L’affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione
Il tema del legittimo affidamento di un privato nei confronti dell’azione, posta in essere da parte della Pubblica Amministrazione, ha subito un’evidente evoluzione all’interno del nostro ordinamento, grazie alla fondamentale opera della giurisprudenza sovranazionale.
Capire se il privato possa o meno fare affidamento sull’azione della P.A. è di fondamentale importanza, soprattutto ai fini risarcitori, nel caso in cui tale affidamento venga deluso.
Il principio del legittimo affidamento rappresenta l’interesse alla tutela di chi confida in una certa situazione che si è definita nella realtà giuridica. Affinché tale condizione possa ottenere tutela è necessario che origini dall’atteggiamento altrui.
Si tratta di una tematica che trova punti di contatto con quella, da sempre discussa in giurisprudenza, dell’apparenza del diritto. In altri termini, spesso si pone il problema di capire se si possa accordare tutela a chi fa affidamento su una situazione che appare conforme al diritto ma che, tuttavia, non lo è.
Non qualsiasi affidamento, infatti, si può definire legittimo: perché ciò avvenga è necessario che siano cumulativamente presenti tre elementi.
Il primo è di natura oggettiva, e consiste nel vantaggio che il terzo consegue dalla situazione giuridica apparente: tale vantaggio deve essere chiaro ed univoco, e va esercitato attraverso un comportamento attivo.
In secondo luogo, occorre che il privato pretenda di difendere un’utilità ottenuta in buona fede: questo perché l’ordinamento non può accordare tutela ad una situazione giuridica vantaggiosa conseguita, però, attraverso comportamenti fraudolenti o ingannevoli.
Infine, affinché l’affidamento possa essere tutelato, è necessario che questo si sia consolidato nel tempo, ovvero che l’utilità sia stata conservata per un orizzonte temporale talmente lungo da convincere il beneficiario della sua stabilità.
Il tema del legittimo affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione pone la necessità di contemperare due interessi spesso contrapposti. Da una parte, quello del privato, che vuole mantenere quel vantaggio che l’azione amministrativa gli ha garantito; dall’altra parte, quello vantato dalla stessa P.A. alla realizzazione dei principi di buon andamento ed imparzialità, a cui deve essere ispirata l’azione amministrativa in base all’articolo 97 della Costituzione.
In tale tematica, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla giurisprudenza sovranazionale, tanto che oggi il principio del legittimo affidamento, pur non essendo espressamente contemplato nei trattati dell’Unione Europea, viene ritenuto un principio cardine del diritto europeo; in ciò è risultata decisiva l’opera della Corte di Giustizia (tra le altre, Corte di Giustizia, sentenza 3 Maggio 1978, causa C -12/77) che, ispirata soprattutto dall’elaborazione della giurisprudenza tedesca, ormai afferma pacificamente che il principio della tutela dell’affidamento costituisce jus receptum a livello sovranazionale.
Nel nostro ordinamento il legittimo affidamento trova origine nella clausola generale di buona fede. La buona fede è un dovere che impone a qualunque individuo l’obbligo di comportarsi lealmente nel compimento di atti giuridicamente rilevanti, in modo da tutelare la posizione del soggetto con cui si entra in contatto.
Il codice civile richiama più volte il principio di buona fede: lo fa nell’articolo 1375 con riferimento ai contratti; nell’articolo 1337 in tema di responsabilità pre-contrattuale; nell’articolo 1175 nell’ambito dei doveri di comportamento delle parti nei rapporti obbligatori.
Inoltre, secondo la tesi prevalente, il principio di buona fede troverebbe copertura costituzionale nell’articolo 2 della Carta fondamentale, nella parte in cui stabilisce che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
La necessità di tutelare l’affidamento ingenerato dalla propria condotta, costituisce una delle più importanti applicazioni del principio di buona fede: ne consegue, pertanto, che il legittimo affidamento non necessita di copertura legislativa espressa, proprio perché è espressione di uno dei principi più importanti riconosciuti nel nostro ordinamento.
