi le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi dipendenti e dimostri che queste ultime non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità da questi raggiunta. (Nella specie, la S.C., in applicazione del su esteso principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento, rilevando che l’impresa aveva affidato in appalto ad una società esterna l’attività di gestione del magazzino cui i lavoratori licenziati erano addetti e ritenendo irrilevanti le nuove assunzioni operate in relazione a mansioni del tutto diverse) (Sent. n. 18416, Sez. lavoro, dell’1-8-2013).
Locazione – Contratto – Clausola prevedente che il mancato puntuale pagamento, in tutto o in parte e per qualunque causa, anche di una sola rata del canone determini la risoluzione di diritto del contratto, specificando che tale risoluzione si verificherebbe per grave inadempimento ex art. 1455 cod. civ.
(cod. civ.: artt. 1362, 1367, 1455, 1456, 1571)
— Qualora una clausola di un contratto di locazione preveda che il mancato puntuale pagamento, in tutto o in parte e per qualunque causa, anche di una sola rata del canone determini la risoluzione di diritto del contratto, specificando che tale risoluzione si verificherebbe per grave inadempimento ex art. 1455 c.c., non sussistono dubbi esegetici circa il fatto che la stessa, pur non menzionando l’art. 1456 c.c., vada intesa nel senso che le parti hanno voluto stabilire una clausola risolutiva espressa (e, d’altro canto, ove tale dubbio sussistesse andrebbe sciolto nel senso indicato in virtù del principio di conservazione del contratto), individuando ex ante un inadempimento grave (Sent. n. 19602, Sez. III, del 27-8-2013).
Matrimonio – Determinazione del contributo che grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole – Non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 147, 148, 150, 156; L. 898/1970: artt. 5, 6)
— La determinazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge. Pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore (Sent. n. 18538, Sez. I, del 2-8-2013).
Matrimonio – Regime patrimoniale – Separazione dei beni – Prova della proprietà dei beni
(cod. civ.: artt. 219, 948, 1350, 1414, 1417, 2697, 2724, 2736)
— L’art. 219 cod. civ. — riconoscendo al coniuge di poter provare con ogni mezzo, nei confronti dell’altro, la proprietà esclusiva di un bene, ed aggiungendo che quelli di cui nessuno di essi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa, per pari quota, di entrambi — riguarda essenzialmente le controversie relative a beni mobili, ed è volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel secondo comma, alla regola generale sull’onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna eccezione configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti immobiliari. Pertanto, quando un immobile sia intestato ad uno dei coniugi in virtù di idoneo titolo d’acquisto, l’altro coniuge, che alleghi l’interposizione reale, non può provarla con giuramento, né con testimoni, giacché l’obbligo dell’interposto di ritrasmettere all’interponente i diritti acquistati deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto, salvo che nell’ipotesi di perdita incolpevole del documento e non anche, dunque, nel caso in cui si deduce un semplice principio di prova per iscritto (Sent. n. 18554, Sez. I, del 2-8-2013).
Mutuo tra coniugi con obbligo di restituzione sottoposto alla condizione sospensiva della separazione personale – Validità – Fondamento
(cod. civ.: artt. 150, 1353, 1354 I co., 1813)
— È valido il mutuo tra coniugi nel quale l’obbligo di restituzione sia sottoposto alla condizione sospensiva dell’evento, futuro ed incerto, della separazione personale, non essendovi alcuna norma imperativa che renda tale condizione illecita agli effetti dell’art. 1354, comma 1, c.c. (Sent. n. 19304, Sez. III, del 21-8-2013).
Notificazioni nella residenza – Relazione di notificazione – Efficacia probatoria fino a querela di falso circa la corrispondenza tra luogo di notifica e residenza del destinatario – Esclusione
(cod. proc. civ.: artt. 139, 148; cod. civ.: art. 2700)
— In tema di notificazioni, la relata di notifica non fa fede fino a querela di falso circa l’attestazione che il luogo di notifica corrisponda a quello di residenza del destinatario (Sent. n. 19021, Sez. I, dell’8-8-2013).
Obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale – Sono obbligazioni di mezzi – Fondamento e conseguenze, in particolare nel caso di compimento, da parte dell’avvocato, di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente
(cod. civ.: artt. 1176 II co., 2236, 2943; cod. pen.: art. 120)
— Le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176, secondo comma, cod. civ., che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. Sotto tale profilo, rientra nell’ordinaria diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex art. 1176, secondo comma, cod. civ., e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 2236 cod. civ., allorché l’incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell’incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all’applicabilità del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall’obbligo di diligenza richiesto dall’art. 1176 cod. civ. (Sent. n. 18612, Sez. III, del 5-8-2013).
