Massime penali della Cassazione di aprile 2014

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina – Uso di un mezzo di natura fisica, psicologica o morale, che abbia come effetto l’umiliazione del soggetto passivo – Vi rientra – Fondamento

(cod. pen.: art. 571)

— In tema di abuso di mezzi di correzione e di disciplina, di cui all’art. 571 c.p., mentre non possono ritenersi preclusi quegli atti di pressione morale che risultino adeguati alla finalità di rafforzare la proibizione di comportamenti di indisciplina gratuita o insolente idonei a minare la credibilità e l’effettività della funzione educativa, o anche quelli di coercizione fisica meramente impeditivi di condotte violente da parte del discente, integra la fattispecie criminosa in questione l’uso di un mezzo, vuoi di natura fisica, psicologica o morale, che abbia come effetto l’umiliazione del soggetto passivo, posto che l’intento educativo va esercitato in coerenza con un’evoluzione non traumatica della personalità del soggetto cui è rivolto, con la precisazione che con riguardo ai bambini il termine «correzione», presente nella dizione normativa, va inteso come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo (Sent. n. 15149, Sez. VI, del 2-4-2014).

 

Abuso d’ufficio – Fattispecie

(cod. pen.: art. 323)

— Integra il reato di abuso d’ufficio il comportamento del pubblico ufficiale volto a procurare in maniera illegittima delle assunzioni ad un pubblico impiego; il profitto o il vantaggio ingiusto di natura patrimoniale è configurato dalla stessa attribuzione della posizione impiegatizia o del relativo status (Sent. n. 15158, Sez. VI, del 2-4-2014).

 

Abuso d’ufficio – Pubblico ufficiale che procuri illegittimamente assunzioni ad un pubblico impiego – Configurabilità del reato – Ragione

(cod. pen.: art. 323)

— Sussiste il reato di abuso d’ufficio quando il pubblico ufficiale procuri illegittimamente assunzioni ad un pubblico impiego poiché è la stessa attribuzione della posizione impiegatizia o del relativo status a configurare il profitto o il vantaggio ingiusto di natura patrimoniale (Sent. n. 15158, Sez. VI, del 2-4-2014).

 

* Appello – Divieto di reformatio in peius – Fattispecie in cui non è violato

(cod. proc. pen.: art. 597 III co.; cod. pen.: art. 81 II co.)

— Non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sent. n. 16208, Sez. Unite, del 14-4-2014).

 

* Appello – Divieto di reformatio in peius – Operatività nel giudizio di rinvio – Ambito

(cod. proc. pen.: artt. 597 III co., 606, 627)

— Il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello se il ricorso per cassazione è stato proposto dall’imputato, essendo irrilevante, per il verificarsi di questi effetti, che la sentenza di primo grado sia stata appellata dal pubblico ministero (Sent. n. 16208, Sez. Unite, del 14-4-2014).

 

Appello – Giudice che pronuncia una condanna in riforma della decisione liberatoria emessa dal giudice di primo grado – Motivazione rafforzata – Necessità

(cod. proc. pen.: art. 593)

— Il giudice d’appello che pronuncia una condanna in riforma della decisione liberatoria emessa dal giudice di primo grado è tenuto a fornire una motivazione rafforzata, non solo in caso di ribaltamento totale della decisione assolutoria di primo grado, ma anche qualora ci sia un aggravamento in pejus su appello del P.M. o della parte civile con qualificazione del fatto conforme alla contestazione originaria, ma difforme da quella datane, in primo grado, in senso più favorevole per l’imputato (Sent. n. 17620, Sez. VI, del 22-4-2014).

 

Appropriazione indebita – Momento e luogo di consumazione – Individuazione – Conseguenza in tema di prescrizione del reato

(cod. pen.: artt. 157, 646)

— Il reato di appropriazione indebita si consuma nel tempo e nel luogo in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento che oggettivamente ecceda la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso e che sia incompatibile con il diritto del proprietario. Pertanto, ai fini della prescrizione del reato, è irrilevante il momento della certezza, da parte della persona offesa, dell’effettiva appropriazione del denaro o di altri beni da parte di terzi. (Fattispecie in cui l’imputata, commercialista, si era appropriata di alcune somme, destinate al pagamento di contributi previdenziali ed assistenziali di una propria cliente) (Sent. n. 17901, Sez. II, del 29-4-2014).