Una tale conclusione non è, però, sempre stata così pacifica all’interno del settore amministrativo. Anzi, la tesi prevalente negava con forza la possibilità che il privato potesse vantare un legittimo affidamento nei confronti dell’azione amministrativa che, se disatteso, potesse garantirgli tutela risarcitoria.
La ragione principale che conduceva alla negazione del legittimo affidamento del privato, era la posizione assolutamente sovraordinata della pubblica amministrazione rispetto al privato stesso.
Si riteneva, infatti, che la Pubblica Amministrazione potesse agire esclusivamente attraverso la spendita di poteri pubblicistici, il cui esercizio in alcun modo poteva giustificare un legittimo affidamento del privato. Questo perché il rapporto di fiducia, posto alla base del legittimo affidamento, non può dirsi integrato quando il vantaggio è conseguito dal privato in seguito all’esercizio di un potere autoritativo da parte della pubblica amministrazione.
Inoltre, sotto il profilo della giurisdizione, si faceva fatica ad ammettere un sindacato del Giudice Ordinario sulla discrezionalità degli atti posti in essere dalla Pubblica Amministrazione.
Successivamente queste critiche vennero superate nel momento in cui si ammise che la Pubblica Amministrazione potesse utilizzare anche strumenti di natura privatistica.
Quando la pubblica amministrazione agisce iure privatorum, infatti, si spoglia della discrezionalità che contraddistingue la sua azione, e si pone allo stesso livello del privato con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della responsabilità.
Pertanto, oggi, è possibile affermare che il privato può vantare una posizione giuridicamente tutelata di affidamento anche nei confronti dell’azione amministrativa. Tale principio merita sicuramente protezione in uno Stato di diritto, qual è il nostro, in cui al cittadino deve essere garantita la possibilità di porre la sua fiducia nel perdurare di un determinato assetto giuridico vantaggioso prodotto dalla P.A..
Dopo aver messo in evidenza l’evoluzione giurisprudenziale che ha portato ad ammettere pacificamente la tutela del legittimo affidamento nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, occorre adesso soffermarsi sugli elementi che devono essere presenti affinché possa essere assicurato il risarcimento.
In primo luogo, occorre che l’affidamento sia sorto in presenza di un atto favorevole per il destinatario, in quanto, di fronte ad un atto sfavorevole, il privato può solo vantare il diritto di agire in sede giurisdizionale per la sua rimozione. Ciò che è fondamentale sottolineare, è il fatto che il legittimo affidamento prescinde dalla legittimità o meno dell’azione amministrativa: in altri termini, il privato ha diritto al risarcimento del danno subito anche se, per ipotesi, il provvedimento amministrativo favorevole fosse fin dall’origine illegittimo perché contrastante con il paradigma normativo previsto dalla legge.
La ratio che giustifica il risarcimento si riscontra nel fatto che il privato vede tradita la fiducia riposta nella situazione giuridica formatasi successivamente all’azione della P.A. e consolidata nel tempo, indipendentemente da ogni giudizio relativo alla legittimità del provvedimento.
Il secondo elemento che deve essere presente è quello soggettivo, ovvero la buona fede del privato: questo significa che la tutela del legittimo affidamento non è assoluta, e non opera quando l’affidamento è riconducibile ad una condotta negligente, imprudente o, addirittura, fraudolenta del cittadino o dell’operatore economico che entra in contatto con la P.A.
Ciò significa che, se la situazione di vantaggio è conseguita dal privato attraverso l’utilizzo di dichiarazioni false o mendaci oppure per il tramite di comportamenti posti in essere in malafede, non si può formare quell’affidamento legittimo che giustifica il risarcimento del danno subito dal privato in seguito alla rimozione del provvedimento da parte della P.A.