Prescrizione – Interruzione – Eccezione – È un’eccezione in senso lato – Fondamento e conseguenza
(cod. proc. civ.: art. 112; cod. civ.: art. 2945)
— Poiché nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale), l’eccezione di interruzione della prescrizione integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, dovendosi escludere, altresì, che la rilevabilità ad istanza di parte possa giustificarsi in ragione della (normale) rilevabilità soltanto ad istanza di parte dell’eccezione di prescrizione, giacché non ha fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di un’eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, qual è l’interruzione della prescrizione (Sent. n. 18602, Sez. III, del 5-8-2013).
Prescrizione – Interruzione per effetto di riconoscimento e rinunzia – Elementi distintivi
(cod. civ.: artt. 2937, 2944)
— Mentre il riconoscimento dell’altrui diritto che valga ad interrompere la prescrizione (art. 2944 c.c.) costituisce una dichiarazione di scienza e non un atto negoziale dagli effetti esclusivamente interruttivi della prescrizione stessa, la rinuncia alla prescrizione (art. 2937 cod. civ.), invece, integra un atto negoziale caratterizzato dalla manifestazione della volontà di dismettere definitivamente il proprio diritto alla liberazione di un obbligo. Ne consegue che al riconoscimento non si applicano le regole proprie dei negozi giuridici dettate in tema di volontà e di rappresentanza. (Fattispecie in tema di servitù) (Sent. n. 18425, Sez. II, dell’1-8-2013).
Prescrizione – Natura assoluta o relativa dell’azione di simulazione – Rilevanza – Esclusione
(cod. civ.: artt. 1414, 1422, 2934)
— In tema di prescrizione, mentre non assume rilievo la natura — assoluta o relativa — dell’azione di simulazione, che, essendo comunque diretta ad accertare la nullità del negozio apparente, è, ai sensi dell’art. 1422 cod. civ., imprescrittibile, il decorso del tempo può eventualmente colpire i diritti che presuppongono l’esistenza del negozio dissimulato, facendo così venire meno l’interesse all’accertamento della simulazione del negozio apparente (Ord. n. 19678, Sez. VI, del 27-8-2013).
Prescrizione presuntiva e prescrizione estintiva – Infungibilità delle relative eccezioni – Fondamento – Conseguenza nel giudizio di rinvio
(cod. civ.: artt. 2728, 2934; cod. proc. civ.: artt. 112, 392)
— L’eccezione di prescrizione presuntiva e l’eccezione di prescrizione estintiva non sono reciprocamente fungibili, né rappresentano espressioni di un’attività difensiva sostanzialmente unitaria, costituendo, invece, rispettivamente, una difesa fondata su una mera presunzione legale di avvenuta estinzione del diritto azionato dalla controparte e una difesa volta a determinare l’estinzione dell’avverso diritto. Ne consegue che, proposta originariamente la prima, non è consentito alla stessa parte invocare in suo luogo, nel corso del giudizio di rinvio, la seconda, o viceversa (Sent. n. 19545, Sez. III, del 26-8-2013).
Prescrizione – Rinuncia – Nozione
(cod. civ.: artt. 1027, 2937)
— La rinunzia alla prescrizione è un atto negoziale che implica la volontà di dismettere definitivamente il proprio diritto alla liberazione di un obbligo. Ne consegue che la mera dichiarazione del proprietario del fondo servente, resa al momento dell’acquisto del bene, avente ad oggetto la conoscenza dell’esistenza della servitù (nella specie, di lume di grotta) non vale ad integrare rinunzia tacita ad avvalersi della prescrizione del diritto stesso (Sent. n. 18425, Sez. II, dell’1-8-2013).
Presunzioni – Divieto ex art. 2729 II co. cod. civ. – Ambito – Presunzioni semplici – Inclusione – Presunzioni legali – Esclusione
(cod. civ.: artt. 2728, 2729 II co.)
— Il divieto di cui al secondo comma dell’art. 2729 cod. civ. — che non consente il ricorso alle presunzioni nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni — investe solo le presunzioni semplici, non anche le presunzioni legali (Ord. n. 19486, Sez. VI, del 23-8-2013).
Privacy – Dati personali sensibili – Dati relativi alla navigazione in internet con accesso a siti pornografici – Vi rientrano – Fondamento
(D.Lgs. 196/2003: art. 4 I co. lett. d)
— Costituiscono dati personali sensibili, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto idonei a rivelare la vita sessuale dell’interessato, quelli relativi alla navigazione in internet con accesso a siti pornografici (nella specie, oggetto di contestazione in sede disciplinare ad un dipendente da parte del datore di lavoro) (Sent. n. 18443, Sez. I, dell’1-8-2013).
Privacy – Diffusione di dati personali in sede giudiziaria anche senza il consenso dell’interessato – Liceità – Condizione
(D.Lgs. 196/2003: artt. 4 I co. lett. e, 22)
— La diffusione di dati personali in sede giudiziaria è lecita, anche senza il consenso dell’interessato, purché finalizzata alla difesa tecnico-giuridica, essendo illecita, viceversa, ove diretta a screditare, agli occhi del giudice di appello, il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Sent. n. 19790, Sez. III, del 28-8-2013).