 

Azione civile nel processo penale – Costituzione di parte civile da parte di un minore avvenuta a mezzo dell’esercente la potestà genitoriale – Autorizzazione del giudice tutelare – Necessità – Esclusione – Fondamento

(cod. proc. pen.: artt. 76, 77)

— La costituzione di parte civile da parte di un minore, avvenuta a mezzo dell’esercente la potestà genitoriale, non richiede l’autorizzazione del giudice tutelare, trattandosi di atto non eccedente l’ordinaria amministrazione (Sent. n. 18266, Sez. VI, del 30-4-2014).

 

Circolazione stradale – Cambiamento di direzione o di corsia o altre manovre – Manovra di conversione di un veicolo, sia sulla destra, sia, ancora di più, sulla sinistra, per uscire dalla sede stradale – Effettuazione – Criterio di necessità

(cod. strad.: artt. 140, 154)

— In tema di circolazione stradale, la manovra di conversione di un veicolo, sia sulla destra, sia, ancora di più, sulla sinistra, per uscire dalla sede stradale deve essere effettuata solo se si abbia la certezza di poter completare la manovra stessa senza pericolo per gli altri utenti della strada, lasciando libero così nel più breve tempo possibile lo scorrimento del normale flusso di circolazione. In particolare, il conducente di un veicolo, quando intende cambiare direzione di marcia, non ha soltanto l’obbligo di segnalare il cambio di direzione ma anche quello di accertarsi, attraverso lo specchio retrovisivo, prima di iniziare la manovra, se la stessa possa creare pericoli di collisione con altri veicoli (Sent. n. 16074, Sez. IV, dell’11-4-2014).

 

Detenzione illecita di sostanze stupefacenti – Favoreggiamento – Configurabilità – Esclusione – Fondamento

(D.P.R. 309/1990: art. 73; cod. pen.: artt. 110, 378, 379)

— In tema di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, il reato di favoreggiamento non è configurabile in costanza di detta detenzione, perché nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata si risolve, salvo che non sia diversamente previsto, in un concorso nel reato quanto meno a carattere morale (Sent. n. 15467, Sez. III, del 7-4-2014).

 

Dibattimento – Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza – Art. 521 cod. proc. pen. – Violazione – Quando importa nullità della sentenza

(cod. proc. pen.: art. 521; Cost.: art. 24 II co.)

— La violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. importa nullità della sentenza solo ove sia stato leso il diritto di difesa; di talché il ricorso che miri a veder annullata la sentenza impugnata in ragione di quella violazione deve esplicare in quale guisa si sia realizzata la menzionata lesione del diritto di difesa, pena la specificità del ricorso (Sent. n. 15492, Sez. IV, del 7-4-2014).

 

Dibattimento – Nuove contestazioni – Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza – Valutazione – Criteri di necessità

(cod. proc. pen.: art. 521)

— Ai fini della valutazione della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, il giudice deve tener conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo tale che questo abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione. Il vigore di tale principio è tuttavia da arrestarsi laddove il giudice abbia posto a fondamento della propria decisione la sussistenza di un fatto completamente diverso ed eterogeneo rispetto al fatto descritto nell’imputazione, con la radicale immutazione della stessa nei suoi elementi essenziali, dovendo inevitabilmente ritenersi sussistente la violazione de qua quando nei fatti non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità (Sent. n. 15044, Sez. IV, dell’1-4-2014).

 

Diffamazione a mezzo stampa – Dolo specifico – Necessità – Esclusione – Fattispecie in tema di diffamazione a mezzo social network

(cod. pen.: art. 595 III co.)

— Il reato di diffamazione a mezzo stampa non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due. Ai fini di detta valutazione non può non tenersi conto dell’utilizzazione del social network, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti alla Guardia di finanza, né la circostanza che in concreto la frase sia stata letta soltanto da una persona (Sent. n. 16712, Sez. I, del 16-4-2014).

 

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone – Configurabilità – Criterio di necessità

(cod. pen.: art. 659 I co.)

— Ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 659, comma 1, c.p., trattandosi di reato di pericolo presunto, pur non essendo necessaria la prova dell’effettivo disturbo di più persone, occorre la sussistenza dell’idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di persone (Sent. n. 17725, Sez. I, del 24-4-2014).

 

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone – Elemento essenziale – Individuazione

(cod. pen.: art. 659)

— La contravvenzione prevista dall’art. 659 cod. pen. persegue la finalità di preservare la quiete e la tranquillità pubblica e i correlativi diritti delle persone all’occupazione e al riposo, e la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di ritenere elemento essenziale di detto reato l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone (Sent. n. 16678, Sez. III, del 16-4-2014).