Infine, l’ultimo tratto distintivo che rende l’affidamento stabile, è quello cronologico. L’affidamento diventa pienamente tutelabile solo quando il vantaggio viene mantenuto per un arco di tempo tale da convincere il beneficiario della sua stabilità e definitività.
Si evidenzia, in tal senso, come il legislatore non abbia stabilito espressamente un quantitativo minimo di tempo necessario perché si formi il legittimo affidamento. Ciò significa che il Giudice dovrà dare rilevanza a quelle che sono le circostanze del caso concreto, per verificare se il lasso di tempo intercorso sia idoneo a fondare la pretesa risarcitoria del privato.
In sintesi, è possibile affermare come l’assetto, raggiunto oggi nel nostro ordinamento, consenta di stabilire un giusto equilibrio tra la pretesa del privato alla tutela della fiducia, riposta nella situazione giuridica favorevole originata dal comportamento della P.A., e quella di quest’ultima alla certezza del diritto e al buon andamento dell’azione amministrativa.
Tale assetto è stato recepito da una sentenza del TAR Lazio (Tar Lazio, Roma, sez. I, 16 maggio 2012, n. 4455) che ha affermato che la tutela del legittimo affidamento del destinatario dei provvedimenti amministrativi costituisce proprio un limite all’azione della pubblica amministrazione, la quale, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dall’art. 97 della Costituzione, è tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento.
La tutela del legittimo affidamento può essere accordata, però, soltanto a condizione che siano state fornite all’interessato rassicurazioni precise, incondizionate, concordanti nonché provenienti da fonti autorizzate ed affidabili dell’Amministrazione e che tali rassicurazioni siano state idonee a generare fondate aspettative nel soggetto cui erano rivolte.
La più importante tra le conseguenze derivanti dall’ammissibilità della tutela del principio di affidamento nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione, è stato il riconoscimento della responsabilità di natura pre-contrattuale della P.A.
Si fa riferimento alla responsabilità che sorge in forza della violazione delle regole civilistiche che regolano le trattative precedenti alla conclusione del contratto. In particolare l’articolo 1337 c.c., che impone l’obbligo di buona fede nelle trattative, e il 1338 c.c. che prevede la responsabilità di chi, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte che ha confidato, senza sua colpa, nella validità dello stesso.
Il campo privilegiato di applicazione della responsabilità pre-contrattuale della Pubblica Amministrazione è quello delle gare ad evidenza pubblica: si fa riferimento a quei moduli procedimentali che la Pubblica Amministrazione deve necessariamente porre in essere quando decide di concludere un contratto nel mercato.
In passato si riteneva che nelle procedure di evidenza pubblica non potesse formarsi un legittimo affidamento del privato, in considerazione del fatto che le gare pubbliche sono rette da norme di natura pubblicistica. Oggi, invece, si ritiene che, dopo l’aggiudicazione della gara, si forma un assetto di interessi, favorevole all’aggiudicatario, stabile e pertanto meritevole di tutela.
Sicuramente, nessun dubbio si pone nell’ammettere la responsabilità pre-contrattuale della Pubblica Amministrazione se, a seguito dell’individuazione del contraente, essa interrompe ingiustificatamente le trattative. In questo caso la responsabilità sorge poiché la Pubblica Amministrazione è tenuta a comportarsi secondo buona fede per via dell’affidamento ingenerato nel privato con l’avvio del negoziato.
Recentemente, la giurisprudenza ha ritenuto che la responsabilità pre-contrattuale della Pubblica Amministrazione sorga, oltre che nel caso di recesso ingiustificato dalle trattative, anche nel caso di violazione di obblighi specificamente imposti dalla legge: ad esempio, quando la Pubblica Amministrazione, dopo aver raggiunto l’accordo con il privato, non trasmette l’atto all’autorità deputata al controllo, impedendo in tal modo la conclusione definitiva del contratto, e ledendo l’affidamento della controparte.
