L’assegno di mantenimento dei figli non si riduce anche se il coniuge affidatario trova un lavoro
Nota a Sentenza Cass. civ., Sez. VI, n. 3926/2018
Non è sufficiente che il genitore affidatario dei figli trovi un lavoro per determinare una riduzione dell’assegno di mantenimento per i figli posto a carico dell’altro genitore.
È quanto emerge dall’ordinanza della Corte di Cassazione, sesta sezione civile, 19/02/2018 n. 3926, che a chiare note rileva che la determinazione dell’assegno di mantenimento non si fonda su una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun obbligato, per cui le migliorate condizioni economiche del genitore affidatario non comportano una proporzionale diminuzione dell’importo posto a carico dell’altro genitore.
Non basta, dunque, la circostanza che la madre abbia trovato lavoro a far diminuire l’assegno di mantenimento dovuto dal padre avvocato che dichiara redditi inattendibili (più simili a quelli di un praticante che di un professionista) e che può accollarsi il mutuo per l’acquisto di una nuova abitazione.
La fattispecie posta all’esame della Suprema Corte trae origine dalla sentenza del 16.2.2017 della Corte d’appello di Brescia che aveva:
a) ridotto in Euro 400,00 mensili l’assegno dovuto dal padre, Pa.Al., avvocato civilista in Milano, a P.M. per il mantenimento del figlio minore Sa., sulla base della circostanza che la madre non era più disoccupata, ma aveva trovato un lavoro e, quindi, aveva un reddito proprio;
b) ritenuto inammissibile la domanda di revisione della ripartizione delle spese straordinarie, in quanto il richiamato protocollo AIAF, vigente presso il Tribunale di Bergamo, costituiva un atto non avente valore normativo ed era sconosciuto all’Ufficio;
c) ritenuto inammissibile la domanda volta alla condanna alla restituzione di somme già sborsate a titolo di spese straordinarie per il figlio, giacché la madre disponeva al riguardo di un titolo esecutivo;
d) rigettato la domanda di ripetizione avanzata dal Pa., ritenendola preclusa in considerazione del carattere alimentare delle prestazioni relative al mantenimento del figlio.
La madre, P.M., ricorre sulla base di sei motivi, resistiti dal Pa. con controricorso, con cui deduce un motivo di ricorso incidentale condizionato.
Peraltro la Corte di appello aveva ritenuto inammissibile la domanda della madre che chiedeva la revisione della ripartizione delle spese straordinarie in quanto il richiamato protocollo AIAF (Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia e i Minori), vigente presso il Tribunale, costituiva un atto non avente valore normativo e sconosciuto all’Ufficio.
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha ritenuto infondati, nel merito, i motivi addotti nel ricorso rilevando che la Corte di Appello, dopo aver ritenuto indimostrato il dedotto peggioramento delle condizioni economiche del padre, rilevando l’inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi da lui presentate — più consone a quelle di un praticante avvocato, che ad un professionista di 49 anni — ed evidenziando l’acquisto da parte dello stesso di un appartamento più costoso di quello posseduto (con possibilità di accollo del relativo mutuo), ha dato atto delle maggiori esigenze del figlio (adolescente di 13 anni e non più un infante) e del tempo di permanenza col padre (fine settimana alternati e tre settimane e mezzo in tutto l’anno, tra festività e vacanze estive), ma ha, ciononostante, disposto la riduzione dell’assegno in favore del minore sulla scorta delle migliorate condizioni della madre (prima disoccupata ed ora titolare di reddito da lavoro dipendente, circa Euro 20.000,00 lordi annui) in dichiarata applicazione del principio di cui a Cass. n. 18538 del 2013, secondo cui la determinazione del contributo che per legge grava su ciascun genitore per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun obbligato e, pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore.
Così operando, ha affermato la Suprema Corte, i giudici a quibus non solo hanno esposto una motivazione che è viziata da manifesta ed irriducibile contraddittorietà, come le imputa la ricorrente, non essendo le conclusioni coerenti con le premesse poste, ma sono incorsi al contempo nella falsa applicazione del condivisibile principio da loro stessi richiamato (in precedenza, affermato da Cass. n. 1607 del 2007).