— Elemento essenziale del reato di cui all’art. 659 c.p., che tutela il bene della quiete e della tranquillità pubblica, è l’idoneità della condotta dell’agente ad arrecare disturbo a un numero indeterminato di persone, sicché i rumori devono avere una diffusività tale che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo a essere risentito da una platea indeterminata di soggetti (pur se concretamente solo taluno se ne lamenti) (Sent. n. 17594, Sez. I, del 22-4-2014).

 

Eccesso colposo – Caso in cui è escluso

(cod. pen.: art. 55)

— La norma di cui all’art. 55 cod. pen. non può trovare applicazione se la scriminante invocata non sussiste; in effetti, non può essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 cod. pen. in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti (Sent. n. 15742, Sez. I, dell’8-4-2014).

 

Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere – Configurabilità – Diritto di difesa – Ambito

(cod. pen.: art. 51)

— Ai fini della configurabilità delle esimenti di cui all’art. 51 c.p., il diritto di difesa comporta la non assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un’autoincriminazione, ma non anche la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva e cioè, in altri termini, il diritto di difesa non comprende anche il diritto di arrecare offese ulteriori (Sent. n. 17064, Sez. V, del 17-4-2014).

 

Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico – Quando sussiste

(cod. pen.: art. 483)

— Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) sussiste solo qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (Sent. n. 18279, Sez. V, del 30-4-2014).

 

Falsità ideologica o materiale in atti – Falso innocuo – Quando ricorre

(cod. pen.: artt. 476 e segg.)

— In tema di falsità documentali, ricorre il cosiddetto «falso innocuo» nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto, non esplicando effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati, con la conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto (Sent. n. 15653, Sez. V, del 7-4-2014).

 

Furto che abbia ad oggetto beni solo temporaneamente od occasionalmente lasciati all’interno di un’autovettura – Circostanza aggravante del fatto commesso su cose esposte alla pubblica fede – Criterio di necessità

(cod. pen.: artt. 624, 625 I co. n. 7)

— In tema di furto che abbia ad oggetto dei beni solo temporaneamente od occasionalmente lasciati all’interno di un’autovettura, per la sussistenza dell’aggravante di esposizione alla pubblica fede a norma dell’art. 625, n. 7, c.p., deve ricorrere una situazione contingente di necessità, tale da indurre il possessore a confidare nella «buona fede» dei consociati e nel rispetto della cosa altrui che dagli stessi è lecito pretendere, tenendo altresì conto che il concetto di «necessità» va inteso in senso relativo e non assoluto e comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza (Sent. n. 15386, Sez. V, del 3-4-2014).

 

Furto con strappo e rapina – Rispettivi elementi oggettivi

(cod. pen.: artt. 624 bis II co., 628; L. 128/2001: art. 2 II co.)

— Rispetto alla linea di discrimine fra il furto con strappo e la rapina, integra il reato di furto con strappo la condotta di violenza immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, mentre ricorre il delitto di rapina quando la res sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non solo superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra il possessore e la cosa sottratta (Sent. n. 17348, Sez. II, del 18-4-2014).

 

Furto e appropriazione indebita – Elementi distintivi

(cod. pen.: artt. 624, 646)

— I confini tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita sono stabiliti in base all’estensione della detenzione: il possesso a qualsiasi titolo implica un potere di fatto sulla cosa, che comprende non tanto la mera esistenza della cosa nelle mani dell’agente, quanto almeno qualche facoltà di disporre della cosa stessa. Se l’agente non ha alcuna facoltà idonea ad esercitare il possesso, deve ravvisarsi il delitto di furto e non di appropriazione indebita (Sent. n. 17957, Sez. V, del 29-4-2014).

Il presupposto del delitto di appropriazione indebita è costituito da un preesistente possesso della cosa altrui da parte dell’agente, cioè da una situazione di fatto che si concretizzi nell’esercizio di un potere autonomo sulla cosa, al di fuori dei poteri di vigilanza e di custodia che spettano giuridicamente al proprietario. Laddove, invece, sussista un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento temporaneo e condizionato, che non attribuisca all’agente alcun potere di autonoma disponibilità sulla cosa medesima, si versa nell’ipotesi di furto e non in quella di appropriazione indebita (Sent. n. 17957, Sez. V, del 29-4-2014).