Come in tutte le ipotesi di responsabilità pre-contrattuale (ad eccezione di quella derivante dalla conclusione di un contratto valido ma dannoso), il danno risarcibile è limitato al cosiddetto interesse negativo: il privato avrà diritto ad ottenere un risarcimento pari alla somma delle spese sostenute per prendere parte alle trattative infruttuose, e ai mancati guadagni per le occasioni contrattuali perdute.
La giurisprudenza ha affrontato anche l’ipotesi inversa in cui a subire il danno derivante dalla violazione del principio di buona fede nelle trattative, non sia il privato, ma la stessa pubblica amministrazione. Ci si è chiesti se in questo caso la pubblica amministrazione possa ottenere il risarcimento dei danni ex articoli 1337 e 1338 del codice civile.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha evidenziato che, sebbene gli articoli 103 e 113 della Costituzione siano formulati con riferimento alla tutela riconosciuta al privato nelle diverse giurisdizioni, da ciò non deriva affatto che tali tutele siano attivabili esclusivamente dallo stesso privato. Ciò significa che anche la Pubblica Amministrazione può ottenere tutela in sede giurisdizionale, in modo tale da garantire protezione all’interesse pubblico sotteso alla sua azione.
Sul punto è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale (Corte Costituzionale 179/2016) che ha evidenziato come l’ordinamento non conosca materie “a giurisdizione frazionata” in funzione della differente soggettività dei contendenti.
Alla luce di ciò, se la pubblica amministrazione riuscirà a dimostrare la lesione dell’affidamento riposto nelle trattative con il privato, avrà diritto al risarcimento dei danni subiti.
Un’altra questione particolarmente dibattuta, sorta dopo il riconoscimento della tutela del legittimo affidamento rispetto all’azione amministrativa, è quella che concerne l’individuazione della giurisdizione, civile o amministrativa, sulla domanda con cui il privato chiede il risarcimento dei danni da provvedimento favorevole ma illegittimo.
Si fa riferimento all’ipotesi in cui il privato subisce un danno per aver confidato incolpevolmente sulla legittimità di un provvedimento amministrativo a lui favorevole, successivamente annullato in sede giurisdizionale o in autotutela dalla stessa pubblica amministrazione.
Sul punto si è assistito ad uno scontro tra due tesi sostenute autorevolmente, da una parte dalla giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato e, dall’altra, dalla giurisprudenza ordinaria della Corte di Cassazione.
La tesi tradizionale espressa dalla giurisprudenza (consacrata nelle storiche ordinanze gemelle della Cassazione numeri 6594, 6595 e 6596 del 2011) riteneva che una tale domanda andasse proposta di fronte al Giudice Ordinario e non a quello Amministrativo. Il punto nevralgico di tale tesi era costituito dall’affermazione secondo cui, il danno sofferto dal privato non deriva dal provvedimento amministrativo, ma dal comportamento della pubblica amministrazione che ha ingenerato un legittimo affidamento in quest’ultimo, frustrato successivamente dall’annullamento.
In altri termini, il provvedimento non costituisce la fonte del danno, ma soltanto il mezzo attraverso cui si esplicita l’azione amministrativa che lede la legittima aspettativa del privato.
Poiché, come noto, la giurisdizione amministrativa è esclusa in caso di danno conseguente ad un “mero comportamento” della pubblica amministrazione, la giurisprudenza civile prevalente ha da sempre concluso nel senso di radicare la giurisdizione di tali controversie in capo al Giudice Ordinario.
La tesi in esame sembrava confermare la giurisprudenza espressa dalla Corte Costituzionale nelle storiche sentenze 204 del 2004 e 161 del 2006 sul tema relativo alla perimetrazione della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. La Consulta ha, infatti, più volte ribadito che la giurisdizione esclusiva è giustificata solamente quando la controversia ha ad oggetto provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio del potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.
