DISPOSIZIONI REGOLAMENTARI
Applicabilità agli incarichi di consulenza tecnica conferiti dall’Autorità Giudiziaria dell’art. 6 D.L. n. 79/1997 e dell’art. 58 D.Lgs. n. 29/1993 e succ. mod.
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – Direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni – Segreteria, Prot. n. 23/99/U del 4 gennaio 1999, diretta ai Presidenti delle Corti d’Appello, ai Procuratori Generali presso le Corti d’Appello e al Procuratore Nazionale Antimafia.
Pubblichiamo la presente circolare perché, nonostante sia risalente nel tempo, è tuttora d’attualità.
Da vari uffici giudiziari è stato posto il quesito se il disposto dell’art. 6 D.L. 28 marzo 1997 n. 79, conv. con la legge 28 maggio 1997 n. 140, sia applicabile anche per gli incarichi di consulenza tecnica conferiti dall’Autorità giudiziaria, ovvero sia riferito soltanto alla Pubblica Amministrazione considerata in senso stretto.
In relazione all’indicata problematica, si osserva che l’art. 6 D.L. cit. ha introdotto talune sanzioni pecuniarie a carico dei soggetti pubblici e privati che si avvalgono di prestazioni di lavoro autonomo rese dai dipendenti pubblici, in violazione dei divieti previsti dalle norme citate nel medesimo articolo.
Questa Direzione, nel rispondere al quesito formulato, aveva inizialmente, in via cautelativa, espresso il parere che l’indicato divieto riguardasse anche gli incarichi di consulenza tecnica conferiti ai pubblici dipendenti dai magistrati; ciò, nella considerazione che l’amplissima formulazione della norma — di cui all’art. 6 D.L. cit. —, la quale fa riferimento a qualsiasi soggetto pubblico o privato, non appare permettere alcuna interpretazione restrittiva in ordine ai soggetti destinatari del precetto di cui sopra.
Successivamente questa Direzione, acquisito il parere del C.S.M., che ha formulato le sue osservazioni con nota n. 152 del 15 aprile 1998, ha ritenuto di mutare l’originario assetto e conseguentemente di escludere l’applicabilità dei divieti di cui all’art. 6 D.L. cit. agli incarichi di natura giudiziaria, sulla base delle considerazioni che seguono.
Innanzitutto si osserva che il consulente tecnico d’ufficio è un «ausiliare del giudice», per cui nello svolgimento di tale funzione prevale l’aspetto del «munus» rispetto a quello dell’«attività di lavoro subordinato od autonomo», alla quale fanno riferimento le norme che regolamentano il divieto per i pubblici dipendenti di assumere incarichi senza autorizzazione (vedi art. 1, comma sessanta, L. n. 662/1996).
Del resto, ove tale divieto fosse ritenuto applicabile anche in tema di nomina di periti e consulenti, non solo si svuoterebbe effettivamente di contenuto la concreta possibilità di scelta fiduciaria da parte del giudice, prevista dai vigenti codici di rito, ma si impedirebbe al giudice, dominus del processo, di avvalersi di quelle nozioni tecniche ritenute indispensabili, individuate soltanto in quel determinato soggetto che intende nominare consulente o perito.
Si finirebbe, così, per frapporre un ingiustificato ostacolo all’accertamento della verità, ostacolo che non parrebbe incluso nella ratio che ha ispirato le varie norme disciplinanti il divieto in questione.
Infine, non si tralascia di osservare che l’interpretazione che si propone attualmente si rafforza in base al principio espresso nella sentenza della Corte Costituzionale n. 440 del 14 aprile 1988, con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 104, primo comma, della Costituzione, l’art. 9, primo comma, della legge n. 1062/1971 nella parte in cui, nel prevedere, nei procedimenti penali relativi alla contraffazione o alterazione di opere d’arte, l’obbligo di avvalersi di periti indicati dal Ministero per i beni culturali e ambientali, adopera le parole «deve avvalersi» anziché «può avvalersi».
Invero, la Corte, con la sentenza predetta, ha affermato che: «Il principio di indipendenza della magistratura, sancito dal primo comma dell’art. 104 della Costituzione con riguardo ad ogni giudice, singolo o collegiale, in stretta correlazione all’autonomia dell’ordine giudiziario, garantita dal medesimo comma, e in diretta derivazione dall’art. 101, secondo comma, della Costituzione, non può non considerarsi scalfito da una norma che condiziona ad un atto vincolante di un’autorità amministrativa l’esercizio della funzione giurisdizionale in un momento particolarmente delicato del processo, quale è quello della scelta del perito.».
Dall’inapplicabilità dell’art. 6 D.L. cit. agli incarichi giudiziari deriva anche l’inapplicabilità delle altre norme dettate in tema di attività professionale dei pubblici dipendenti.
In particolare, si fa riferimento all’art. 58, commi sei, sette, otto, nove e dieci, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dall’art. 26 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che condiziona l’espletamento di incarichi da parte dei pubblici dipendenti alla previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza.
La stessa nuova formulazione dell’art. 58 del D.Lgs. citato sottolinea l’incompatibilità attuale delle disposizioni in essa contenute rispetto alla funzione giurisdizionale.
Invero, il comma 8 dell’art. 58 citato prevede che il conferimento degli incarichi senza la previa autorizzazione «costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento», e che «il relativo provvedimento è nullo di diritto». Orbene, un provvedimento giurisdizionale non può, in alcun modo, essere dichiarato nullo in base ad una norma sull’organizzazione amministrativa e si sottrae alla figura del «responsabile del procedimento».
Gli artt. 6 e 58 cit., del resto, sembrerebbero inconciliabili anche con le nomine che, seppure non provengono dal giudice, attengono comunque alla funzione giudiziaria. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di nomina di uno stimatore da parte degli ufficiali giudiziari che eseguono un pignoramento, contemplata dall’art. 518 c.p.c., nonché alla possibilità da parte degli agenti di p.g. di avvalersi, nello svolgimento delle indagini, anche di propria iniziativa, di ausiliari aventi specifiche competenze tecniche (vedi art. 348, comma quattro, c.p.p.).
Non vi è dubbio che l’applicazione di tali norme, anche alle ipotesi dianzi indicate, potrebbe comportare, sia per la specificità e particolare competenza necessaria ad espletarli, sia per l’urgenza di effettuarli, gravi situazioni di intralcio all’attività giudiziaria.
Le Signorie Loro sono pregate di diffondere la presente circolare a tutti gli uffici giudiziari del proprio distretto.
Il Direttore Generale
Fabrizio Hinna Danesi