 

Guida sotto l’influenza dell’alcool – Circostanza aggravante ex art. 186 II co. bis cod. strad. – Incidente stradale – Nozione

(cod. strad.: art. 186 II co. bis)

— In tema di incidente stradale posto in essere da un soggetto in stato di ebbrezza e ai fini dell’aggravante di cui all’art. 186, comma 2 bis, cod. strad., nella nozione di incidente stradale sono da ricomprendersi, tanto l’urto del veicolo contro un ostacolo, quanto la sua fuoriuscita dalla sede stradale; a tal fine, non sono, invece, previsti né i danni alle persone né i danni alle cose, con la conseguenza che è sufficiente qualsiasi, purché significativa, turbativa del traffico, potenzialmente idonea a determinare danni (Sent. n. 15050, Sez. IV, dell’1-4-2014).

 

Indagini preliminari – Chiusura – Richiesta di archiviazione – Opposizione – Dichiarazione de plano, da parte del G.I.P., di inammissibilità – Valutazione di merito di infondatezza della notizia di reato quale svolta dal G.I.P. – Sindacato del giudice di legittimità – Esclusione – Fondamento

(cod. proc. pen.: artt. 409 VI co., 410, 606)

— In tema di opposizione alla richiesta di archiviazione, qualora il G.I.P. abbia dichiarato de plano l’inammissibilità dell’opposizione della persona offesa, motivandola, come nella specie, sotto entrambi i profili richiesti dall’art. 410 c.p.p., il giudice di legittimità non può sindacare la valutazione di merito di infondatezza della notizia di reato quale svolta dal giudice delle indagini preliminari. Infatti, il provvedimento di archiviazione, ordinanza o decreto, è per sua natura inoppugnabile (art. 409, comma 6, c.p.p.), quale che sia il procedimento a conclusione del quale viene emesso, neppure dalla parte offesa che ha esercitato la facoltà di proporre opposizione alla richiesta del P.M., salvo, in quest’ultimo caso, il ricorso in cassazione per violazione del contraddittorio (Sent. n. 17968, Sez. V, del 29-4-2014).

 

Ingiuria – Espressione lesiva – Criterio di riferimento

(cod. pen.: art. 594)

— Al fine di accertare se l’espressione utilizzata sia idonea a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 594 cod. pen., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata ed alla coscienza sociale (Sent. n. 15710, Sez. V, dell’8-4-2014).

 

Insolvenza fraudolenta del debitore che si sottragga al pagamento dell’obbligazione ricorrendo ad atteggiamenti minacciosi o violenti – Non può mai progredire nella fattispecie della rapina impropria

(cod. pen.: artt. 628 II co., 641)

— La condotta prevista dall’art. 641 c.p., che punisce il fatto di chiunque, dissimulando il proprio stato d’insolvenza, contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla, nell’ipotesi in cui il debitore insolvente si sottragga al pagamento dell’obbligazione ricorrendo ad atteggiamenti minacciosi o violenti, non può mai progredire nella fattispecie della rapina impropria, prevista dall’art. 628, comma 2, c.p. In tali circostanze con il reato di insolvenza fraudolenta concorrono gli autonomi reati corrispondenti ai comportamenti minacciosi o violenti posti in essere dall’agente (Sent. n. 18039, Sez. II, del 30-4-2014).

 

Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Divieto di utilizzazione in altri procedimenti – Nozione di «diverso procedimento» ex art. 270 I co. cod. proc. pen.

(cod. proc. pen.: art. 270 I co.)

— Il concetto di «diverso procedimento», enucleabile dal divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270, comma 1, c.p.p., non si estende fino ad escludere la possibilità di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti concernenti indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto, ma va collegato — ove non si voglia neutralizzare quel divieto trasformandolo in un precetto facilmente eludibile — al dato dell’alterità o non uguaglianza del procedimento. Ricomprendere, nell’ambito del concetto di «diverso procedimento» menzionato dall’art. 270 c.p.p., la connessione o il collegamento probatorio dei procedimenti, nel senso ampio inteso dal ricorrente, comporterebbe, infatti, la sostanziale elusione del divieto in detta disposizione sancito dal legislatore (Sent. n. 15652, Sez. V, del 7-4-2014).

 

Lesioni personali volontarie cagionate in occasione di un furto con strappo

(cod. pen.: artt. 582, 624 bis II co.)

— In tema di delitto di lesioni personali volontarie cagionate in occasione di un furto con strappo, la volontaria applicazione della violenza fisica ad una persona, indipendentemente dalla forma in cui viene esercitata — nel caso in esame, con uno strattone connesso allo strappo della borsetta in danno di persona di età avanzata e quindi all’evidenza in condizioni di precario equilibrio —, integra certamente il reato di cui all’art. 582 c.p. ogniqualvolta produca l’effetto di cagionare una lesione (Sent. n. 15022, Sez. IV, dell’1-4-2014).