Rientrano, invece, nella giurisdizione ordinaria le controversie che riguardano i “meri comportamenti “ della P.A., quali sono quelli che deludono il legittimo affidamento del privato in seguito all’annullamento di un provvedimento favorevole precedentemente emanato.
Le Sezioni Unite sono state, però, fortemente criticate dalla Giurisprudenza Amministrativa, secondo cui la tesi in precedenza esposta non può essere accettata perché confonde i piani dell’interesse leso e della situazione giuridica fatta valere.
Secondo questo orientamento, il dovere di lealtà e correttezza della pubblica amministrazione (che si sostanzia nel dovere di non ingenerare falsi affidamenti e di non tradire ragionevoli aspettative) non è un’autonoma situazione giuridica, ma si differenzia a secondo del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione.
Qualora quest’ultima derivi da un’azione in cui la P.A. agisce come un privato, non sussiste alcun ostacolo a qualificarla alla stregua di un diritto soggettivo, con conseguente radicarsi della giurisdizione presso il Giudice Ordinario.
Se, invece, la P.A. agisce in veste autoritativa e lede l’affidamento del privato, quest’ultimo potrà lamentare solo la violazione di un interesse legittimo, con la conseguenza che la giurisdizione sarà riconosciuta al Giudice Amministrativo.
Sulla questione sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2015 (Cass. SS.UU., 4 settembre 2015, n. 17586), che hanno ribadito l’orientamento espresso nelle sentenze gemelle del 2011.
Con tale pronuncia, la Corte di Cassazione ha affermato che la giurisdizione per le controversie, che hanno ad oggetto la responsabilità della P.A. per l’emissione di un provvedimento favorevole ma ingiusto, spetta sempre al Giudice Ordinario.
Si è nuovamente evidenziata la diversità tra il contenuto del diritto che il privato vuol far valere con la sua richiesta e l’illegittimità del provvedimento emanato.
In altri termini, l’illegittimità del provvedimento non provoca alcuna lesione al privato fino al momento in cui il provvedimento stesso non viene annullato dalla pubblica amministrazione in sede giurisdizionale o in autotutela. Il privato non lamenta, infatti, un danno da “ingiusto svolgimento dell’azione amministrativa”, ma dalla lesione del suo diritto all’integrità patrimoniale.
Quest’ultimo ha diritto al risarcimento per i danni derivanti dalle scelte compiute in conseguenza del legittimo affidamento in cui è incorso in seguito al provvedimento emanato dalla pubblica amministrazione.
Essendo un diritto soggettivo, quest’ultimo sarà azionabile, ex articolo 2043 del codice civile, esclusivamente di fronte al Giudice Ordinario.
Recentemente il Consiglio di Stato con la pronuncia n. 3997 del 2016 ha aderito per la prima volta all’orientamento della Corte di Cassazione, affermando che la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario; in tal modo Esso ha posto fine alla disputa che per lungo tempo ha animato il dibattito all’interno del nostro ordinamento.
Infine, è necessario evidenziare come, se da una parte, il principio del legittimo affidamento non abbia ancora ottenuto un espresso riconoscimento legislativo, dall’altra parte, sia innegabile che diverse norme di legge siano ispirate a tale principio. Si fa, in particolare, riferimento a quelle previste in tema di autotutela decisoria dalla legge 241 del 1990.
L’autotutela rappresenta il potere della pubblica amministrazione di riesercitare il potere, attraverso l’emanazione di un provvedimento di secondo grado, pur di raggiungere il fine pubblico volta per volta stabilito dalla legge. In questo modo la pubblica amministrazione può autonomamente ritornare sulle scelte effettuate senza dover necessariamente ricorrere in sede giurisdizionale.
Naturalmente, questo potere può determinare dei pregiudizi nei confronti dei privati che hanno fatto affidamento sulla situazione giuridica determinata dal provvedimento di primo grado. Questo è il motivo per cui la legge impone alla pubblica amministrazione di tenere adeguatamente conto di questi interessi nel momento in cui riesercita i suoi poteri.