Privacy – Soggetto «interessato» ex art. 4 I co. lett. i) D.Lgs. 196/2003 – Criterio di necessità
(D.Lgs. 196/2003: art. 4 I co. lett. i)
— Ai fini del trattamento e della tutela dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, perché un soggetto assuma la qualità di «interessato» è necessario che i dati di cui si controverta concernano la persona fisica, la persona giuridica, l’ente o l’associazione che si lamenti del trattamento, non essendone, peraltro, richiesta l’appartenenza con certezza a chi si duole delle operazioni compiute su di essi, atteso che quel che rileva è la loro attribuzione o la loro esclusione rispetto a colui che, al riguardo, accampi un diritto. Pertanto, anche qualora si neghi ogni relazione con i dati medesimi, non ci si spoglia, per ciò stesso, di tale qualità, perché proprio il fatto che il soggetto intenda escludere l’attribuzione a sé di quei dati comporta che egli abbia assunto, a ragione, quella qualificazione e, in forza di essa, possa chiedere l’adozione di provvedimenti. (In applicazione di tale principio, la S.C., disattendendo il corrispondente motivo di ricorso, ha riconosciuto la qualità di «interessato» ad un lavoratore subordinato che aveva negato di aver effettuato, sul luogo di lavoro, gli accessi ad internet non autorizzati contestatigli in sede disciplinare e da cui erano emersi dati sensibili idonei a rivelarne le convinzioni religiose, le opinioni sindacali ed i gusti attinenti alla vita sessuale) (Sent. n. 18443, Sez. I, dell’1-8-2013).
Privacy – Trattamento dei dati personali – Diffusione relativa all’assenza dal lavoro di un dipendente per malattia – È diffusione di un dato sensibile – Fondamento
(D.Lgs. 196/2003: artt. 4 I co. lett. d, 22)
— In tema di trattamento dei dati personali, costituisce diffusione di un dato sensibile quella relativa all’assenza dal lavoro di un dipendente per malattia, in quanto tale informazione, pur non facendo riferimento a specifiche patologie, è comunque suscettibile di rivelare lo stato di salute dell’interessato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto illecita la pubblicazione, da parte di un’amministrazione comunale, nell’albo pretorio nonché sul sito internet istituzionale, dei dati personali di un proprio dipendente, assente «per malattia») (Sent. n. 18980, Sez. I, dell’8-8-2013).
Privacy – Trattamento dei dati personali – Tutela dei dati già pubblici o pubblicati – Sussistenza – Ragione
(D.Lgs. 196/2003: artt. 4, 11; Cost.: artt. 2, 3 I co., 41 II co.)
— In tema di trattamento dei dati personali, la legge tutela anche i dati già pubblici o pubblicati, poiché colui che compie operazioni di trattamento di tali informazioni, dal loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio, può ricavare ulteriori informazioni e, quindi, un «valore aggiunto informativo», non estraibile dai dati isolatamente considerati, potenzialmente lesivo della dignità dell’interessato (ai sensi degli artt. 3, primo comma, prima parte, e 2 Cost.), da considerare preminente rispetto all’iniziativa economica privata che, secondo l’art. 41 Cost., non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di rigetto dell’opposizione proposta avverso un provvedimento del Garante che aveva disposto, a carico di una società incaricata di elaborare «dossier» a fini commerciali, il divieto di continuare ad associare a determinati soggetti la notizia concernente il fallimento di una s.r.l., del cui consiglio di amministrazione gli interessati avevano fatto parte in epoca antecedente la dichiarazione di insolvenza, trattandosi di dato eccedente rispetto alle finalità dell’informazione, in assenza di ipotesi di responsabilità personale degli interessati) (Sent. n. 18981, Sez. I, dell’8-8-2013).
Processo – Atto di citazione in primo grado o in appello e rispettive relate di notificazione – Errore nell’indicazione delle generalità del convenuto o dell’appellato – Effetti
(cod. proc. civ.: artt. 137, 148, 160, 330, 360 I co. n. 5)
— L’errore nell’indicazione delle generalità del convenuto o dell’appellato contenuto nell’atto di citazione in primo grado o in appello e nelle rispettive relate di notificazione non comporta nullità di nessuno dei due atti qualora il destinatario sia identificabile con certezza in base agli elementi contenuti nella citazione o nella relata; in particolare, quando, risultando dal contesto dell’atto che la notificazione è avvenuta appunto all’effettivo destinatario, può escludersi l’esistenza di un’incertezza assoluta in ordine ad un elemento essenziale della notificazione, essendo riservato il relativo accertamento all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici (Sent. n. 18427, Sez. II, dell’1-8-2013).
Processo di merito in cui si controverte sull’esistenza di un diritto contrattuale – Dichiarazioni rese dagli informatori nella fase cautelare ante causam – Non hanno il valore probatorio delle deposizioni testimoniali – Ragione
(cod. proc. civ.: artt. 244, 669 sexies; cod. civ.: artt. 2721 e segg.)