 

Minaccia – Configurabilità – Criterio di sufficienza

(cod. pen.: art. 612)

— L’integrazione del reato di minaccia richiede che si abbia una limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima nella persona o nel patrimonio, mentre non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente nella vittima, bastando — poiché si tratta di reato di pericolo — la sola attitudine ad intimorire, quando il male ingiusto può essere dedotto dalla situazione contingente (Sent. n. 15710, Sez. V, dell’8-4-2014).

 

Misure cautelari personali – Custodia cautelare in carcere – Limitazioni ex art. 275 IV co. cod. proc. pen. – Ratio

(cod. proc. pen.: art. 275 IV co.; L. 332/1995: art. 5 II co.)

— In tema di provvedimenti coercitivi, la ratio della limitazione al potere del giudice di scegliere la misura cautelare personale, introdotta dall’art. 5 della L. 8 agosto 1995, n. 332, che ha modificato l’art. 275, comma 4, c.p.p., secondo cui non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo casi eccezionali, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, va individuata nell’avvertita esigenza di garantire ai figli l’assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e, soprattutto, psichica, qual è quello fino ai tre anni; con il superamento di tale limite di età può, infatti, considerarsi concluso il primo e più importante ciclo formativo ed aperto uno nuovo, nel quale le esigenze della prole possono essere soddisfatte da un qualsiasi altro congiunto e, all’occorrenza, dai pubblici istituti a ciò deputati. Non è pertanto consentito interpretare estensivamente la norma fino a ricomprendere nel divieto ivi previsto ulteriori ipotesi, non espressamente contemplate, in cui si deduca la necessità, da parte dell’indagato, di prestare assistenza a familiari diversi da quelli indicati nella disposizione predetta (Sent. n. 16288, Sez. I, del 14-4-2014).

 

Misure cautelari personali – Gravi indizi di colpevolezza – Accertamento della Corte di cassazione – Oggetto

(cod. proc. pen.: artt. 273, 606 I co. lett. e)

— In merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sent. n. 15968, Sez. III, del 10-4-2014).

 

Molestia o disturbo alle persone – Fattispecie

(cod. pen.: art. 660)

— La condotta di tallonare insistentemente l’auto della parte lesa e di circondarla al momento in cui si era fermata realizza «molestia», arrecando turbamento alla persona offesa a causa della prevaricazione dell’agente (Sent. n. 18117, Sez. I, del 30-4-2014).

 

Omicidio – Dolo – Accertamento – Criteri di necessità

(cod. pen.: artt. 42, 43, 575)

— Per accertare il dolo del delitto di cui all’art. 575 c.p., l’individuazione del processo volitivo, normalmente del tutto intimo, e della direzione della volontà che ne costituisce il risultato, non può che essere effettuata attraverso la normale indagine probatoria, e cioè un accertamento dall’esterno che non può prescindere dagli elementi di natura oggettiva concernenti la materialità dell’azione, quali la parte del corpo attinta e la micidialità dell’arma. L’utilizzazione di tali elementi, estrinseci all’azione criminosa, non esclude, però, quella, concomitante e sussidiaria, di altri elementi come la causale dell’azione stessa, i rapporti antecedenti tra l’autore della condotta lesiva e la vittima, il comportamento antecedente ovvero contemporaneo dei protagonisti, in modo che la valutazione della correlazione tra tali elementi e quelli concernenti la materialità dell’azione possa fornire al giudice la dimostrazione esauriente della sussistenza della voluntas necandi ovvero della sua esclusione (Sent. n. 18131, Sez. I, del 30-4-2014).

In tema di omicidio volontario, in relazione alla valutazione circa la sussistenza o meno dell’animus necandi, la prova del dolo omicidiario è prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi, nonché tutti quegli elementi che, secondo l’id quod plerumque accidit, abbiano un valore sintomatico (Sent. n. 18131, Sez. I, del 30-4-2014).

 

Possesso di documenti di identificazione falsi ed uso di atto falso – Elementi distintivi

(cod. pen.: artt. 489, 497 bis I co.)

— Il delitto di possesso di documenti di identificazione falsi (art. 497 bis, comma 1, c.p.) si distingue da quello di uso di atto falso (art. 489 c.p.) in quanto, da un lato, sul piano strutturale, esso prescinde dall’esclusione di qualsiasi forma di concorso nella formazione dell’atto falso, dall’altro, con riguardo al bene protetto, tutela, non la genuinità del documento in sé, ma l’affidabilità dell’identificazione personale (Sent. n. 17944, Sez. V, del 29-4-2014).