In primo luogo, si può richiamare l’articolo 21 octies, nella parte in cui afferma che l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo può avvenire per ragioni di interesse pubblico, ma solo se esercitato entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Allo stesso modo l’art. 21 quinquies, in caso di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, impone alla pubblica amministrazione di indennizzare i pregiudizi sofferti dagli interessati in conseguenza dell’adozione del provvedimento di secondo grado.
Con una recente sentenza del 2017 (la numero 1364/2017) il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla natura del danno da mancata aggiudicazione di una procedura di gara, mettendo, anche, in evidenza i presupposti per la configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione. Viene ribadito quello che appare essere l’orientamento ormai pacifico in giurisprudenza, ovvero quello che ammette che anche la pubblica amministrazione può essere chiamata a risarcire i danni subiti dal privato per la lesione del suo legittimo affidamento nella conclusione positiva delle trattative.
Secondo il Consiglio di Stato la responsabilità da mancata aggiudicazione è riconducibile al paradigma dell’illecito extracontrattuale previsto dall’articolo 2043 del codice civile. Si tratta di una problematica riconducibile al tema del risarcimento dei danni da illegittimità provvedimentale della pubblica amministrazione.
In altri termini, quando un concorrente subisce un danno derivante dalla impossibilità di conseguire un’aggiudicazione che, invece, gli sarebbe spettata, la pubblica amministrazione dovrà rispondere in base alla disciplina della responsabilità aquiliana. Attraverso questa forma di responsabilità viene risarcito per equivalente l’utile che il danneggiato avrebbe ricavato dall’esecuzione del contratto di cui è stato illegittimamente privato.
Il danneggiato, al fine di conseguire il risarcimento, dovrà dare la prova: a) dell’illegittimità posta in essere dalla pubblica amministrazione nella fase di gara; b) del fatto che, in assenza di questa illegittimità, si sarebbe aggiudicato il contratto. Non dovrà, invece, provare la colpa della pubblica amministrazione come più volte ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Il Supremo Consesso della Giurisdizione Amministrativa si è soffermato anche sulla natura della responsabilità precontrattuale in cui può incorrere la pubblica amministrazione, in violazione degli articoli 1337 e 1338 del codice civile, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
A differenza della responsabilità da mancata aggiudicazione, nel caso di responsabilità precontrattuale il danneggiato ha l’onere di dimostrare anche la colpa della pubblica amministrazione, nonché la lesione del suo legittimo e incolpevole affidamento in ordine alla positiva conclusione delle trattative pre-negoziali.
Viene richiamata la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato 1142 del 2015) secondo cui i presupposti della responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione consistono nell’affidamento ingenerato dal comportamento della Stazione Appaltante sull’esito positivo delle trattative e nell’assenza di una giusta causa per l’inattesa interruzione delle stesse.
Sotto il profilo dei danni risarcibili si riscontrano profonde differenze tra le due responsabilità. Mentre per i danni da mancata aggiudicazione essi sono parametrati al cosiddetto interesse positivo e consistono nell’utile netto ricavabile dal contratto, nel caso della responsabilità precontrattuale, i danni sono limitati all’interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure di evidenza pubblica nelle spese inutilmente sostenute per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative.
In conclusione, è possibile affermare come oggi, soprattutto grazie all’intervento della giurisprudenza europea, il principio del legittimo affidamento costituisca una regola generale anche nei rapporti tra l’amministrazione ed il privato cittadino.
La sua violazione può essere sindacata sotto il profilo dell’eccesso di potere da parte del giudice, e può condurre al risarcimento del privato. Naturalmente ciò non significa che l’ordinamento tuteli qualsiasi affidamento, ma solo quello legittimo, ovvero quello che si forma in presenza dei requisiti espressamente stabiliti dalla giurisprudenza (provvedimento favorevole, presenza della buona fede ed elemento cronologico).
Avv. Elisa Furian