— Nel giudizio di merito in cui si controverte sull’esistenza di un diritto contrattuale, le dichiarazioni rese dagli informatori nella fase cautelare ante causam, pur se assunte in contraddittorio e previo impegno di dire la verità, non hanno il valore probatorio delle deposizioni testimoniali, poiché, in questo tipo di causa, a differenza che nei procedimenti possessori e nunciatori, le dichiarazioni degli informatori non vertono unicamente su situazioni di fatto, ma anche sull’esistenza del contratto, il cui accertamento incontra, nel giudizio a cognizione piena, i limiti stabiliti dagli artt. 2721 e segg. cod. civ. (Sent. n. 18865, Sez. II, del 7-8-2013).
Processo esecutivo – Provvedimento di estinzione – Impugnazione del solo capo di condanna del debitore alle spese – Mezzo di impugnazione esperibile: reclamo ex art. 630 III co. cod. proc. civ.
(cod. proc. civ.: artt. 91, 630 III co.; Cost.: art. 111 VII co.)
— Ove di un provvedimento di estinzione del processo esecutivo si intenda impugnare il solo capo di condanna del debitore alle spese, il mezzo di impugnazione è il reclamo ai sensi dell’art. 630 cod. proc. civ., non essendo ammissibile, in presenza di un mezzo di impugnazione tipico, il ricorso straordinario per cassazione (Sent. n. 19540, Sez. III, del 26-8-2013).
Proprietà – Azione di regolamento di confini – Eccezione di usucapione sollevata dal convenuto
(cod. civ.: artt. 948, 950, 1158)
— L’eccezione di usucapione sollevata dal convenuto non è idonea a snaturare l’azione di regolamento di confini proposta dall’attore, quando, con detta eccezione, si faccia valere una situazione sopravvenuta, atta ad eliminare l’incertezza sul confine, senza che sia messo in discussione il titolo di acquisto vantato ex adverso; viceversa, nell’ipotesi in cui il convenuto invochi un acquisto per usucapione anteriore all’acquisto dell’attore, si verifica il conflitto di titoli che è presupposto dell’azione di rivendicazione (Sent. n. 18870, Sez. II, del 7-8-2013).
Proprietà – Limitazioni legali – Distanza delle costruzioni dalle vedute – Divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalle vedute – Funzione
(cod. civ.: art. 907 I co.)
— Il divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalle vedute, sancito dall’art. 907 cod. civ., intende assicurare al titolare del diritto di veduta aria e luce sufficienti all’esercizio dell’inspectio e della prospectio, sicché il giudice di merito, pur in presenza dell’accertata violazione della distanza, è tenuto a valutare specificamente se l’opera edificata (nella specie, un’inferriata di recinzione) ostacoli l’esercizio della veduta (Sent. n. 19429, Sez. II, del 22-8-2013).
Proprietà – Limitazioni legali – Distanze nelle costruzioni – Art. 885 cod. civ. (innalzamento del muro comune) – Non deroga alla disciplina sulle distanze legali – Fondamento
(cod. civ.: artt. 873, 885)
— La disposizione dell’art. 885 c.c., che consente al comproprietario di alzare il muro comune, non interferisce con la disciplina in materia di distanze legali, né deroga alla stessa, questa perseguendo la funzione di evitare intercapedini dannose tra fabbricati (normativa codicistica) e anche di tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all’ambiente (disciplina regolamentare, richiamata dall’art. 873 c.c.) (Sent. n. 19142, Sez. II, del 9-8-2013).
Proprietà – Limitazioni legali – Distanze nelle costruzioni – Sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma di legge in base alla quale è stata rilasciata la concessione edilizia ed eseguita l’opera
(cod. civ.: art. 873; L. 87/1953: art. 30; cod. proc. civ.: art. 360)
— In tema di distanze nelle costruzioni, la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma di legge in base alla quale è stata rilasciata la concessione edilizia ed eseguita l’opera spiega tutta la sua efficacia nel giudizio di cassazione sulla violazione delle distanze, anche se la concessione edilizia non sia stata impugnata innanzi al giudice amministrativo, atteso che essa è rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi e che, pendente il giudizio di cassazione, sulla dedotta lesione del diritto soggettivo all’osservanza delle distanze non può dirsi costituito il giudicato (Sent. n. 19650, Sez. II, del 27-8-2013).
Proprietà – Limitazioni legali – Distanze nelle costruzioni – Violazione – Demolizione dell’opera illecita – Risarcimento del danno – Determinazione – Criterio di necessità
(cod. civ.: artt. 872 II co., 873, 2043)
— In tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell’opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione (Sent. n. 19132, Sez. II, del 9-8-2013).