Tale motivazione, pertanto, secondo la Cassazione, è da ritenersi manifestamente contraddittoria, poiché le conclusioni non appaiono affatto coerenti con le premesse poste, e le censure della madre contro la sentenza della Corte territoriale trovano accoglimento. I giudici della Suprema Corte evidenziano come il giudice di merito avesse ritenuto indimostrato il dedotto peggioramento delle condizioni economiche del padre, rilevando l’inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi da lui presentate, da considerarsi riferibili più a quelle di un praticante avvocato che a un professionista di 49 anni.
Peraltro, i giudici avevano rilevato come l’uomo avesse anche acquistato un appartamento più costoso di quello posseduto, con possibilità, dunque, di accollarsi il relativo mutuo. Inoltre, nell’ordinanza la Corte di Cassazione ha dato anche atto sia delle maggiori esigenze del figlio divenuto ormai adolescente, nonché del tempo di permanenza col padre (fine settimana alternati e tre settimane e mezzo in tutto l’anno, tra festività e vacanze estive).
Peraltro, la Cassazione evidenzia che i giudici di merito sarebbero incorsi anche nella falsa applicazione del condivisibile principio da loro stessi richiamato, secondo il quale la determinazione del contributo che grava per legge su ciascun genitore per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole, non si fonda su una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun obbligato; di conseguenza, le migliorate condizioni economiche del genitore affidatario servono a garantire al minore, non più un infante, un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non possono, invece, comportare una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore.
Sono stati anche ritenuti fondati i motivi con i quali è stata dedotta l’omessa pronuncia sulla richiesta di regolamentazione delle spese straordinarie a carattere più liquido. Infatti, sempre secondo la Cassazione, la circostanza che il protocollo AIAF, vigente presso il Tribunale di Bergamo, per la ripartizione delle spese straordinarie tra i genitori fosse un atto non normativo a lei ignoto, non avrebbe, comunque, potuto esimere la Corte d’appello dal valutare, secondo adeguati parametri, la domanda avanzata dalla madre di modificare la distribuzione delle spese straordinarie tra i genitori ripartite in ragione della metà ciascuno.
In conclusione, secondo la Cassazione, che ha rinviato alla Corte di appello, in diversa composizione, per la definizione del giudizio, le migliorate condizioni economiche di uno dei coniugi non comportano la proporzionale riduzione dell’assegno di mantenimento dei figli posto a carico dell’altro coniuge dovendosi, oltretutto, tenere conto anche delle mutate esigenze del figlio legate alla sua crescita. Quest’ultimo elemento sicuramente ha influito sulla decisione. Com’è noto, uno dei fattori che può determinare la revisione dell’assegno di mantenimento è il mutamento delle condizioni economiche di chi è obbligato a versarlo o di chi, invece, ne beneficia.
Un incremento notevole o, al contrario, un peggioramento della situazione economica dei coniugi può quindi portare ad una riduzione o ad un aumento dell’assegno di mantenimento. Al riguardo la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la riduzione proporzionale dell’importo dell’assegno di mantenimento da parte del coniuge obbligato il quale abbia dimostrato che il coniuge beneficiario ha iniziato a svolgere una propria attività lavorativa (percependo, così, un proprio reddito) o che ha trovato impiego anche “in nero”.
Ma a tali principi, come nella fattispecie esaminata, possono concorrerne altri. Infatti, un criterio cui la legge attribuisce estrema rilevanza ai fini della modifica dell’assegno di mantenimento è quello delle esigenze dei figli.
Il codice civile parla al riguardo di “attuali esigenze del figlio”; secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, tale parametro deve essere valutato tenendo in considerazione il contesto socio-culturale e patrimoniale dei genitori e lo sviluppo psico-fisico dovuto al trascorrere dell’età; tali elementi, infatti, possono determinare un aumento delle esigenze dei figli.
In pratica, com’è naturale, crescendo il bambino accrescerà le proprie esigenze e ne svilupperà di nuove sia in ambito relazionale, sia in quello educativo (si pensi, ad esempio, alla frequentazione dell’università), nonché in contesti quali quello ludico (ad esempio la pratica di attività sportive).
Tali circostanze chiaramente influiscono sul mantenimento della prole, potendo richiedere un aumento dell’importo inizialmente stabilito dal giudice in favore della stessa o escluderne, come nella fattispecie, la riduzione.
Avv. Donato Bulotta