 

Possesso di documenti di identificazione falsi – Elemento oggettivo – Criterio di sufficienza

(cod. pen.: art. 497 bis I co.)

— L’elemento materiale del delitto di cui all’art. 497 bis, comma 1, c.p., rappresentato dal fatto che l’agente sia in possesso di un documento falso valido per l’espatrio, non va inteso nel senso che l’agente deve essere colto «in flagranza» di detto possesso, bensì nel senso che egli abbia (o abbia certamente avuto) la disponibilità del documento e, con essa, la possibilità di un suo eventuale utilizzo; pertanto, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario un rapporto, attuale e costante, di contiguità fisica della persona col documento, ma è sufficiente che egli lo detenga in un luogo e con modalità tali da assicurarsene l’immediata disponibilità, ovvero lo abbia certamente detenuto, anche in un momento precedente all’accertamento da parte della polizia giudiziaria (Sent. n. 17944, Sez. V, del 29-4-2014).

 

Reati colposi – Comportamento imprudente della vittima – Quando esclude il nesso di causalità

(cod. pen.: artt. 41, 42, 43)

— Nei reati colposi, perché una condotta concomitante a quella dell’imputato, consistente nel comportamento imprudente della vittima, possa escludere il rapporto di causalità, è necessario che essa sia del tutto slegata dalla condotta dell’imputato, trovandosi del tutto al di fuori dello sviluppo causale da questi innescato, tanto che l’evento che si verifica si presenti come assolutamente eccezionale e da attribuire esclusivamente all’azione della vittima. (Nella specie, la Corte ha sottolineato che l’immissione, da parte della vittima, nella pubblica via di un veicolo proveniente da un luogo privato, anche se ipoteticamente tacciabile di imprudenza, restava, comunque, un evento prevedibile della circolazione stradale) (Sent. n. 17803, Sez. IV, del 28-4-2014).

 

Reati colposi – Condotta concomitante a quella dell’imputato, consistente nel comportamento imprudente della vittima, che possa escludere il rapporto di causalità – Criterio di necessità

(cod. pen.: artt. 40, 41, 42, 43)

— Nei reati colposi, perché una condotta concomitante a quella dell’imputato, consistente nel comportamento imprudente della vittima, possa escludere il rapporto di causalità, è necessario che essa sia del tutto slegata dalla condotta dell’imputato, trovandosi del tutto al di fuori dello sviluppo causale da questi innescato, tanto che l’evento che si verifica si presenti come assolutamente eccezionale e da attribuire esclusivamente all’azione della vittima (Sent. n. 17803, Sez. IV, del 28-4-2014).

 

Reato – Adempimento di un dovere ed errore ex art. 59 cod. pen. – Ipotesi in cui sono esclusi

(cod. pen.: artt. 51, 59)

— La circostanza di avere chiaramente travalicato i limiti del proprio mandato e quelli della legittimità della comunicazione esclude la sussistenza della scriminante dell’adempimento di un dovere e dell’errore ai sensi dell’art. 59 cod. pen. (Sent. n. 15377, Sez. V, del 3-4-2014).

 

Reato – Circostanze attenuanti comuni – Ravvedimento attivo – Applicabilità al reato di omicidio – Esclusione – Fondamento

(cod. pen.: artt. 62 n. 6, 575)

— La circostanza attenuante del ravvedimento attivo (art. 62, n. 6, c.p.) non può essere applicata in riferimento a reati, come l’omicidio, che determinino l’irreversibile distruzione del bene giuridico protetto (Sent. n. 15745, Sez. I, dell’8-4-2014).

 

Reato posto in essere da un minore – Tenuità del fatto – Criterio di necessità

(D.P.R. 448/1988: art. 27)

— In tema di reato posto in essere da un minore, al fine di considerare un fatto (nella specie, il furto di biciclette) come tenue, è necessario che lo stesso venga valutato globalmente, prendendo in esame una serie di parametri come la natura del reato e la pena edittale, l’allarme sociale provocato, la capacità a delinquere, le ragioni che hanno spinto il minorenne a compiere il reato e le modalità con le quali è stato eseguito (Sent. n. 16108, Sez. IV, dell’11-4-2014).

 

Reato – Tentativo – Recesso attivo – Nozione

(cod. pen.: art. 56 IV co.)