Prova testimoniale – Capitoli aventi ad oggetto la concessione di un terreno «a titolo di mezzadria» – Ammissibilità – Fondamento
(cod. civ.: art. 2141; cod. proc. civ.: art. 244)
— In tema di prova testimoniale, sono ammissibili capitoli aventi ad oggetto la concessione di un terreno «a titolo di mezzadria», non venendo in rilievo una qualificazione giuridica, atteso che il termine «mezzadria» è utilizzato, nella comune accezione, per indicare sinteticamente il complesso di rapporti tra le parti in relazione ad un determinato terreno, e dunque un fatto storico, non diversamente dai termini «vendita» o «acquisto» (Ord. n. 19485, Sez. VI, del 23-8-2013).
Prova testimoniale – Eccezioni al divieto – Impossibilità morale per il contraente di procurarsi una prova scritta – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 2724 n. 2)
— In tema di prova testimoniale, per la ricorrenza della condizione dell’impossibilità morale di procurarsi la prova scritta, di cui all’art. 2724, n. 2, cod. civ., non è sufficiente una situazione di astratta influenza, di autorità o di prestigio della persona dalla quale lo scritto dovrebbe essere preteso, né di vincolo di amicizia, di parentela o di affinità di quest’ultima nei confronti della parte interessata all’acquisizione della prova, occorrendo, altresì, ulteriori speciali e particolari circostanze confluenti e concorrenti a determinarla (Sent. n. 18554, Sez. I, del 2-8-2013).
Pubblico impiego contrattualizzato – Esercizio di poteri privatistici da parte della P.A. nella sua qualità di datore di lavoro – Sussistenza – Conseguenze
(D.Lgs. 165/2001; L. 241/1990; cod. civ.: artt. 1175, 1375; Cost.: art. 97)
— Nel pubblico impiego contrattualizzato la P.A., nella sua qualità di datore di lavoro, esercita poteri privatistici: gli atti di gestione del rapporto devono pertanto essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per il datore di lavoro privato e non è applicabile in materia alcuna disposizione della L. 7 agosto 1990, n. 241; in particolare deve ritenersi che gli atti della P.A. debbano essere conformi ai principi generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., letti in correlazione con il principio di buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 della Costituzione (Sent. n. 19425, Sez. lavoro, del 22-8-2013).
Pubblico impiego contrattualizzato – Situazione di incompatibilità tra il lavoratore ed i suoi colleghi o collaboratori diretti – Conseguenza
(D.Lgs. 165/2001; cod. civ.: art. 2103)
— Nel pubblico impiego contrattualizzato, la sussistenza di una situazione di incompatibilità tra il lavoratore ed i suoi colleghi o collaboratori diretti, che importi tensioni personali o anche contrasti nell’ambiente di lavoro comportanti disorganizzazione e disfunzione nell’unità produttiva, concretizza un’oggettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro — non potendo normalmente essere ricondotta a profili di carattere disciplinare — e va valutata in base al disposto dell’art. 2103 cod. civ., con conseguente possibilità di trasferimento del lavoratore, sulla base di comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive (Sent. n. 19425, Sez. lavoro, del 22-8-2013).
Pubblico impiego contrattualizzato – Trasferimento del lavoratore – Individuazione della sede di lavoro a seguito dell’esercizio del potere datoriale – Criteri di necessità
(D.Lgs. 165/2001; cod. civ.: artt. 1175, 1375, 2103; Cost.: art. 97)
— In materia di trasferimento del pubblico dipendente (nella specie, disposto per incompatibilità che aveva comportato disservizi in una determinata sezione distaccata di tribunale), l’individuazione della sede di lavoro a seguito dell’esercizio del potere datoriale deve essere effettuata in applicazione dei principi di buon andamento della P.A. (art. 97 della Costituzione) e di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 cod. civ.) e pertanto non deve determinare oneri ingiustificati a carico del lavoratore trasferito essendo necessario tenere conto anche della situazione logistica in cui verrà a trovarsi il lavoratore — salva l’impossibilità di reperire sedi lavorative che in concreto possano rispettare esigenze connesse con la situazione soggettiva del lavoratore — con la conseguente finalità di individuare una sede di servizio non eccessivamente distante dal luogo di dimora abituale del lavoratore ma senza che sia configurabile un obbligo di rispetto di un rigido criterio chilometrico nell’individuazione (Sent. n. 19425, Sez. lavoro, del 22-8-2013).
Rappresentanza – Contratto concluso dal rappresentante con se stesso – Presunzione iuris tantum di conflitto di interessi – Configurabilità
(cod. civ.: artt. 1395, 2697, 2729)
— In tema di contratto concluso dal rappresentante con se stesso, l’art. 1395 cod. civ. contiene una presunzione iuris tantum di conflitto di interessi, che è onere del rappresentante superare mediante la dimostrazione delle condizioni assunte dal legislatore come idonee ad assicurare la tutela del rappresentato per via del ruolo attivo che egli assume nella fase prodromica del contratto (Sent. n. 19229, Sez. III, del 20-8-2013).