— Si ha recesso attivo quando, ad attività criminosa compiuta, e mentre è in svolgimento l’ormai autonomo processo naturale (che è in rapporto necessario di causa ed effetto tra una determinata condotta ed un determinato effetto cui la prima mette capo), l’agente si riattiva, interrompendo tale processo, così da impedire il verificarsi dell’evento. (Nella specie, l’imputato, immediatamente dopo aver colpito la vittima cagionandole gravissime lesioni, si era adoperato per soccorrerla, per un verso frenando l’emorragia dalle ferite con un asciugamano bagnato d’acqua avvolto attorno al capo e, per altro verso, altrettanto immediatamente adoperandosi per consentire il pronto intervento dei sanitari e di un’ambulanza. Tale condotta aveva consentito il ricovero della vittima in ospedale e l’intervento chirurgico in tempi estremamente ravvicinati rispetto all’insorgenza delle patologie cagionate, dovendo, pertanto, essere presa in considerazione dai giudici del merito per stabilire la sussistenza degli estremi della diminuente di cui all’art. 56, comma 4, c.p.) (Sent. n. 16274, Sez. I, del 14-4-2014).

 

Riciclaggio – Elementi caratterizzanti

(cod. pen.: art. 648 bis)

— Integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. Pur essendo a forma libera, questa fattispecie richiede, in ogni caso, che la condotta sia caratterizzata da un tipico effetto dissimulatorio, avendo l’obiettivo di ostacolare l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del denaro (Sent. n. 16153, Sez. VI, dell’11-4-2014).

 

Ricorso per cassazione – Casi – Vizio di motivazione – Controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori – È estraneo al giudizio di legittimità – Fondamento normativo

(cod. proc. pen.: art. 606 I co. lett. e)

— È estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori; l’art. 606, lett. e), c.p.p., quando esige che il vizio della motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, si limita infatti a fornire solo una corretta definizione del controllo di legittimità sul vizio di motivazione (Sent. n. 15846, Sez. I, del 9-4-2014).

 

Ricorso per cassazione – Casi – Vizio di travisamento della prova nell’ipotesi di «doppia pronuncia conforme» – Quando può essere rilevato

(cod. proc. pen.: art. 606 I co. lett. c, d, e)

— In tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi ad una «doppia pronuncia conforme» e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sent. n. 16397, Sez. V, del 15-4-2014).

Il vizio di travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, può essere dedotto solo nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di «doppia pronuncia conforme» il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sent. n. 16397, Sez. V, del 15-4-2014).

 

Riparazione per l’ingiusta detenzione – Perdita di libertà che, pur limitata nel tempo, abbia avuto effetti devastanti e conseguenze personali e familiari che abbiano assunto rilievo preponderante Giudizio relativo – Prevalenza del criterio equitativo – Fondamento

(cod. proc. pen.: art. 314)

— In tema di giudizio di riparazione per ingiusta detenzione, qualora la perdita di libertà, pur limitata nel tempo, abbia avuto effetti devastanti e le conseguenze personali e familiari abbiano assunto rilievo preponderante, dovrà darsi prevalenza al criterio equitativo e non al solo criterio nummario; il criterio aritmetico individuato dalla giurisprudenza di legittimità costituisce solo una base utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva discrezionalità del giudice e garantire una tendenziale uniformità di giudizi; tale criterio, pertanto, può subire variazioni in aumento o in diminuzione in ragione di specifiche circostanze che devono essere prese in esame per adattare la liquidazione al caso concreto (Sent. n. 17843, Sez. IV, del 28-4-2014).

 

Sentenza di non luogo a procedere – Valutazioni del giudice – Ambito

(cod. proc. pen.: art. 425 III co.)

— Il giudice dell’udienza preliminare, nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, a norma dell’art. 425, comma 3, c.p.p., deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell’imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate (Sent. n. 15158, Sez. VI, del 2-4-2014).

 

Sequestro preventivo – Appello – Questioni che possono essere dedotte – Individuazione

(cod. proc. pen.: artt. 321, 322 bis)

— Nel giudizio di appello proposto contro un sequestro preventivo, possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell’imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura, mentre il riscontro del fumus delicti è riservato alla fase del riesame. Ne consegue l’inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni previste dall’art. 321 c.p.p. (Sent. n. 16431, Sez. III, del 15-4-2014).

 

Sottrazione di persone incapaci e sequestro di persona – Concorso – Possibilità – Fondamento

(cod. pen.: artt. 574, 605)

— Il fatto di avere sottratto un minore alla persona esercente la potestà genitoriale integra il delitto di cui all’art. 574 c.p., ma ciò non esclude affatto che ricorra anche il delitto di sequestro di persona, poiché le due norme non sono tra loro alternative, né l’una assorbe l’altra e possono quindi concorrere, perché le due fattispecie, sotto il profilo strutturale, sono diverse, con riferimento alla condotta ed all’oggetto materiale: nella prima, la sottrazione del minore o dell’infermo di mente al genitore, al tutore, al curatore o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia; nel sequestro di persona, la privazione della libertà personale della vittima (Sent. n. 15366, Sez. V, del 3-4-2014).