Repressione della condotta antisindacale – Finalità
(L. 300/1970: art. 28; cod. civ.: artt. 1175, 1375, 2077, 2109)
— Lo strumento processuale di cui all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori è finalizzato a realizzare in tempi rapidi il ripristino delle situazioni di violazione dei diritti di libertà e di attività sindacale, al precipuo fine di favorire l’ordinato svolgimento del conflitto sociale, il che presuppone che le organizzazioni sindacali ricorrano a tale strumento sulla base di scelte conformi ai generali canoni della buona fede e della correttezza, che sono alla base dell’esecuzione dei contratti collettivi. Ne consegue che non è conforme ai suddetti canoni la proposizione dell’azione ex art. 28 dello Statuto prospettando come antisindacale il comportamento del datore di lavoro — nella specie consistito nella predisposizione del periodo delle ferie annuali, senza la preventiva convocazione delle organizzazioni sindacali — analogo a quello tenuto in precedenza (per circa venti anni), in assenza di reazioni dei sindacati, assumendone il contrasto con una norma del contratto collettivo provinciale applicabile nella specie, ma in concreto mai applicata nell’ambito dell’azienda interessata (Sent. n. 19252, Sez. lavoro, del 20-8-2013).
Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Configurabilità – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 2051)
— La responsabilità per le cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. civ., ha natura oggettiva e necessita, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento, tale da prescindere dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e da sussistere in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito. (Nella specie, la Corte ha ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 cod. civ. nel sinistro occorso al conducente di un veicolo a due ruote scivolato a terra in conseguenza della presenza sul manto stradale, oggetto di lavori di manutenzione, di brecciolino che non avrebbe dovuto trovarsi lì e che non era neppure segnalato) (Ord. n. 19905, Sez. VI, del 29-8-2013).
Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia del proprietario o gestore di un campo da gioco – Configurabilità – Nesso causale tra la cosa e l’evento – Necessità
(cod. civ.: artt. 2051, 2697; cod. pen.: art. 40)
— Il proprietario o gestore di un campo da gioco è responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., degli infortuni occorsi ai fruitori di quest’ultimo, ove non alleghi e non provi l’elisione del nesso causale tra la cosa e l’evento, quale può aversi, in un contesto di rigoroso rispetto delle normative esistenti o comunque di concreta configurazione della cosa in condizioni tali da non essere in grado di nuocere normalmente ai suoi fruitori, nell’eventualità di accadimenti imprevedibili ed ascrivibili al fatto del danneggiato stesso — tra i quali una sua imperizia o imprudenza — o al fatto di terzi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva riconosciuto la responsabilità del custode di un campo da calcetto in base all’evidenza del nesso causale tra la conformazione della cosa — palo metallico che sorreggeva la struttura del campo da gioco — e l’evento lesivo) (Sent. n. 19998, Sez. VI, del 30-8-2013).
Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia – Obbligazione di risarcire il danno immobiliare da infiltrazione – Natura
(cod. civ.: art. 2051)
— L’obbligazione di risarcire il danno immobiliare da infiltrazione, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., non è un’obbligazione propter rem, che si trasferisce dal venditore al compratore insieme alla proprietà dell’immobile da cui il danno stesso proviene, trattandosi, invece, di un’obbligazione connessa alla qualità di custode dell’immobile nel momento in cui esso ha cagionato il danno (Sent. n. 18855, Sez. II, del 7-8-2013).
* Ricorso per cassazione – Motivi – Esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza – Necessità – Esclusione – Conseguenza
(cod. proc. civ.: art. 360 I co. nn. 3 e 4)
— Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non è necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia. Ne consegue che è ammissibile il ricorso col quale si lamenti la violazione di una norma processuale sotto il profilo della violazione di legge, anziché sotto il profilo dell’error in procedendo di cui all’ipotesi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. (Sent. n. 19882, Sez. III, del 29-8-2013).
Ricorso per cassazione – Rituale dichiarazione di rinuncia al ricorso principale – Difensore del resistente, ricorrente incidentale tardivo, che la sottoscriva «per accettazione»
(cod. proc. civ.: artt. 100, 334, 390, 391)
— In tema di ricorso per cassazione, qualora intervenga rituale dichiarazione di rinuncia al ricorso principale ed il difensore del resistente, ricorrente incidentale tardivo, la sottoscriva «per accettazione», deve ritenersi che tale sottoscrizione esprima un’implicita dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dell’impugnazione incidentale, donde la necessità della declaratoria di inammissibilità della stessa (Ord. n. 18707, Sez. III, del 6-8-2013).
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica – Solo i ricorsi proposti dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo ricadono sotto il nuovo regime della giurisdizionalizzazione
(D.Lgs. 104/2010; D.P.R. 1199/1971: art. 8)
— In tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, solo i ricorsi proposti a partire dal 16 settembre 2010, ossia dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), ricadono sotto il nuovo regime della giurisdizionalizzazione, ossia danno vita ad un processo giurisdizionale equipollente a quello amministrativo ordinario, che si conclude con una decisione di natura giurisdizionale, atta a dar luogo alla cosa giudicata (Sent. n. 19531, Sez. III, del 26-8-2013).
Separazione consensuale dei coniugi – Riconciliazione successiva al provvedimento di omologazione della separazione – Effetti – Conseguenza in caso di successiva separazione
(cod. civ.: artt. 157, 158)
— La riconciliazione successiva al provvedimento di omologazione della separazione consensuale, ai sensi dell’art. 157 cod. civ., determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale, propria della vita coniugale. Ne consegue che, in caso di successiva separazione, occorre una nuova regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi, cui il giudice deve provvedere sulla base di una nuova valutazione della situazione economico-patrimoniale dei coniugi stessi, che tenga conto delle eventuali sopravvenienze e, quindi, anche delle disponibilità da loro acquisite per effetto della precedente separazione (Sent. n. 19541, Sez. III, del 26-8-2013).
Separazione personale dei coniugi – Assegnazione della casa familiare – Misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole – Configurabilità – Esclusione
(cod. civ.: artt. 150, 155 quater)
— L’assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma può disporsi a favore del genitore affidatario esclusivo ovvero collocatario dei figli minori, oppure convivente con figli maggiorenni ma non autosufficienti economicamente (e ciò pur se la casa stessa sia di proprietà dell’altro genitore o di proprietà comune) (Sent. n. 18440, Sez. I, dell’1-8-2013).
— In tema di separazione, l’assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma postula l’affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, mentre ogni questione relativa al diritto di proprietà di uno dei coniugi o al diritto di abitazione sull’immobile esula dalla competenza funzionale del giudice della separazione e va proposta con il giudizio di cognizione ordinaria (Sent. n. 18440, Sez. I, dell’1-8-2013).
Separazione personale dei coniugi – Assegno di mantenimento del coniuge – Opzioni culturali e spirituali del richiedente
(cod. civ.: artt. 150, 156)
— In tema di separazione personale tra coniugi, le opzioni culturali e spirituali del richiedente l’assegno di mantenimento, quali le considerazioni relative allo stile di vita, non possono costituire legittima ragione di discriminazione del contributo attraverso la negazione del suo diritto a conseguirlo, pur in presenza dei prescritti requisiti (Sent. n. 18538, Sez. I, del 2-8-2013).
Separazione personale dei coniugi – Assegno perequativo di mantenimento dei figli minori disposto dal giudice – Decorrenza – Dies a quo
(cod. civ.: artt. 150, 155; cod. proc. civ.: artt. 708, 709)
— In tema di mantenimento dei figli minori, l’assegno perequativo disposto dal giudice nella sentenza di separazione decorre dalla data della decisione e non dalla data della proposizione della domanda, trattandosi di una pronuncia determinativa che non può operare per il passato, per il quale continuano a valere le determinazioni provvisorie di cui agli artt. 708 e 709 cod. proc. civ. (Sent. n. 18538, Sez. I, del 2-8-2013).
Separazione personale dei coniugi – Provvedimenti adottati in sede presidenziale – Hanno carattere interinale – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 150, 156; cod. proc. civ.: art. 708 III co.)
— In tema di separazione personale dei coniugi, i provvedimenti adottati in sede presidenziale, a norma dell’art. 708 c.p.c., hanno carattere interinale, sicché la sentenza può integrare, con effetto ex tunc decorrente dalla domanda, l’importo dell’assegno di mantenimento stabilito in quella sede provvisoria (Sent. n. 19309, Sez. III, del 21-8-2013).
Servitù di passaggio costituita per usucapione – Ha natura di servitù volontaria – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 1031, 1051, 1052, 1055, 1058)
— La servitù di passaggio costituita per usucapione ha natura di servitù volontaria, sicché, ai fini del relativo acquisto, è irrilevante lo stato di interclusione del fondo, dovendosi prescindere dai requisiti per la costituzione ed il mantenimento della servitù di passaggio coattivo, desumibili dagli artt. 1051, 1052 e 1055 cod. civ., che regolano detto istituto (Sent. n. 18859, Sez. II, del 7-8-2013).
Somministrazione – Patto di preferenza – Art. 1566 cod. civ. – Quando è applicabile per analogia all’appalto
(cod. civ.: artt. 1566, 1677)
— La disposizione dell’art. 1566 cod. civ., relativa al patto di preferenza nella somministrazione, è applicabile per analogia all’appalto solo se questo attenga a servizi continuativi o periodici, e riguardi la stipula di un successivo contratto di appalto per lo stesso oggetto (Sent. n. 19556, Sez. II, del 26-8-2013).
Spese processuali – Condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria in sede di appello – Presupposto
(cod. proc. civ.: artt. 91, 96 I co.)
— La condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria in sede di appello presuppone la totale soccombenza della parte in relazione all’esito del singolo grado di giudizio, aggiungendosi essa, ai sensi dell’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., alla condanna alle spese, la quale è, invece, correlata all’esito finale della lite (Sent. n. 19583, Sez. I, del 27-8-2013).