 

Violazione continuata degli obblighi di assistenza familiare dovuta a mancato versamento dell’assegno di mantenimento – Incapacità economica – Deve essere «assoluta»

(cod. pen.: artt. 81 II co., 570)

— In tema di violazione continuata degli obblighi di assistenza familiare dovuta a mancato versamento dell’assegno di mantenimento, l’incapacità economica, intesa come impossibilità dell’obbligato di fare fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p., deve essere «assoluta», nel senso di estendersi a tutto il periodo dell’inadempimento, e deve altresì concretizzarsi in una persistente, oggettiva ed incolpevole situazione di indisponibilità di introiti. Inoltre tale condizione non momentanea deve essere documentata con rigore da chi la prospetta in termini di forza maggiore o comunque essere oggetto di precisa e circostanziata allegazione (Sent. n. 16450, Sez. VI, del 15-4-2014).

 

Violazione degli obblighi di assistenza familiare – Fattispecie

(cod. pen.: art. 570)

— Integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore separato che non adempie agli obblighi di versamento imposti dal giudice civile in favore dei figli minori, essendo escluso ogni accertamento in sede penale sull’effettiva capacità proporzionale di ciascun coniuge di concorrere al soddisfacimento dei bisogni dei minori, e spettando al solo giudice civile tale verifica, in quanto la disposizione incriminatrice si limita a sanzionare la condotta di inadempimento (Sent. n. 17691, Sez. VI, del 23-4-2014).

 

Violazione degli obblighi di assistenza familiare – Nozione penalistica di «mezzi di sussistenza» – Ambito

(cod. pen.: art. 570)

— In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella nozione penalistica di «mezzi di sussistenza» debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche ed al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori; mezzi di trasporto; mezzi di comunicazione) (Sent. n. 17691, Sez. VI, del 23-4-2014).

 

Violazione degli obblighi di assistenza familiare – Soggetto obbligato in sede di separazione legale dei coniugi – Non ha la facoltà di sostituire, di sua iniziativa, la somma di denaro stabilita dal giudice civile a titolo di contributo per il mantenimento della prole con «cose» o «beni»

(cod. pen.: art. 570)

— Ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il soggetto obbligato in sede di separazione legale dei coniugi non ha la facoltà di sostituire, di sua iniziativa, la somma di denaro stabilita dal giudice civile a titolo di contributo per il mantenimento della prole con «cose» o «beni» che, secondo una sua scelta arbitraria, meglio corrispondano alle esigenze del minore beneficiario, quali computer o capi di abbigliamento (Sent. n. 17691, Sez. VI, del 23-4-2014).

 

Violenza sessuale commessa sul minore dal genitore o da persona che ne abbia l’affidamento – Diminuente del caso di «minore gravità» – Applicabilità – Criteri di necessità

(cod. pen.: art. 609 bis III co.)

— La diminuente del caso di «minore gravità» non è astrattamente incompatibile con il reato di violenza sessuale commesso sul minore dal genitore o da persona che ne abbia l’affidamento, dovendo comunque essere valutati in concreto l’impatto emotivo sulla vittima e le conseguenze sul suo sviluppo psico-fisico, le modalità dei fatti, la loro durata nel tempo e l’invasività nella sfera sessuale della vittima (Sent. n. 15504, Sez. IV, del 7-4-2014).

 

Violenza sessuale – Concorso di persone nel reato – Configurabilità – Concorso morale con l’autore materiale della condotta criminosa – Criterio di necessità

(cod. pen.: artt. 110, 609 bis, 609 octies)

— Il concorso di persone nel reato di violenza sessuale è configurabile solo nella forma del concorso morale con l’autore materiale della condotta criminosa ove il concorrente non sia presente sul luogo del delitto, configurandosi diversamente il reato di violenza sessuale di gruppo (Sent. n. 17004, Sez. III, del 17-4-2014).

 

Violenza sessuale di gruppo – Partecipazione – Nozione

(cod. pen.: art. 609 octies)

— La «partecipazione» al reato di violenza sessuale di gruppo non è limitata al compimento, da parte del singolo, di un’attività tipica di violenza sessuale, ma ricomprende qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero «spettatore», sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva (Sent. n. 17004, Sez. III, del 17-4-2014).