Spese processuali – Soccombenza – Determinazione – Criterio unitario e globale – Necessità – Conseguenza
(cod. proc. civ.: art. 91)
— In tema di spese processuali, la soccombenza deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ. il giudice di appello che ritenga la parte come soccombente per effetto della riduzione della somma accordatale in primo grado, ponendo interamente a carico di essa le spese della fase di gravame (Sent. n. 19158, Sez. III, del 19-8-2013).
Supercondominio – Legittimazione degli amministratori di ciascun condominio per gli atti conservativi
(cod. civ.: artt. 1117, 1117 bis, 1130, 1131, 1135)
— Nell’ipotesi del supercondominio, la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio per gli atti conservativi, riconosciuta dagli artt. 1130 e 1131 cod. civ., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di richiedere le necessarie misure cautelari soltanto per i beni comuni all’edificio rispettivamente amministrato, non anche per quelli facenti parte del supercondominio, che, quale accorpamento di due o più singoli condominii per la gestione di beni comuni, deve essere gestito attraverso le decisioni dei propri organi, e, cioè, l’assemblea composta dai proprietari degli appartamenti che concorrono a formarlo e l’amministratore del supercondominio (Sent. n. 19556, Sez. II, del 26-8-2013).
Titoli di credito – Certificati di deposito al portatore – Trasferimento – Perfezionamento ed effetto – Individuazione
(cod. civ.: artt. 2003, 2697)
— In materia di certificati di deposito al portatore, il trasferimento si perfeziona con la consegna del titolo e produce l’effetto di costituire, in capo all’accipiens, la legittimazione a riscuotere le somme relative. Ne consegue che non incombe sul possessore la prova circa il processo acquisitivo del titolo, spettando alla controparte dimostrare l’esistenza di una valida ragione giustificante la propria pretesa restitutoria (Sent. n. 19329, Sez. I, del 21-8-2013).
Trasporto di cose – Contratto – Perfezionamento in caso di destinatario diverso dal mittente – Individuazione
(cod. civ.: artt. 1411 II co., 1689, 1692)
— Il contratto di trasporto di cose, quando il destinatario è persona diversa dal mittente, si configura come contratto tra mittente e vettore a favore del terzo destinatario, in cui i diritti e gli obblighi del destinatario verso il vettore nascono con la consegna delle cose a destinazione o con la richiesta di consegna, che integra la «dichiarazione di volerne profittare», ai sensi dell’art. 1411 cod. civ., e segna il momento in cui il destinatario fa propri gli effetti del contratto, da tale momento potendosi il vettore rivolgere solo a lui per il soddisfacimento del credito di rimborso e corrispettivo (Sent. n. 19225, Sez. III, del 20-8-2013).
Vendita – Contratto preliminare – Domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto e domanda di riduzione del prezzo per vizi della res – Offerta del prezzo ex art. 2932 II co. cod. civ. – Quando non è necessaria
(cod. civ.: artt. 1351, 1492, 2932; cod. proc. civ.: art. 99)
— Proposte, cumulativamente e contestualmente, una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita e una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res, l’offerta del prezzo, prevista dal secondo comma dell’art. 2932 cod. civ., non è necessaria ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo (Sent. n. 19984, Sez. II, del 30-8-2013).
Vendita immobiliare «a corpo» – Revisione del prezzo – Criterio di necessità
(cod. civ.: art. 1538 I co.)
— In tema di vendita immobiliare «a corpo», l’art. 1538, primo comma, cod. civ. risponde alla necessità di ripristinare l’equilibrio delle prestazioni quale in concreto fissato dalle parti e, tuttavia, pregiudicato dalla sperequazione emersa dopo la stipula. Pertanto, la revisione del prezzo non deve seguire il criterio del valore di mercato (che si sovrapporrebbe all’equilibrio contrattuale raggiunto dai contraenti), né il criterio proporzionale «secco» (che cancellerebbe la volontà delle parti di vendere «a corpo», anziché «a misura»), dovendosi applicare, invece, un criterio proporzionale «corretto» che prescinda dall’esatta misurazione del bene, entro l’ambito per il quale è esclusa la revisione ex art. 1538 cod. civ. (Sent. n. 19890, Sez. II, del 29-8-2013).
Vendita o appalto – Obbligo di fornire e mettere in funzione un sistema computerizzato di software applicativo – È un’obbligazione di risultato – Conseguenza
(cod. civ.: artt. 1470, 1492, 1655, 1668)
— A prescindere dalla qualificazione del contratto come vendita o appalto, l’obbligo di fornire e mettere in funzione un sistema computerizzato di software applicativo (nella specie, per la realizzazione e la gestione di una banca dati) è un’obbligazione di risultato, sicché, qualora il medesimo risultato contrattuale sia mancato, l’utente può chiedere la risoluzione del contratto (Sent. n. 19131, Sez. II, del 9-8-2013).